CAPITOLO TERZO

2307 Words
CAPITOLO TERZO L'allieva di Giovanni de Witt Intanto che le grida della folla radunata sul Buytenhof, salendo sempre più minacciose verso i due fratelli, spronavano Giovanni de Witt ad affrettare la partenza di suo fratello Cornelio, una deputazione di borghesi si era recata, come abbiamo detto, al palazzo di città per chiedere il ritiro del corpo di cavalleria di Tilly. La distanza fra il Buytenhof e l'Hoogstraet era breve; e così si vide un forestiero che aveva seguito tutti i particolari con curiosità, fin dal momento in cui era incominciata questa scena, dirigersi con gli altri, o piuttosto al seguito degli altri, verso il palazzo di città per apprendere immediatamente la notizia di ciò che vi sarebbe capitato. Questo straniero era un giovane di ventidue o ventitré anni appena, apparentemente senza vigore. E poiché doveva avere le sue ragioni per non farsi riconoscere, nascondeva la sua faccia pallida e smagrita dietro un fine fazzoletto di Frisia, con il quale non smetteva mai di asciugarsi la fronte madida di sudore o le labbra che scottavano. L'occhio fisso come quello dell'uccello da preda, il naso aquilino e lungo, la bocca fine e dritta, aperta, o piuttosto intagliata come le labbra di una ferita, avrebbero reso quest'uomo un soggetto degno di studio fisiologico da parte di Lavater, se egli fosse vissuto in quell'epoca; ma tale studio non sarebbe stato un vantaggio per quell'uomo. ( [11] ) ″ Quale differenza si può riscontrare tra il viso di un conquistatore e quello di un pirata?″ dicevano già gli antichi. Quella stessa che si può riscontrare tra l'aquila e l'avvoltoio. La serenità o l'inquietudine. Così, questa fisionomia livida, questo corpo sottile e acciaccato, questo modo di camminare ansioso dal Buytenhof all'Hoogstraet, al seguito del popolo schiamazzante, davano l'idea di un padrone sospettoso o di un ladro inquieto. Un poliziotto avrebbe certo optato per quest'ultima identificazione, in considerazione della cura con cui l'individuo di cui ci occupiamo cercava di tenersi nascosto. D'altra parte egli era vestito con semplicità e disarmato; il braccio magro ma nervoso, la mano secca ma bianca, fine e aristocratica, era appoggiata non al braccio ma sulla spalla di un ufficiale il quale, con la mano all'impugnatura della spada, fino al momento in cui il suo compagno si era messo in moto e l'aveva trascinato con sé, aveva osservato la scena del Buytenhof con un interesse facile da comprendere. Quando giunsero sulla piazza dell'Hoogstraet, l'uomo dal viso pallido spinse quell'altro al riparo di un'imposta aperta e fissò gli occhi sul balcone del palazzo di città. Fra le grida forsennate della folla, la finestra dell'Hoogstraet si aprì e vi comparve un uomo a parlamentare con la folla. «Chi è apparso là al balcone?» domandò il giovanotto all'ufficiale, indicando solo con un cenno degli occhi l'arringatore che appariva molto agitato e che si sosteneva alla balaustrata più che protendersi su di essa. «È il deputato Bowelt.» rispose l'ufficiale. «Che tipo d'uomo è questo deputato Bowelt? Lo conoscete voi?» «Un brav'uomo, così almeno credo, Monsignore.» Il giovanotto, sentendo questa valutazione del carattere di Bowelt fatta dall'ufficiale, si lasciò sfuggire un moto di così strano disappunto e di così visibile scontentezza che l'ufficiale se ne accorse e si affrettò ad aggiungere: «Così dicono, almeno, Monsignore. Quanto a me, non posso dirne niente, perché non conosco personalmente il signor Bowelt.» «Un brav'uomo - ripeté colui che era stato chiamato Monsignore - era ″brav'uomo″ che volevate dire, oppure ″uomo bravo, valoroso″?» «Ah! Monsignore mi scuserà; io non oserei stabilire una tale distinzione a proposito di un uomo che, come ripeto a Vostra Altezza, conosco appena di vista.» “ Va bene - mormorò il giovanotto - aspettiamo e vedremo.» L'ufficiale chinò il capo in segno di assenso e stette zitto. «Se questo Bowelt è un brav'uomo, - continuò l'Altezza - sarà molto scosso dalla richiesta che questa folla infuriata gli sta