​PARTE PRIMA-3

2007 Words
— Ah! lo prevedevo! — esclamò per il primo Alfonso — sai che ne avevo il presentimento... — Povera Clara! — mormorò Ines con un sospiro debole come un soffio. Ella strinse le mani del marito che ardevano. — Ma tu hai la febbre? — disse spaventata. — Non è nulla… sarà la fatica del viaggio precipitoso... e con tutto, non siamo giunti in tempo. — Ma il tuo stato peggiorerà, se rivedrai la povera morta. — No... vedi, questo è il solo rimedio che mi possa guarire: bisogna che io la veda, mi pare che ella mi chiami ancora, benché morta: se io non dovessi baciarla, chiederle perdono di non essere giunto in tempo, non dormirei più, impazzirei. Tu mi dici che ho la febbre... no; la mia mente è lucida,... pure vedo dinanzi a me la figura di Clara... mi sembra che ella mi chiami, che ella mi dica: «No, non sono morta, fratello vieni, ti aspetto.» Bisogna che mi assicuri coi miei occhi della verità, bisogna che io tocchi la sua fronte di marmo, che io veda quei suoi dolci occhi chiusi, perché creda che la sua anima non sia proprio più su questa terra. Mi sembra che anche da morta abbia qualche cosa da dirmi, da raccomandarmi. Ines era spaventata di quelle parole, che attribuiva al delirio della febbre. — Non puoi rimettere a domani questo tuo divisamento? — mormorò timidamente — una notte di riposo ti calmerà, ti darà più forza. — Gli occhi di Alfonso lanciavano scintille. — Che io aspetti a domani? E sei tu che me lo dici, Ines? Ma non sai che se io non la rivedessi stasera, diventerei pazzo? Forse sarà l'effetto della febbre che mi arde, del dolore che mi tormenta; ma, ti ripeto, dovessi morire sopra la cassa che racchiude quel corpo adorato, io la vedrò, la voglio vedere! — Si capiva che la risoluzione del giovine era irrevocabile. Ines non insisté. — Ebbene... — disse con voce soffocata — fai quanto credi, amico mio: io non ti abbandonerò. — Ah! tu sei il mio buon angelo,... grazie, Ines, grazie della tua abnegazione; ma io non voglio che tu soffra, anderò solo… — E tu lo pensi? — disse la giovine con esplosione. — No... io sono forte... non ti lascerò... un momento; voglio veder anch'io tua sorella... — Alfonso era così commosso, che non seppe rispondere. In quel mentre tornò la contadina per avvisarli che la tavola era pronta. Alfonso ed Ines, preceduti dalla buona donna, passarono nella stanza vicina; ma i due giovani non poterono inghiottire che alcuni bocconi, perché il dolore chiudeva loro la gola, tanto che in alcuni momenti si sentivano soffocare. Bevvero però entrambi un bicchiere di vino generoso, che già aveva prodotto tanto effetto sul giovane, e che infatti fece scorrere liberamente il sangue nelle loro vene, e infuse loro un po' di forza. Quando Alfonso si alzò da tavola era sempre orribilmente pallido, ma sembrava calmo. Sorrise ad Ines, e le strinse una mano. — Dobbiamo andare? — chiese debolmente. — Io sono pronta, amico mio, — disse la giovane sposa. Il fiaccheraio li aspettava. Il cavallo si era riposato ed aveva mangiato della buona avena: lui stesso era stato servito a dovere dai contadini, ma era rimasto così commosso dalla scena accaduta sotto ai suoi occhi, che gli era passato l’appetito, e mangiò per semplice compiacenza. Nanni, così si chiamava il fiaccheraio, aveva una trentina d'anni, era piuttosto piccolo di statura, ma nell’insieme, si poteva dire un bel giovinotto. Ciò che lo distingueva fra gli altri, erano le sue maniere gentili, educate. Nanni sentì subito una viva simpatia per i due giovani viaggiatori che aveva caricati alla stazione, e gli vennero quasi le lacrime agli occhi quando Alfonso cadde svenuto, e quando la contadina l'avvisò che il viaggiatore voleva recarsi all'Antella per rivedere la povera contessa. — Guarda che combinazione! — esclamò Nanni — io sto appunto da quelle parti, e mio zio è il custode del cimitero. — Ripeté questo anche ad Alfonso e ad Ines, mentre i due giovani salivano in vettura. — Di qui è un po' lontano, — aggiunse — e arriveremo laggiù che sarà quasi notte; ma m'incarico io di far passare le loro signorie, e poi se non si sentono di ritornar qui, posso offrir loro alloggio a casa mia. Vivo con mia