Capitolo 1

3059 Words
Capitolo Uno Benvenuta a casa, tesoro" disse Korum dolcemente, quando il verde paesaggio di Lenkarda apparve sotto i loro piedi, e la navicella atterrò in silenzio, così come era decollata. Con il cuore che le martellava nel petto, Mia si alzò lentamente dal sedile che aveva cullato il suo corpo così comodamente. Korum era già in piedi, e allungò la mano verso di lei. La ragazza esitò un attimo, e poi accettò, stringendogli il palmo con una forte presa. L’amante che aveva ritenuto un nemico nell’ultimo mese ora era la sua unica fonte di conforto in quella strana terra. Uscirono dal velivolo e camminarono per pochi passi, prima che Korum si fermasse. Tornando verso la navicella, fece un piccolo gesto con la mano libera. All’improvviso, l’aria intorno alla capsula cominciò a brillare, e Mia sentì di nuovo quel suono basso, che indicava l’attività delle nanomacchine. "Stai generando qualcos’altro?" gli chiese, sorpresa. Lui scosse la testa con un sorriso. "No, la sto smontando." Mentre Mia guardava, strati di materiale color avorio sembravano essere stati raschiati dalla superficie della navicella, dissolvendosi davanti ai suoi occhi. Nel giro di un minuto, scomparve completamente, con tutti i componenti che tornarono ad essere i singoli atomi da cui erano stati realizzati a New York. Nonostante lo stress e la stanchezza, Mia non poteva fare a meno di meravigliarsi per il miracolo a cui aveva appena assistito. La navicella che li aveva appena portati a migliaia di chilometri di distanza in pochi minuti era completamente scomparsa, come se non fosse mai esistita. "Perché l’hai fatto?" chiese a Korum. "Perché l’hai smontata?" "Perché non c’è bisogno che esista e occupi spazio in questo momento" spiegò. "Posso ricrearla, ogni volta che abbiamo bisogno di usarla." Era vero, poteva farlo. Mia aveva assistito a ciò solo pochi minuti fa sul tetto del suo appartamento di Manhattan. E ora l’aveva smontata. La capsula che li aveva trasportati fin lì ormai non esisteva più. Man mano che rifletteva sulle implicazioni di ciò, la sua frequenza cardiaca aumentava, e improvvisamente trovò difficile respirare. Un’ondata di panico l’attraversò. Ormai era in Costa Rica, nella colonia principale dei K—completamente dipendente da Korum per tutto. Era stato lui a creare la navicella che li aveva portati lì, e l’aveva appena smontata. Se c’era un altro modo per uscire da Lenkarda, Mia non lo sapeva. E se le aveva mentito? Se non avrebbe mai più rivisto la sua famiglia? Si doveva vedere sul viso quanto fosse terrorizzata, perché Korum le strinse dolcemente la mano. La sensazione della sua grande mano calda era stranamente rassicurante. "Non preoccuparti" disse piano. "Andrà tutto bene, promesso." Mia cercò di respirare profondamente per scacciare il panico. Non aveva altra scelta che fidarsi di lui. Anche a New York, poteva fare tutto quello che voleva con lei. Non c’era motivo di farle promesse che non intendeva mantenere. Eppure, quella paura irrazionale la corrodeva dall’interno, aggiungendosi alle spiacevoli emozioni che si agitavano dentro di lei. La consapevolezza che Korum l’aveva manipolata per tutto il tempo, usandola per schiacciare la Resistenza, era come un acido nello stomaco, che la divorava dall’interno. Tutto quello che aveva fatto, tutto quello che aveva detto—faceva parte del suo piano. Mentre lei si sentiva addolorata spiandolo, probabilmente l’amante rideva segretamente dei suoi patetici tentativi di sconfiggerlo, per aiutare la causa che lui sapeva fin dall’inizio sarebbe fallita. Ora si sentiva un’idiota per aver creduto a tutto ciò che la Resistenza le aveva detto. All’epoca, le era sembrato che avesse tutto senso; si era sentita così nobile contribuendo alla lotta contro gli invasori che avevano preso possesso del pianeta. E invece, involontariamente, aveva partecipato al tentativo di presa di potere da parte di un piccolo gruppo di K. Perché non si era fermata a riflettere, ad analizzare meglio la