vento

1164 Words
La porta si chiuse alle spalle di Gregor e le foglie sospinte dal vento, vorticarono ai suoi piedi mentre immobile osservava lo spettacolo di fronte a lui: alberi maestosi superavano in altezza il tetto dell’edificio avvolgendolo in una fitta vegetazione che non lasciava intravedere neanche uno spiraglio di cielo. Circondato da tutto quel verde, serpeggiava un unico sentiero che andava ad inoltrarsi poco più avanti, sparendo alla vista. Il bosco era di fronte a lui ed esercitava tutta la sua potente attrazione. Gregor si sentiva come chiamato dolcemente dal canto di una sirena e il timore iniziale stava lentamente lasciando il posto alla calma e al desiderio di immergersi in quell’atmosfera. Il vento cessò di soffiare e l’aria divenne immobile come in certe giornate d’estate. Sapeva che il bosco era il luogo del non ritorno, un luogo incantevole dal quale doveva stare alla larga. Tuttavia sapeva anche di avere trascorso troppo tempo nel sogno e non aveva idea di ciò che sarebbe successo se avesse tentato di svegliarsi. Si voltò indietro e vide un gruppo di persone disposte come se dovessero scattare una foto di gruppo: avevano i volti di coloro che aveva conosciuto e ai quali in qualche modo era rimasto legato. Erano le persone alle quali aveva voluto bene durante tutta la vita e sembravano in attesa della sua decisione. Guardò Eveline accanto a sé che gli teneva la mano e sorrideva. Era convinto che andare avanti fosse la cosa giusta da fare; sentiva che quella era la destinazione ultima da raggiungere. Le facce di tutti erano serene e nessuno accennava a muoversi. Si voltò verso il bosco ed iniziò a percorrere il sentiero. Lo scricchiolio del terreno sotto ai suoi piedi, prodotto da piccoli sassi, ramoscelli e foglie secche, era l’unico rumore udibile. La luce filtrava appena, brillando attraverso il tetto smeraldino in esili raggi e un filo di vento gli soffiava contro. L’atmosfera era incantevole e rilassante. Gregor proseguì domandandosi dove avrebbe portato quel sentiero del quale non riusciva a vedere la fine. E se fosse stata quella la fine? Avrebbe vagato in quella labirintica selva per l’eternità? Era ancora vivo, stava morendo o era già morto? Eveline non era più al suo fianco. Non si era accorto in quale momento aveva perso il contatto con la mano di lei. Forse quel luogo si poteva esplorare soltanto in compagnia di se stessi. Si fermò e toccò la corteccia di un albero i cui rami formavano, partendo dal basso, una specie di scalinata. Si mise a sedere su uno di essi appoggiando i piedi sul sottostante per riposarsi un po’ e allora sentì una voce bisbigliare qualcosa. Era impossibile capire cosa dicesse tantomeno riconoscere a chi appartenesse. Volle pensare che fosse una specie di saluto. Addio. Sussurrò Gregor. La voce poi si distribuì in una eco che come un vortice cominciò a girare intorno a lui. Cos’era quel posto? Era solo un prodotto della sua mente oppure un non-luogo, una specie di limbo che ognuno attraversava prima di morire? Il fatto che Race gliene avesse parlato aveva contribuito a crearlo oppure esisteva autonomamente? Si rimise in cammino finché un cervo, maestoso e impavido, attraversò il sentiero, a pochi metri da lui, sbarrandogli il passo. L’animale scrutò Gregor con i grandi occhi neri. Gregor proseguì finché si trovò abbastanza vicino da poterlo toccare, poi alzò lentamente la mano e toccò il muso del cervo, accarezzandolo: questo non ebbe paura, abbassò la testa e la rialzò come per tentare di annusare la mano, poi riprese a camminare, attraversando il sentiero e lasciando libero il passo a Gregor. Più avanti la vegetazione si infittiva. Gregor avrebbe dovuto farsi largo e spostare i cespugli con le mani per aprirsi una breccia. I rami e le foglie gli impedivano di vedere dove stesse andando. Fu costretto a procedere a testa bassa per ripararsi gli occhi dalle fronde che gli sbattevano addosso. Man mano che procedeva la luce aumentava d’ intensità. Presto avrebbe scoperto dove conduceva quel sentiero. Pensò che avrebbe dovuto provare paura, rammarico per la vita, se fosse morto. Se alla fine di quel sentiero fosse calata l’oscurità non avrebbe mai avuto tutto ciò in cui aveva sperato ma non provava paura, soltanto curiosità e impazienza. Spostando l’ennesimo ramo si accorse che la vegetazione si interrompeva lasciando alla vista la possibilità di vagare in un ampio spazio. Era giunto alla fine: la luce era molto forte e gli impediva di mettere a fuoco. Gregor allora guardò in basso come per assicurarsi di avere ancora i piedi, di non essere diventato una qualche sorta di entità evanescente. Fu sollevato dal vederli. Stava calpestando della sabbia fine, simile alla sabbia di una spiaggia. Più avanti la vegetazione si faceva meno fitta, fino a scomparire e il terreno si alzava in una grossa duna. La scalò aiutandosi con le mani e una volta giunto sulla cima vide un brulicare di persone intorno ad una moltitudine di ombrelloni piantati in terra. Era davvero una spiaggia. Quando si guardò indietro per capire da dove fosse venuto si accorse di non sapere perché si trovava in cima a quella duna ma notò una lunga file di impronte che dagli ombrelloni giungeva fino ai suoi piedi. Era stato lui a lasciarle? Possibile? Non ricordava. Non ricordava niente di ciò che era successo fino a pochi secondi prima. Era come se si fosse materializzato in cima a quella duna, teletrasportato da un’altra dimensione. Eppure avrebbe giurato di non essere mai stato su quella spiaggia. La sabbia gli scottava i piedi mentre scendeva la collinetta cercando di individuare il punto in cui si trovava esattamente il suo ombrellone. Man mano che si avvicinava tutto gli appariva più chiaro ed ebbe la sensazione di stare lentamente riacquistando la memoria. Evitò con cura di calpestare gli asciugamani distesi. C’era chi giocava a racchettoni, chi leggeva riviste sulle sedie a sdraio e chi si era addormentato lasciando cadere qualsiasi cosa avesse in mano. Dei bambini scavavano una grossa buca e altri costruivano castelli di sabbia e giocavano con dei piccoli stampini dalle forme più svariate. Era immerso nel classico brusio, nel chiacchiericcio prodotto dalla massa. Fece alcuni passi in direzione di quello che gli sembrò essere il suo ombrellone e vide per terra lo stampino verde a forma di coccodrillo: era di Oscar. Più avanti Eveline stava leggendo, indossava un paio di occhiali scuri e il suo cappello preferito. Oscar era disteso, sembrava addormentato ma quando Gregor si avvicinò alzò la testa e lo guardò. ?Papà! Sei tornato!?. Eveline si voltò come se fino a quel momento non si fosse accorta della sua presenza. ?Greg!?. ?Sì, sono tornato?. Oscar si alzò in piedi e lo abbracciò. ?Finalmente papà! Giochiamo col coccodrillo?? Gregor sorrise, annuì, lo prese per mano e insieme iniziarono a ridere e a correre verso il mare.
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