Capitolo 1

3399 Words
1 KELSEY «Pensi che sia grosso ovunque?» «Scommetto che è grosso quanto il suo conto in banca. Dio, riesci ad immaginarti di farti una cavalcata su un cazzo ricco? Scommetto che gli piace farlo un po’ violento. Già, tradirei con lui.» Tenni la porta dell’asilo aperta per Tanner così che potesse tornare di corsa fuori in cortile. Si era sporcato tutte le mani di fango e l’avevo portato a lavarsele. Mentre lui correva allo scivolo, io origliai la conversazione delle due mamme. «Mmm, non mi dispiacerebbe farmi premere contro un muro da lui. Troverò un modo per farlo succedere.» Era il momento dell’uscita pomeridiana e quelle donne erano arrivate con un paio di minuti di anticipo. Erano sedute assieme su una delle panchine all’interno dell’area giochi recintata. Per quanto avessero abbassato le voci poiché l’argomento non era adatto a dei bimbi piccoli, io non potei non recepire le loro parole. O in quale direzione stessero guardando. O chi stessero fissando. Un uomo. Un cowboy grosso e sexy nel parcheggio. Chiuse la portiera di un vecchio pickup—che decisamente nascondeva le dimensioni del suo conto in banca—si mise lo Stetson in testa e si diresse verso il recinto basso a lunghi passi. Non potei non notare il gioco di muscoli al di sotto dei suoi jeans consunti o come le maniche della sua camicia bianca fossero arrotolate a mettere in mostra degli avambracci muscolosi. Si chinò e poggiò le mani sulla ringhiera superiore, sorridendo mentre guardava i bambini. Whoa. Quel sorriso era letale. Per le mie mutandine. Non l’avevo mai visto prima, ma non significava nulla. Lavoravo all’asilo solamente da qualche mese e, dal momento che era estate, i bambini venivano in giorni diversi a seconda delle vacanze programmate dalle loro famiglie. Claire, una bimba di cinque anni con i capelli biondi raccolti in una singola treccia lungo la schiena, corse verso di lui sollevando le braccia. Suo padre la lanciò senza sforzo per aria e le diede un bacio rumoroso sulla guancia. Lei ridacchiò per poi dimenarsi nella sua presa per scendere. Lui la rimise in piedi sulle sue scarpine da ginnastica e lei corse verso le altalene, non ancora pronta ad andarsene perché aveva appena imparato a spingersi con le gambe da sola. Le mie ovaie esplosero al solo guardarli. Non c’era nulla di più dolce—e stranamente eccitante—del vedere un uomo così bravo con il proprio figlio. Non ero solo io a pensarla così dal momento che le due donne si stavano facendo aria con le mani mentre continuavano a fissarlo. Quelle donne? Loro avevano già dei figli. Degli uomini tutti loro. Potevano fantasticare sul signor Cowboy Sexy quanto volevano perché sarebbero tornate a casa a farsela con i loro mariti. Io? Niente marito. Niente fidanzato. L’unico con cui me la facevo io era il mio vibratore. Mi accigliai, i pensieri sul cowboy sexy annientati dall’amarezza che mi provocò il pensare al mio ex. Quello stronzo era stato un astuto traditore. Certo, io mi ero infilata in quel casino da sola essendo stata troppo ingenua e troppo libertina coi miei sentimenti, ma anche Tom mi aveva mentito spudoratamente dicendomi di essere single. Solo quando avevo caricato la macchina per seguirlo avevo scoperto che non lo era affatto. Una moglie e due figli non rendevano un uomo single, quello era certo, cazzo. Abbandonare la mia vita nel Colorado era stato proprio stupido e adesso ero bloccata lì. Ovviamente, non era tutta colpa di Tom. Dopo aver scoperto della sua famiglia segreta, mi ero scelta una pessima coinquilina da internet che aveva deciso di rubare tutto ciò che possedevo a parte i miei abiti… oltre ai soldi del mio affitto per poi piantarmi in asso. Lasciandomi senza un soldo e senza un tetto. Ecco come ero finita bloccata nel Montana. Non mi sarei dovuta fidare di Tom. Non mi sarei dovuta fidare di Laila, la cleptomane. Pensavo di aver imparato da mia madre e dal modo in cui si era legata ad un uomo dopo l’altro, finendo sempre per farsi