madre, sono povero,... ma la casetta è pulita e non mancheranno di tutti i riguardi. — Ines ed Alfonso furono commossi da siffatte parole dette con tanta semplicità e schiettezza. — Ah! come sono buoni gl'italiani! — esclamò la giovine spagnuola con sincero entusiasmo — qual gentilezza anche nelle persone del popolo! Grazie, amico mio, delle vostre offerte; grazie, non mancheremo di accettarle, se farà bisogno. — Il fiaccheraio risalì contento a cassetta, e, prese le redini, eccitò il cavallo alla corsa. Alfonso ed Ines erano ricaduti nei loro dolorosi pensieri. Di tanto in tanto la giovine tentava di rivolgere qualche parola al suo compagno, ma egli non rispondeva; si contentava di stringerle nervosamente le mani, e di quando in quando il suo petto si gonfiava, il sangue gli montava agli occhi, ma le lacrime non comparivano. E gli sarebbe stato così di sollievo il piangere! Il viaggio parve assai lungo per i nostri due giovani; ed a mano a mano che s’avvicinavano al cimitero, il tremito di Alfonso aumentava, e un brivido ghiacciato gli scuoteva tutta la persona. Le ombre della sera scendevano a poco a poco sulla terra, e nel cielo terso e purissimo, cominciava a diffondersi il pallido e debole chiarore della luna; al rumore della vettura, qualche porta di casolare si schiudeva, e gli abitanti comparivano sulla soglia per ritrarsi quasi subito. Finalmente il cavallo cominciò a perdere della sua lesta andatura, e dopo una mezz'ora si fermò dinanzi alla porta chiusa del cimitero. — Ci siamo, — disse Alfonso, facendosi livido in volto. — Coraggio, amico mio... coraggio... — proruppe Ines, divenuta pallida essa pure. — Ne avrò, non dubitare.… — Nanni era sceso da cassetta ed aveva tirato il campanello del custode. — Aspettino un momento a scendere, — disse intanto ad Alfonso che stava per aprire lo sportello — prima parlerò io con mio zio. — Passarono cinque buoni minuti innanzi che fosse risposto. Il fiaccheraio stava per suonare di nuovo, quando il portone si aprì, ed un uomo in maniche di camicia si affacciò. — Chi viene a quest’ora nel ritiro dei morti, a disturbare i vivi? — chiese con tono brusco e malevolo. — Sono io, zio, — rispose Nanni — vi ho condotto dei signori, che vogliono vedere il cimitero… — A quest'ora è proibito,... e non posso fare eccezioni. — Ma le farete per me: ... non vi ricordate più di quello che mi diceste, quando vi salvai il figliuolo, buscandomi una coltellata in vece sua? — La voce del custode prese un accento quasi commosso. — Non lo dimentico, — rispose — ti ho detto che in qualunque occasione tu potevi far capitale di me,... che ti avrei data anche la vita... — Non ti chiedo tanto,... mi basta che tu acconsenta a fare entrare questi forestieri che ti ho portati. — Ma che vogliono fare a quest'ora? Hanno forse qualche tomba da visitare? — Non una tomba, ma una morta, — disse in tono più sommesso il fiaccheraio. Il custode trasalì. — Una morta?… Non ti comprendo. — Mi comprenderai, quando ti dirò che il forestiero che ti conduco è il fratello della contessa Rambaldi che hanno portata qui ieri sera... Ma via... meno ciance... possono entrare? — Sai che non posso ricusarti nulla. — Nanni si affrettò a spalancare lo sportello della vettura ed aiutò i due giovani a scendere. — Io aspetto qui fuori, — disse intanto — se hanno bisogno di me, sono ai loro ordini. — III La luna era salita a poco a poco sull'orizzonte, ma i suoi raggi erano ancora troppo deboli per rischiarare la cupa ombra dei cipressi e mandava soltanto una luce pallida, velata, misteriosa sulle tombe di pietra e di marmo, alcune abbandonate, altre coperte di ghirlande e di fiori. Se qualcuna delle mie lettrici ha visitato un cimitero di notte, sa quale triste e funebre impressione se ne riceve. Il solenne silenzio che regna in quel luogo, sacro al riposo dei morti, i grandi alberi, le croci mortuarie, tutto è propizio alle più folli e deliranti visioni. Là è la morte: davanti, di dietro, al nostro fianco, sotto i nostri passi, sotto l'erba che calpestiamo; è impossibile sottrarsi al suo pensiero. Anche l'uomo più forte, più scettico trema, si sente il cuore stretto da una gelida pressione. I