per fare.» E il movimento nervoso della mano che si agitava suo malgrado sulla spalla del compagno, come avrebbero fatto le dita di un musicista sui tasti di un pianoforte, tradiva la sua ardente impazienza così mal celata in certi momenti, e in questo momento soprattutto, sotto l'aria glaciale e accigliata del viso. Si udì allora il capo della delegazione borghese chiedere al deputato dove si trovassero gli altri deputati suoi colleghi. «Signori, - ripeteva per la seconda volta il signor Bowelt - vi dico che in questo momento sono solo col signor d'Asperen e non posso prendere una decisione da solo.» «L'ordine! L'ordine!» gridarono diverse migliaia di voci. Il signor Bowelt tentò di parlare, ma non si riuscirono a sentire le sue parole e si vide solamente che le sue braccia si muovevano in gesti senza nesso e pieni di disperazione. Vedendo però che non riusciva a farsi capire, si voltò verso la porta spalancata del balcone e chiamò il signor d'Asperen. Il signor d'Asperen comparve a sua volta sul balcone e venne accolto da grida ancora più energiche di quelle che qualche minuto prima avevano accolto il signor Bowelt. Non per questo egli rinunciò al compito di arringare la folla; ma la folla, anziché rimanere ad ascoltare l'arringa del signor d'Asperen, preferì forzare la guardia degli Stati, che d'altra parte non oppose alcuna resistenza al popolo sovrano. «Andiamo, - disse con freddezza il giovanotto, mentre il popolo si inabissava attraverso la porta principale dell'Hoogstraet - sembra che la decisione debba essere presa all'interno del palazzo. Andiamo anche noi ad ascoltarla, colonnello.» «Ah! Monsignore, Monsignore, state attento!» «A che cosa?» «Tra quei deputati ve ne sono molti che hanno avuto dei rapporti con voi, e basta che uno solo riconosca Vostra Altezza!» «Sì, e subito mi si accuserebbe di essere l'istigatore di tutto questo.» «Hai ragione.» disse il giovanotto, le cui guance arrossirono per un istante per il rammarico di aver mostrato tanta precipitazione nei suoi desideri. «Sì, tu hai ragione, restiamocene qui. Di qui li vedremo tornare con o senza l'autorizzazione, e in tal modo potremo giudicare se il signor Bowelt è un brav'uomo oppure un uomo coraggioso; cosa che mi sta a cuore appurare.» «Ma Vostra Altezza non suppone per un solo istante, penso, che i deputati ordineranno ai cavalieri di Tilly di allontanarsi, non è vero?» «Perché?» domandò freddamente il giovane. «Perché se danno questo ordine, sarà come sottoscrivere la condanna a morte dei signori Cornelio e Giovanni de Witt.» “ Staremo a vedere. - rispose con freddezza Sua Altezza - Dio soltanto può sapere ciò che passa nel cuore dell'uomo.» L'ufficiale guardò di sottecchi il viso impassibile del compagno e impallidì. L’ufficiale era al tempo stesso coraggioso e un brav'uomo. Dal loro nascondiglio il principe e l'ufficiale continuavano a sentire le grida e il tramestio della folla che saliva le scale del palazzo di città. Poi si udì questo rumore diffondersi sulla piazza dalle finestre di quella sala con balcone dalla quale erano comparsi i signori Bowelt e d'Asperen; costoro erano subito rientrati all'interno, senza dubbio per il timore che il popolo, dando loro qualche spinta, non li facesse precipitare dal balcone. Poi si videro ombre tumultuose passare dietro i vetri di quelle finestre. La grande sala del consiglio si andava riempiendo. All'improvviso il rumore si arrestò; poi di nuovo all'improvviso raddoppiò d'intensità e giunse a un tale grado da sembrare un'esplosione che fece tremare l'edificio fino alla sua cima. Poi il torrente riprese a rotolare attraverso gallerie e scaloni fino al portone, sotto la volta del quale lo si vide sbucare come una tromba marina. Alla testa del primo gruppo correva, pur sembrando che volasse, un uomo odiosamente sfigurato dalla gioia. Era il chirurgo Tickelaer. «Lo abbiamo! Lo abbiamo!» gridava, agitando un foglio. «Hanno ottenuto l'ordine!» mormorò l'ufficiale allibito. «Bene, sono a posto. - disse tranquillamente l'Altezza - Mio caro colonnello, voi