scaricare una volta che si stufavano di lei. Dal momento che mi contattava solo dopo ogni rottura, immaginai che fosse ancora a Phoenix col tipo numero sette. O era l’otto? Non ci si poteva fidare degli uomini. Eppure, io l’avevo fatto. Solo una volta. Sospirai, incolpando più di tutti me stessa per il fatto che assomigliassi a mia mamma più di quanto pensassi. Le donne ridacchiarono, cosa che mi distolse dai miei pensieri. Per quanto il Montana non fosse rinomato per essere un paese elegante, indossavano jeans alla moda, magliette carine e sandali con la zeppa. Avevano i capelli ben acconciati e un trucco leggero, ma efficace. Se il cowboy sexy avesse avuto intenzione di provarci con una donna al parco giochi dell’asilo, l’avrebbe fatto con una di loro. Decisamente non con me, con i miei vecchi jeans e le scarpe da ginnastica. La mia maglietta era sporca di vernice blu davanti e avevo i capelli raccolti in una semplice coda di cavallo, sebbene la brezza leggera me ne avesse tirati via alcune ciocche ribelli. Non avevo idea del perché stessi anche solo pensando che quel tipo avrebbe scelto una di noi. Senza dubbio era sposato. Ovviamente era sposato, specialmente dal momento che una delle donne aveva detto che si sarebbe trattato di tradimento. Sua moglie probabilmente aveva i capelli biondi come quelli della loro bambina e sapeva benissimo quanto fosse grosso lui. Ovunque. «Mamma, Claire mi ha tirato i capelli.» Quella vocina indispettita proveniva da Tamara, che si stava lamentando con una delle mamme. Aveva appena compiuto quattro anni ed era adorabilissima, ma sarebbe stata sicuramente impegnativa una volta cresciuta un po’ di più. La madre di Tamara, che aveva gli stessi capelli scuri, ma senza i codini, sollevò la testa e controllò il parco giochi. Lo feci anch’io. Claire era ancora sull’altalena, a ridere di qualcosa che le stava dicendo Tanner seduto sull’altalena accanto. La donna si alzò, prese Tamara per mano e venne da me. «Deve punire Claire. È cattiva.» Io inarcai un sopracciglio, ma non dissi nulla, mi limitai ad accucciarmi di fronte a Tamara. Con gli uomini non ci sapevo fare, ma coi bambini? Eccome. Rivolgendole un piccolo sorriso, dissi, «Tirare i capelli, eh?» Lei annuì, i codini che ondeggiavano. «Fa male.» «Non ti ho vista affatto vicino a Claire nel parco giochi.» «È stata lei,» protestò subito Tamara, sporgendo il labbro inferiore. Io piegai la testa di lato. «Non sto dicendo che non l’abbia fatto, ma quando è successo, tesoro?» Tamara sollevò lo sguardo su sua madre. «Ha importanza?» mi chiese la donna. «Io credo a mia figlia. Lei cosa ha intenzione di fare al riguardo?» «Sto facendo qualcosa al riguardo adesso,» risposi io, sollevando il mento così da poter incrociare lo sguardo della mamma. «Noi qui discutiamo dei nostri problemi. Quand’è che Claire ti ha tirato i capelli?» Il mio sguardo tornò su Tamara. Lei si morse un labbro e mi lanciò un’occhiata per poi distogliere lo sguardo. «Ieri quando ci stavamo togliendo le giacche.» Nonostante fosse estate, ogni tanto la mattina faceva fresco. Come il giorno prima, quando avevo dovuto indossare una felpa fino a dopo pranzo. «Hai detto a qualcuno cos’era successo in quel momento?» le chiesi. Tamara scosse la testa. «Non esistono dei termini di prescrizione per un pessimo comportamento,» disse la mamma di Tamara. Non potei non notare il modo in cui batté il piede a terra dal momento che mi trovavo accucciata giù. Io la ignorai e mi concentrai su Tamara. Era palese da chi avesse preso il suo pessimo comportamento, per cui dovevo essere io a dare il buon esempio. «Cos’è successo esattamente?» Lei si portò un dito al collo mentre parlava. «Mi stavo togliendo la giacca e mi si sono impigliati i capelli nella zip. Claire mi ha aiutata, ma si sono tirati.» Io mi alzai e diedi una pacca sulla testa a Tamara. «Sembra che tu abbia bisogno di dire alla tua giacca di smetterla di essere così cattiva. Spero tu abbia ringraziato Claire per averti