monumenti assumono ai nostri occhi un aspetto strano, fantastico, bizzarro; ombre vaghe, sfumate, sembrano librarsi dinanzi a noi, fra le tombe, nell'aria; un sudor freddo scorre per tutto il corpo, le labbra diventano mute. Tale impressione non mancò di provare Ines, mentre stretta al braccio del compagno, seguiva il custode sotto i loggiati del cimitero. Ella soffriva molto, la giovine donna, ma i suoi occhi erano privi di lacrime, il suo volto si manteneva calmo. Alfonso rivolgeva attorno sguardi inquieti, smarriti; sulle sue guance erano due macchie di un rosso ardente, le labbra aveva livide. Ines sentiva di quando in quando scuotersi convulsivamente il braccio del suo compagno, come se alcuni brividi l'avessero investito. Ella lo guardava atterrita, ed egli, come se avesse compreso quello sguardo supplichevole, pietoso, tentava un sorriso; ma quel sorriso era così straziante, così amaro, che strappava le lacrime. Il custode solo si mostrava indifferente. Egli camminava senza riguardo per le corsìe in mezzo alle tombe, agitando un mazzo di chiavi che aveva appese alla cintola. Fatto il giro del loggiato, volse a destra e dopo pochi passi si fermò dinanzi ad una porta di legno scuro, che aveva nel mezzo dipinta una gran croce bianca. Era la porta della cappella, dove era stata posta provvisoriamente in deposito la cassa, che conteneva le spoglie della contessa Rambaldi. Ines si sentiva il cuore strinto come in una morsa. Alfonso trasse fuori un fazzoletto per asciugarsi il viso, irrigato da grosse gocce di sudore. Il custode aveva aperta la porta... ed era entrato per il primo. I due giovani lo seguirono. La cappella era debolmente illuminata da una lampada ad olio appesa al muro, ed a quel chiarore vacillante potevasi appena discernere una specie di tavola quadrata, su cui era posata una cassa di legno di noce, con maniglie e borchie dorate. — Eccola là, — disse a bassa voce il custode. Alfonso fece un balzo come se avesse subìta una scossa elettrica e strinse la mano di Ines con una tal forza, che ci volle tutto il coraggio della giovine donna per non mandare un grido di dolore. Il custode era ritornato sulla porta. Ines guardò Alfonso temendo che egli soccombesse alle commozioni che l'agitavano, ma il giovane teneva gli occhi fissi, spalancati sulla cassa. — Ella... è là... là... vicino a me... — balbettò — ma quel coperchio mi toglie la vista del suo viso… Clara… io... io voglio vederti… — Ines si era avvicinata al custode e tirò fuori dalla valigetta, che aveva portato con sé, una borsa con dei denari. — Quest’è per voi, — disse a bassa voce — se acconsentite al desiderio di mio marito; fategli vedere sua sorella. — Ma io non posso,... non posso! — Oh! non siate così crudele... voi siete padre... se la morte vi rapisse un figlio diletto... non desiderereste vederlo più e più volte, prima che la terra ricoprisse per sempre le sue spoglie? — Il custode s'inteneriva. Ines se ne accorse e facendogli scorrere destramente la borsa in mano: — Suvvia, siate buono! — esclamò. — Dio vi ricompenserà più di quello che io possa fare! — Due grosse lacrime caddero sulle rozze gote del custode. Egli si avvicinò, senza far parola, alla cassa, e cercando dolcemente di allontanarne Alfonso: — Aspetti, — disse — che l'apra, così potrà rivedere la sua povera sorella. — Oh! quanta passione, quanta ineffabile tenerezza apparve sul viso poc’anzi impietrito del giovane, a quelle parole del custode! Sulle guance livide gli ritornò il sangue, e gli occhi ardenti, asciutti gli s'inondarono di pianto. — La rivedrò... la rivedrò... — disse a voce sommessa, ardente, quasi credesse di sognare. Il custode aveva con lentezza fatte girare le viti della cassa, e senza alcun sforzo, ne sollevò il coperchio. Un gran velo bianco copriva il cadavere. Il custode l'alzò con una delicatezza ed un rispetto, strani in un uomo del suo mestiere, e scoperse la pallida e bella figura della contessa. Alfonso ed Ines congiunsero le mani, e per qualche minuto il loro dolore parve tacere, davanti alla serenità di quella figura, che dormiva del sonno tranquillo, solenne della morte.
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