non sapevate se il signor Bowelt fosse un brav'uomo o un uomo coraggioso. Non è né l'uno né l'altro.» Poi continuando a seguire con gli occhi, senza batter ciglio, tutta quella folla che dilagava davanti a lui, disse: «Adesso torniamo al Buytenhof, colonnello. Credo che assisteremo a uno strano spettacolo.» L'ufficiale s'inchinò e seguì il suo signore senza fiatare. Sulla piazza e davanti alla prigione la folla era immensa, ma i cavalieri di de Tilly riuscivano a contenerla. Ben presto il conte vide i reduci dal palazzo di città arrivare con la velocità e l'impeto di una mareggiata. Nello stesso tempo scorse il foglio che veniva agitato in aria, fra le armi levate e i pugni chiusi. «Ehi, - disse levandosi in arcione e toccando col pomo della spada il suo luogotenente - temo che quei miserabili abbiano l'ordine.» «Infami vigliacchi!» gridò il luogotenente. La compagnia dei borghesi avanzò con un urlo di gioia verso i cavalieri con le armi abbassate. «Alt! - gridò il conte - Non toccate la cavezza dei miei cavalli se non volete che vi carichiamo.» «Ecco l'ordine!» gridarono cento voci insolenti. De Tilly prese il documento, gli diede un'occhiata e rispose a voce alta: «Coloro che hanno firmato questo ordine sono i veri carnefici del signor Cornelio de Witt. Preferirei perdere le mani piuttosto che firmare una simile infamia.» «Un momento. - aggiunse poi, respingendo con l'impugnatura della spada l'uomo che voleva riprendergli il foglio - Documenti come questo sono importanti e bisogna conservarli.» Piegò il foglio e lo ripose con cura nel giustacuore. «Cavalieri di Tilly!» gridò poi, volgendosi ai suoi uomini: «Per-fila-destr! E adesso, - aggiunse a voce bassa, ma in modo che le sue parole non sfuggirono ad alcuno - fate il vostro lavoro, assassini!» Un grido di odio e di gioia feroce accolse la partenza della truppa. I cavalieri sfilavano lentamente e il conte restò alla retroguardia per tener fronte fino all'ultimo alla marmaglia ebbra che avanzava. Come si vede, Giovanni de Witt non aveva esagerato il pericolo quando aveva affrettato la partenza del fratello. Cornelio scese le scale che portavano al cortile, appoggiato al braccio dell'ex Gran Pensionario. Rosa li aspettava da basso tutta tremante. «Signor Giovanni, quale disgrazia!» «Che c'è, bambina mia?» domandò de Witt. «Dicono che sono andati all'Hoogstraet per farsi dare l'ordine di allontanare i soldati del conte de Tilly.» «Oh, oh! Davvero, se i cavalieri se ne vanno la nostra situazione diventa grave...» «Vorrei darvi un consiglio...» disse la giovinetta, tremando. «Parla, bambina mia. Non vi sarebbe nulla di strano, che Dio mi consigliasse per bocca tua.» «Ebbene, signor Giovanni, io non uscirei sulla strada principale.» «E perché, dal momento che i cavalieri di Tilly sono sempre al loro posto?» «Sì, ma finché non sarà revocato, hanno l'ordine di restare dinanzi alla prigione.» «Senza dubbio.» «Voi ne avete uno che consenta che vi accompagnino fino all'uscita dalla città?» «No.» «Ebbene, appena avrete superato i primi cavalieri, cadrete nelle mani del popolo.» «Ma la milizia borghese?» «Oh, la milizia borghese è la più rabbiosa!» «Che fare allora?» «Al vostro posto, signor Giovanni, uscirei dalla postierla. - continuò timidamente la ragazza - Si affaccia su una strada deserta, e poiché stanno tutti in attesa dinanzi all'ingresso sulla strada principale, raggiungerei la porta della città per la quale fuggire.» «Ma mio fratello non potrà camminare.» «Tenterò.» rispose Cornelio con espressione di sublime forza. «Ma non avete la vostra carrozza?» domandò la ragazza. «La carrozza è là, davanti all'ingresso principale.» «No. - rispose la fanciulla - Ho pensato che il vostro cocchiere fosse un uomo di fiducia e gli ho detto di andare ad aspettarvi all'uscita della postierla.» I due fratelli si scambiarono uno sguardo commosso, che poi si concentrò con riconoscenza sulla fanciulla. «Ma bisogna vedere se Grifo vorrà aprirci quella porta osservò il Gran Pensionario.» «Oh no, egli non lo vorrà proprio.» disse