aiutata.» Tamara guardò a terra, poi rivolse un’occhiata furtiva a sua madre. «No.» Io non dissi nulla, mi limitai a concedere a Tamara un istante per capire cosa avesse bisogno di fare. «Grazie, Claire!» esclamò rivolta all’altro lato del parco giochi, poi strattonò la mano della madre. «Sono pronta ad andare, ora.» Ovvio che lo era dal momento che non aveva ottenuto l’attenzione da parte di sua madre che aveva sperato. La mamma mi scrutò dalla testa ai piedi come se fosse stata confusa dal modo in cui avevo ribaltato la situazione facendo passare per cattiva una zip. Senza aggiungere altro, le due attraversarono il parco giochi fino al cancelletto laterale che conduceva al parcheggio. Io sospirai, guardandole allontanarsi, chiedendomi come facesse quella donna a camminare con quei tacchi alti. Io non sarei mai stata così femminile. «Grazie.» La voce proveniva da dietro di me ed io mi voltai di scatto finendo praticamente addosso al signor Cowboy Sexy. Mi portai una mano al petto. «Cavoletti di Bruxelles, mi hai spaventata.» «Tranquilla.» Mi prese per un gomito come a stabilizzarmi. All’improvviso, cominciò a fare molto caldo e non per via del sole pomeridiano. Il mio cuore perse un battito quando sollevai lo sguardo, sempre più su, sul padre di Claire. Non mi ero minimamente accorta che avesse abbandonato il suo posto accanto al recinto. Doveva essere entrato mentre io mi ero messa a parare con Tamara e sua mamma, perché aveva in mano il piccolo zainetto rosa di Claire. Così da vicino, non potei non notare il fatto che avesse gli occhi chiari nonostante i suoi capelli fossero scuri. Quel contrasto era incredibile. Così come la sua mascella squadrata con un accenno di barba, come se non se la fosse fatta da qualche giorno. Mi stava fissando dall’alto, il suo sguardo che mi scorreva in viso, sul mio corpo, per poi tornare sulle mie… labbra? «Cavoletti di Bruxelles?» mi chiese, incurvando un angolo della bocca verso l’alto. Io mi accigliai, guardando la sua mano. Lui la ritrasse subito. «Un requisito del mio lavoro,» risposi. «Bisogna filtrare le parolacce con la c.» Lui mi stava guardando. Mi stava perfino studiando, i suoi occhi che si spostavano tra i miei per poi abbassarsi sulla mia bocca e tornare su. «Ho origliato la tua chiacchieratina con Tamara. È proprio come sua mamma e sta cominciando a rigirare le cose a suo favore. Conosco Delilah da quando eravamo bambini e non è cambiata affatto.» Anch’io avevo una mamma a cui piaceva rigirare le cose, ma non avevo intenzione di dirglielo. Non riuscivo a sopportare il suo scrutinio e spostai lo sguardo sui bottoni della sua camicia. Mi sentii arrossire. Maledetta pelle chiara. «Be’, sì.» Parlare male di una bambina di quattro anni—o di sua madre—non era una bella idea. Non potevo perdere il mio lavoro. Quando non dissi altro, lui aggiunse, «È incredibile come una tipa così piccola possa essere tanto brava a farlo.» Non si sbagliava. Ero grata del fatto di insegnare a dei bambini dell’asilo e non a degli adolescenti, perché Tamara avrebbe dato del bel filo da torcere nel giro di dieci anni, ne ero certa. Non dissi nulla, mi limitai a guardare i bambini che non erano ancora stati recuperati dai genitori. L’altra insegnante dell’asilo, Sarah Jane, si trovava dall’altro lato del parco giochi a tenerli d’occhio, parlando con Tanner e sollevando e abbassando le braccia, probabilmente spiegandogli come spingersi con le gambe come Claire. «Sto evitando Delilah da anni. Apprezzo il fatto che tu abbia difeso Claire.» Io a quel punto sollevai lo sguardo su di lui. I suoi occhi mi scorsero nuovamente in viso. «Claire è una brava bambina,» gli dissi. «E tu?» mi chiese lui. O quello fu ciò che pensai che mi avesse chiesto. Mi accigliai, portandomi una mano alla fronte per ripararmi gli occhi dal sole mentre sollevavo lo sguardo su di lui. L’avevo sentito bene? «Chiedo scusa?» Lui mi afferrò per le spalle e mi fece voltare così che il sole non mi accecasse. Poi si schiarì