situazione? Korum le aveva detto che l’intero movimento della Resistenza era sbagliato, che avevano completamente frainteso la loro missione. E suo malgrado, Mia gli aveva creduto. I K non avevano ucciso i combattenti per la libertà che avevano attaccato i loro Centri—e quel semplice fatto le diceva molto sui Krinar e sulle loro opinioni riguardo agli umani. Se i K fossero stati davvero dei mostri, come li ritraeva la Resistenza, nessun combattente sarebbe di certo sopravvissuto. Allo stesso tempo, non si fidava pienamente della spiegazione che le aveva dato Korum su cos’era un charl. Quando John le aveva parlato della sorella rapita, Mia aveva percepito troppo dolore nella sua voce per considerarla una bugia. E le azioni di Korum nei suoi confronti combaciavano più con la spiegazione di John che con la sua. Il suo amante aveva negato che i K tenessero gli umani come schiavi del piacere; tuttavia, finora le aveva lasciato poca scelta su qualsiasi cosa nel loro rapporto. La voleva, e lei non era più padrona della propria vita. Faceva tutto quello che voleva lui, nel suo attico di TriBeCa—e ora era lì, nel Centro K della Costa Rica, seguendolo in una destinazione sconosciuta. Per quanto temesse la risposta alla sua domanda, doveva sapere. "Dana è qui?" chiese Mia attentamente, non volendo provocarne la collera. "La sorella di John? John ha detto che è una charl a Lenkarda..." "No" rispose Korum, guardandola con un’espressione illeggibile. "John è stato informato male—credo, volontariamente—dai Keith." "Non è una charl?" "No, Mia, non è mai stata una charl nel vero e proprio senso della parola. Era quella che voi definireste uno xeno—un essere umano ossessionato da tutte le cose dei Krinar. La sua famiglia non lo sapeva. Quando incontrò Lotmir in Messico, lo supplicò di andare con lui, e lui accettò di portarla con sé per un certo periodo di tempo. A quanto ne so, qualcun altro l’ha portata su Krina. Immagino che sia molto felice lì, viste le sue preferenze. Per quanto riguarda il motivo per cui se n’è andata senza dire una parola alla famiglia, credo che abbia qualcosa a che fare con suo padre." "Suo padre?" "Dana e John non hanno avuto un’infanzia molto felice" disse Korum, e lei sentì la mano dell’alieno stringersi nella sua. "Loro padre è qualcuno che avrebbero dovuto eliminare molto tempo fa. In base alle informazioni che abbiamo raccolto sui tuoi contatti con la Resistenza, il padre di John ha una particolare perversione, che riguarda i bambini molto piccoli—" "È un pedofilo?" chiese Mia sottovoce, con la bile che le salì fino alla gola a quel pensiero. Korum annuì. "Sì. Credo che i suoi figli siano stati i principali destinatari delle sue attenzioni." Nauseata e carica di intensa compassione per John e Dana, Mia distolse lo sguardo. Se era vero, allora non poteva biasimare Dana per aver voluto allontanarsi, lasciarsi alle spalle tutto ciò che era legato sua vecchia vita. Anche se la famiglia di Mia era normale e affettuosa, aveva interagito con le vittime di abusi domestici e sui minori durante il tirocinio della scorsa estate. Sapeva delle cicatrici che lasciavano sulla psiche del bambino. Crescendo, alcuni di questi bambini iniziavano a fare uso di droghe o a bere per alleviare il dolore. Dana, a quanto pareva, aveva scelto il sesso con i K. Certo, tutto questo presupponeva che Korum non le avesse mentito del tutto. Pensandoci, Mia decise che probabilmente non l’aveva fatto. Perché avrebbe dovuto? Non che avrebbe potuto rompere con lui, anche se avesse scoperto che Dana era tenuta lì contro la propria volontà. "E che mi dici di John?" chiese. "Sta bene? E Leslie?" "Credo di sì" disse, con voce notevolmente più fredda. "Nessuno di loro è stato ancora catturato." Sollevata, Mia decise di lasciar perdere. Aveva il sospetto che parlare con Korum della Resistenza non fosse la cosa più intelligente da fare. Così, tornò a concentrarsi sull’ambiente circostante. "Dove stiamo andando?" chiese, guardandosi intorno. Stavano