la gola e lasciò cadere le mani. «Non ti ho mai vista qui prima d’ora. Sei nuova?» La sua voce era profonda e roca. Quando io trassi un respiro profondo per rispondere, colsi il suo odore. Pino, bosco e un forte odore di maschio. «Sì. Sono in città da circa due mesi.» Lui mi offrì un cenno del capo distratto. «Mi sarei ricordato di te. Dio, quei capelli.» Mi portai una mano alla testa. Arrossii. Avevo dei riccioli rossi selvaggi raccolti con un elastico sulla nuca. Nulla li domava a prescindere da quanto ci provassi. Dal momento che avevo solamente gli asciugatori automatici per le mani nei bagni delle donne al centro sociale per asciugarmeli, erano peggio che mai. Lui allungò una mano, mi strattonò una ciocca che si era liberata e la fissò come se ne fosse stato ipnotizzato. Ero stata presa in giro per i miei capelli rossi, crescendo, e non ero sicura se lui stesse facendo lo stesso o se ne fosse compiaciuto. «Sono rossi,» dissi. Lui sogghignò, incrociando il mio sguardo. «Lo sono eccome, cazzo.» Sono rossi? Sul serio? Era quello che mi era uscito di bocca? Distolsi lo sguardo, sentendomi una vera idiota. Lui lasciò cadere la mano e se la infilò nella tasca frontale dei jeans. «Da dove vieni?» «Dal Colorado, ma mi sono trasferita a Bend per questo lavoro.» Non avevo intenzione di fornire altri dettagli. Non doveva sapere di Tom o della pessima coinquilina cleptomane né il fatto che fossi al verde. E praticamente una senzatetto. «Io mi chiamo Sawyer Manning.» Mi porse la mano. Io la fissai per un istante, poi gliela strinsi. La scintilla che provai mi fece voltare di scatto la testa per guardarlo negli occhi. La sua presa fu calda e salda e riuscii a sentire i suoi calli contro il mio palmo. Non avevo idea di cosa facesse per guadagnarsi tutti i soldi cui aveva accennato Delilah, ma non se ne stava seduto dietro una scrivania. «Kelsey.» «Non ti ha mai detto nessuno che sei bellissima?» La sua voce era soffice e mi ci volle un istante per assimilare quelle parole. Stava… stava flirtando con me? «Non ti ha mai detto nessuno che sei troppo diretto?» Strattonai la mano, cercando di ritrarla dalla sua stretta, ma lui non mi lasciò andare. Sogghignò. «Um, io--» Arrivò la mamma di Tanner e mi rivolse un cenno di saluto con la mano mentre il bambino correva verso di lei al cancello. Io strattonai di nuovo e lui mi lasciò andare. Risposi salutando entrambi prima che se andassero, ma i miei pensieri erano fissi sull’uomo molto grosso e molto sexy al mio fianco. «Dal momento che sei nuova, perché non lasci che ti faccia fare un giro per la città,» mi disse. Io sbattei le palpebre nella sua direzione per poi riprendermi dalla mia trance dovuta a quel figo. Solo perché era bello come un cowboy da calendario non significava che non fosse uno stronzo. Ero già rimasta scottata in passato. Non avrei permesso che succedesse ancora. Bend era piccola. Molto piccola. Se conosceva la mamma di Tamara da quando erano stati bambini, significava che era di quelle parti. Che conosceva tutti. Non avevo intenzione di diventare l’altra donna. Forse a mia madre non importava dello stato civile di un uomo prima di mettersi con lui, ma a me sì. E poi, se avessi perso il mio lavoro all’asilo, non avevo idea di cosa avrei fatto. Dormivo nella stanza sul retro dell’edificio. Una sistemazione a breve termine. La proprietaria dell’asilo, Irene, si era offerta di farmi stare a casa sua quando aveva scoperto la mia situazione, ma dopo una notte con tre bambini delle elementari—uno dei quali mi aveva messo del burro d’arachidi sul naso mentre dormivo—più due cani e un pappagallino cieco, avevo chiesto di poter usare la brandina fino a quando non avessi avuto i soldi necessari per versare la caparra per un appartamento. Lei avrebbe voluto fare di più per me, ma io non avevo intenzione di darle fastidio né di sentirmi in debito. Non avevo soldi, ma avevo un po’ di orgoglio. Visto come stavo risparmiando, speravo di riuscire a trovarmi un appartamento