attraversando quella che sembrava una foresta incontaminata. I ramoscelli e le felci scricchiolavano sotto i loro piedi, e sentiva i suoni della natura ovunque—uccelli, insetti ronzanti, foglie fruscianti. Non sapeva che cosa avesse in mente l’alieno per il resto della giornata, ma aveva una gran voglia di seppellire la testa sotto una coperta e nascondersi per diverse ore. Gli eventi di quella mattina e i conseguenti sconvolgimenti emotivi l’avevano lasciata completamente esausta, e aveva bisogno di tranquillità per riflettere su tutto quello che era accaduto. "A casa mia" rispose Korum, girando la testa verso di lei. C’era di nuovo un sorrisetto sul suo volto. "È a pochi passi da qui. Potrai rilassarti e riposare, non appena arriveremo lì." Mia lo guardò con sospetto. La sua risposta era incredibilmente vicina a quello che aveva appena pensato. "Mi leggi nel pensiero?" domandò, spaventata dalla possibilità. Le sorrise, mostrando la fossetta sulla guancia sinistra. "Sarebbe bello—ma no. Però, ti conosco abbastanza ormai da capire quando sei esausta." Sollevata, Mia annuì e cercò di mettere un piede davanti all’altro, mentre camminavano nella foresta. Nonostante tutto, quel sorriso smagliante dell’extraterrestre le provocò una calda sensazione in tutto il corpo. Sei un’idiota, Mia. Come poteva sentirsi così, dopo tutto quello che le aveva fatto passare, dopo averla manipolata in quel modo? Che razza di persona era per essersi innamorata di un alieno che si era impossessato della sua vita? Si sentiva disgustata da se stessa, ma non poteva farci niente. Quando l’extraterrestre sorrideva in quel modo, lei dimenticava quasi tutto ciò che era accaduto, provando gioia stando semplicemente con lui. Nonostante l’amarezza, era felice che la Resistenza avesse fallito—che lui fosse ancora nella sua vita. I suoi pensieri continuavano a rivolgersi a quello che le aveva detto prima... alla sua ammissione di essersi affezionato a lei. Non voleva che succedesse, aveva detto, e Mia capì che all’inizio aveva fatto bene a temere e a resistergli—che in un primo momento la considerava davvero un giocattolo, un piccolo giocattolo umano da poter usare e gettare via quando lo desiderava. Naturalmente, essere "affezionato" non equivaleva a una dichiarazione d’amore, ma era più di quanto si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire da lui. Come un balsamo applicato a una ferita aperta, le sue parole l’avevano fatta sentire un po’ meglio, dandole la speranza che forse sarebbe andato tutto bene dopo tutto, che forse avrebbe mantenuto le promesse e lei avrebbe rivisto la sua famiglia— Qualcosa di viscido sotto al piede la distolse da quel pensiero. Spaventata, Mia guardò giù e vide che aveva calpestato un grosso insetto scricchiolante. "Ohh!" "Che cosa succede?" chiese Korum, sorpreso. "Ho schiacciato qualcosa" spiegò Mia disgustata, cercando di pulire la scarpa sulla zolla d’erba più vicina. Sembrava divertito. "Non dirmi che... Hai paura degli insetti?" "Non ne ho paura" disse Mia con cautela. "Ma li trovo davvero repellenti." Rise. "Perché? Sono solo delle creature viventi, proprio come te e me." Mia si strinse nelle spalle e decise di non dargli ulteriori spiegazioni. Non era certa di capirlo appieno nemmeno lei. Così, decise di studiare meglio l’ambiente circostante. Pur essendo cresciuta in Florida, non si era mai sentita molto a proprio agio con la natura tropicale. Preferiva i sentieri ben curati dei bei parchi paesaggistici, dove poteva sedersi su una panchina e godersi l’aria fresca con la minima possibilità di incontrare insetti. "Non avete strade o marciapiedi?" chiese a Korum con stupore, sussultando a causa di quello che sembrava un formicaio. Le sorrise con indulgenza. "No. Ci piace che il nostro ambiente sia il più vicino possibile allo stato originario." Mia arricciò il naso, dato che quell’affermazione non le piaceva affatto. Le sue scarpe da ginnastica erano già sporche, ed era grata che la stagione umida della Costa