nel giro di poche altre settimane. Ero stata stupida in passato e quella era stata colpa mia. Però ora basta. Mi allontanai da Sawyer Manning e scossi la testa. Non avevo fatto nulla di sbagliato. Questa volta tenevo gli occhi aperti. Era lui lo stronzo. Dio, era un tale donnaiolo! Provarci con delle donne al parco giochi mentre sua figlia se ne stava sull’altalena? Non riuscivo a decidere se Tom fosse stato peggio a tenere nascosta la sua famiglia e ad illudermi o se lo fosse quel tipo, che mi chiedeva palesemente di uscire con lui mentre io sapevo benissimo che aveva una figlia. Una moglie. Se non altro lui non era un bugiardo. Ma in ogni caso… Potevo solamente immaginare cosa pensasse di me. Che fossi una zoccola? Peggio, una rovina famiglie? Si era fatto tutte le donne della città che lo conoscevano? Incrociando le braccia al petto, sollevai il mento. Incrociai il suo sguardo. «No.» «No?» mi chiese lui, inarcando le sopracciglia e facendole svanire sotto il cappello, apparentemente scioccato dalla mia risposta. «Ne sei sicura? Perché io qui ci sono cresciuto e conosco tutti i posti segreti.» Se non fosse stato sposato, mi sarebbe piaciuto molto farmi mostrare da lui tutti i posti segreti. Del mio corpo. Ma dal momento che lo era, le sue parole non fecero che irritarmi ulteriormente. «Ho detto di no,» risposi, poi mi guardai attorno per assicurarmi che non ci fossero bambini nei paraggi. «Se devo essere più chiara, che ne dici di questo? Per. Nessun. Cavoletto. Di. Bruxelles.» Dandogli le spalle, attirai l’attenzione di Sarah Jane e le feci cenno che era arrivato il momento che me ne andassi per quel giorno. Dal momento che dormivo nella stanza sul retro dell’asilo la notte, aprivo io la mattina ed era qualcun altro a chiudere. Lei annuì e mi rivolse un piccolo cenno di saluto con la mano ed io corsi dentro. Ero talmente agitata che tremavo. Tom mi aveva tirato un brutto scherzo, ma quel tipo? Dio, che coraggio. Aveva un gran cazzo nei pantaloni, ma anche delle belle palle. Davvero grosse. Come facevo a continuare ad attirare solo stronzi? Che cazzo avevo che non andava? Aprii una delle credenze in alto nel retro, quella che i bambini non riuscivano a raggiungere e ne tirai fuori la mia borsa. Una mano mi si posò sulla spalla ed io strillai. «Senti, mi dispiace se--» Elaborai quella voce, le parole, nello stesso istante in cui mi limitai a reagire. Forse fu colpa di tutto ciò che stavo passando, forse Sawyer Manning aveva scatenato tutto lo schifo che avevo represso e che era successo per via di Tom. Le conseguenze che stavo ancora vivendo in quel momento. O forse era solamente uno stronzo. Mi voltai di scatto e gli tirai una ginocchiata nelle palle. Lui si piegò in due, cadde in ginocchio e si lasciò cadere su un fianco rannicchiandosi in posizione fetale sulla moquette. Si portò le mani all’inguine. «Oh merda,» sussurrai io mentre lui gemeva a terra. Lanciai un’occhiata alla porta, sperando che Sarah Jane non entrasse portando nessuno degli altri bambini, né che arrivasse Claire a cercare suo padre. Stavo ansimando, l’adrenalina in circolo. Lo fissai, notando il modo in cui fosse sbiancato e come stesse rantolando. Non era stata mia intenzione tirare una ginocchiata nelle palle ad un cliente dell’asilo. Avevo semplicemente agito senza riflettere. Per la rabbia. Le cose si erano messe male. Molto male, nonostante lui se lo fosse meritato. Era quello che avevo voluto fare al mio ex. Colpirlo nel punto giusto, ma non ne avevo mai avuto l’occasione. «Ne ho avuto abbastanza di uomini come te,» dissi, posandomi le mani sui fianchi. Stava chiaramente soffrendo. Gli stava bene. «Prova a flirtare con qualcun altro.» Afferrando la mia borsa e le mie chiavi, uscii di corsa dalla porta d’ingresso. Avevo dato una bella lezione a Sawyer Manning, ma ne avevo imparata una anche io? Con le cattive, tipo perdendo il mio lavoro e il luogo in cui dormivo la notte?
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