Rica non fosse ancora iniziata ufficialmente. Altrimenti, le sarebbe sembrato di fare trekking in una palude. Dato lo stato avanzato della tecnologia Krinar, trovava strano che avessero scelto di vivere in condizioni tanto primitive. Un minuto dopo, entrarono in un’altra radura, una molto più grande. In mezzo c’era una struttura insolita color crema. Aveva la forma di un cubo allungato con gli angoli arrotondati, non aveva finestre o porte—né aperture visibili. "Questa è casa tua?" Mia aveva visto strutture simili sulla mappa tridimensionale dell’ufficio di Korum. Le erano sembrate molto strane e aliene da lontano, e quell’impressione era ancora più forte ora che si trovava accanto a una di esse. Sembrava così strana, così diversa da qualunque altra avesse mai visto. Korum annuì, conducendola verso l’edificio. "Sì, questa è casa mia—ed ora è anche tua." Mia deglutì nervosamente, con l’ansia che crebbe nell’ultima parte della sua affermazione. Perché continuava a dirlo? Voleva davvero che lei vivesse lì in modo permanente? Aveva promesso di riportarla a New York per finire il suo ultimo anno di college, e Mia si aggrappò disperatamente a quel pensiero, mentre fissava le pallide pareti della casa davanti a lei. Man mano che si avvicinavano, una parte della parete improvvisamente si dissolse davanti a loro, creando un’apertura abbastanza grande da farli passare. Mia ansimò dalla sorpresa, e Korum sorrise per la sua reazione. "Non preoccuparti" disse. "Questo è un edificio intelligente. Prevede le nostre esigenze e crea porte, se necessario. Non c’è nulla di cui temere." "Lo fa per chiunque o solo per te?" chiese Mia, fermandosi prima dell’apertura. Sapeva che la sua riluttanza ad entrare era illogica. Se Korum voleva tenerla prigioniera, non poteva farci niente—era già in una colonia aliena senza alcuna via di uscita. Tuttavia, non poteva permettersi di entrare volontariamente nella sua nuova "casa," a meno che non fosse sicura di poterla lasciare da sola. Intuendo la fonte della sua preoccupazione, Korum le rivolse un’occhiata rassicurante. "Lo farà anche per te. Potrai entrare e uscire ogni volta che vorrai, anche se sarebbe meglio che tu rimanessi al mio fianco per le prime settimane... almeno, finché non ti sarai abituata al nostro modo di vivere e non avrò avuto la possibilità di presentarti agli altri." Tirando un sospiro di sollievo, Mia lo guardò. "Grazie" disse, con una parte del panico che svanì. Forse stare lì non sarebbe stato così male, dopotutto. Se l’avesse davvero riportata a New York alla fine dell’estate, allora il suo soggiorno a Lenkarda si sarebbe rivelato esattamente quello—un paio di mesi trascorsi in un luogo incantevole che pochi umani potevano immaginare, con la straordinaria creatura di cui si era innamorata. Sentendosi leggermente meglio sulla situazione, Mia attraversò l’apertura, entrando in un’abitazione Krinar per la prima volta. L’ambiente che l’accolse all’interno era assolutamente inaspettato. Mia era preparata a qualcosa di alieno e altamente tecnologico—forse sedie fluttuanti, simili a quelle della navicella che li aveva trasportati lì. Invece, la stanza era identica all’attico newyorkese di Korum, compreso il divano color crema. Mia arrossì al ricordo di ciò che era avvenuto su quel divano poco tempo fa. Solo le pareti erano diverse; sembravano essere fatte dello stesso materiale trasparente della navicella, e poteva vedere la vegetazione all’esterno anziché il fiume Hudson. "Hai gli stessi mobili qui?" chiese sorpresa, lasciandogli la mano e facendo un passo avanti per rimanere a bocca aperta davanti allo spettacolo. Non riusciva a immaginare che i negozi di mobili facessero consegne ai Centri K—ma probabilmente lui poteva tranquillamente far apparire ciò che voleva usando la nanotecnologia. "Non esattamente" disse Korum, sorridendole. "Ho sistemato tutto prima del tuo arrivo. Ho pensato che ti saresti abituata più facilmente, se avessi potuto rilassarti in ​​un ambiente familiare per le prime due settimane. Quando ti sentirai più a tuo agio qui, ti mostrerò come vivo abitualmente." Mia sbatté le palpebre. "Hai sistemato tutto solo per me? Quando?" Anche con una rapida fabbricazione—o in qualunque modo Korum chiamasse la tecnologia che gli permetteva di creare cose dal nulla—probabilmente avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per fare tutto quello. Quando lo aveva avuto, visti gli eventi di quella mattina? Cercò di immaginarlo creare un divano, mentre catturava i Keith e quasi le sfuggì una risata. "Un po’ di tempo fa" disse Korum con fare ambiguo, scrollando leggermente le spalle. Mia si accigliò. "Quindi... non oggi?" Per qualche ragione, la tempistica di quel gesto sembrava importante. "No, non oggi." Mia lo fissò. "La stavi pianificando già da un po’? La mia venuta qui, voglio dire." "Certo" rispose con disinvoltura. "Io pianifico tutto." La ragazza fece un respiro profondo. "E se non fossi stata in pericolo a causa della Resistenza? Mi avresti portata qui lo stesso?" La guardò con un’espressione indecifrabile. "Ha importanza?" chiese piano. Aveva importanza per Mia, ma non se la sentiva di avere quella discussione in quel momento. Così, alzò le spalle e distolse lo sguardo, studiando la stanza. In qualche modo, era confortante stare in un luogo che sembrava familiare, e dovette ammettere che era stata una cosa premurosa—creare per lei un ambiente simile a quello umano in casa propria. "Hai fame?" chiese Korum, sorridendole. Prepararle il cibo sembrava essere una delle sue attività preferite; le aveva addirittura dato da mangiare quella mattina, quando aveva temuto che l’avrebbe uccisa per aver aiutato la Resistenza. Era proprio quella una delle cose che l’avevano sempre fatta sentire così in conflitto riguardo a lui, riguardo alla loro relazione in generale. Nonostante l’arroganza, sapeva essere incredibilmente premuroso e gentile. A Mia infastidiva che non si comportasse mai come il cattivo che lei lo riteneva. Scosse la testa. "No, grazie. Sono ancora sazia per il panino di prima." E lo era. Tutto ciò che desiderava era sdraiarsi e cercare di far riposare il cervello. "D’accordo, allora" disse Korum. "Riposati un po’. Devo uscire per un’ora o giù di lì. Pensi di poter stare da sola?" Mia annuì. "Hai un letto da qualche parte?" chiese. "Certo. Ecco, vieni con me." Mia seguì Korum, incamminandosi lungo un familiare corridoio che conduceva nella camera da letto, identica a quella che aveva a TriBeCa. Notò anche la posizione del bagno. "Quindi, tutto quello che vedo, è roba che so già usare?" chiese. "Sì, più o meno" disse lui, cercando di sfiorarle la guancia. Quelle dita sembravano calde sulla pelle della ragazza. "Il letto probabilmente è più comodo di quello a cui sei abituata, perché utilizza la stessa tecnologia intelligente della sedia nella navicella e delle pareti di questa casa. Ho pensato che non ti sarebbe dispiaciuto. Non aver paura se si adatta al tuo corpo, ok?" Nonostante la tensione alle tempie, Mia sorrise, ricordando quanto fosse comoda la sedia della navicella. "Ok, va benissimo. Non vedo l’ora di provarlo." "Sono sicuro che ti piacerà." I suoi occhi brillarono per qualche sconosciuta emozione. "Fa’ un pisolino, se vuoi, tornerò presto." Piegandosi, le diede un bacio casto sulla fronte e si allontanò, lasciandola sola in una casa intelligente all’interno dell’insediamento alieno. A meno di un miglio di distanza, il Krinar osservò il nemico arrivare con la sua charl. Il modo gentile in cui Korum le teneva la mano, mentre la conduceva verso casa, era così strano che il K quasi ridacchiò tra sé e sé. Il coinvolgimento di una ragazza umana era uno sviluppo interessante. Sarebbe cambiato qualcosa? In qualche modo, ne dubitava. Il suo nemico non si sarebbe lasciato distrarre dal proprio obiettivo, certamente non da una ragazza umana. No, c’era solo un modo per salvare la razza umana. E lui era l’unico a poterlo fare.
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