Rosa. «E allora?» «Allora io ho previsto il suo rifiuto e poco fa, mentre egli discuteva dalla finestra della prigione con un soldato, gli ho sottratto la chiave.» «E c'è l'hai questa chiave?» «Eccola, signor Giovanni.» «Bambina mia, - disse Cornelio - non ho nulla da darti per ricompensarti di ciò che hai fatto per noi; nulla, tranne la Bibbia che troverai nella mia camera. È l'ultimo regalo di un uomo onesto. Spero che ti porti fortuna.» «Grazie, signor Cornelio, la terrò sempre con me.» rispose la ragazza. E aggiunse con un sospiro: «Che peccato che io non sappia leggere!» «Il clamore aumenta, ragazza mia, - si intromise Giovanni - credo che non ci sia tempo da perdere.» «Venite.» disse la bella frisona, e guidò i due fratelli attraverso un corridoio interno, verso il lato opposto della prigione. Scesero uno scalone di dodici gradini, attraversarono un piccolo cortile chiuso da bastioni merlati, e dopo che si fu aperta la porta di cinta, si ritrovarono dall'altro lato della prigione nella strada deserta, dinanzi alla vettura che li aspettava con il predellino già abbassato. «Presto, presto, signori! - gridò il cocchiere spaventato - Non li sentite?» Dopo aver fatto salire Cornelio, il Gran Pensionario si rivolse alla fanciulla: «Addio, bambina mia, le mie parole non potrebbero esprimerti in modo adeguato la nostra riconoscenza. Ti raccomando a Dio, il quale si ricorderà, io spero, di ciò che hai fatto per salvare la vita di due uomini.» Rosa baciò rispettosamente la mano che il Gran Pensionario le tendeva. «Andate, andate. - esclamò - Sembra che stiano sfondando il portone.» Giovanni de Witt balzò rapidamente nella carrozza, prese posto accanto al fratello e chiuse lo sportello, gridando al cocchiere: «Al Tol-Hek!» Il Tol-Hek era la porta della città che dava sulla strada di Scheveningen, il piccolo porto in cui aveva gettato l'ancora la nave che doveva portare in salvo i de Witt. La carrozza partì al galoppo di due focosi cavalli fiamminghi e portò via con sé i fuggitivi. Rosa li seguì finché ebbero girato l'angolo. Allora rientrò per chiudersi la porta alle spalle e gettò quindi la chiave in un pozzo. Il rumore che aveva fatto temere a Rosa che il popolo stesse sfondando la porta era in realtà quello provocato dal popolo che, dopo aver fatto evacuare la piazza della prigione, si precipitava contro la porta. Per quanto solida fosse, e per quanto il carceriere Grifo (bisogna dargliene il merito) si rifiutasse ostinatamente di aprire le porta, ci si rendeva conto che essa non avrebbe resistito a lungo, e Grifo, tutto impallidito, si stava chiedendo se non fosse meglio spalancarla e non farla mandare in pezzi, quando si sentì dolcemente tirare l'abito. Girandosi, vide Rosa. «Li senti, quegli energumeni?» esclamò. «Li sento così bene, padre mio, che al vostro posto io...» «Tu apriresti, non è vero?» «No, lascerei sfondare il portone.» «Ma mi uccideranno.» «Sì, se vi vedono.» «E come potrebbero non vedermi?» «Nascondetevi.» «E dove?» «Nella segreta.» «E tu, bambina mia?» «Io, padre mio, scenderò con voi. Chiuderemo la porta sopra di noi e quando essi avranno lasciato la prigione, noi usciremo dal nascondiglio.» «Hai ragione, perbacco - esclamò Grifo - ce n'è del cervello nella tua testolina.» Poi mentre la porta cominciava a cedere tra le esclamazioni di gioia del popolaccio. «Venite, venite, padre mio.» esclamò Rosa, aprendo una piccola botola. «E i nostri prigionieri?» «Dio veglierà su di loro, padre mio, - disse la fanciulla - permettetemi di vegliare su di voi.» Grifo seguì la figliola, e la botola ricadde sulla loro testa, proprio nel momento in cui la porta veniva sfondata e consentiva il passaggio alla folla. D'altronde, la cella in cui Rosa faceva scendere suo padre e che veniva chiamata ″la segreta″ offriva un rifugio sicuro ai due personaggi, poiché era conosciuta solo dalle autorità che talvolta vi rinchiudevano qualcuno di quei grandi colpevoli per i quali si temeva una rivolta o un tentativo di sequestro. Il popolo si precipitò nella prigione gridando: «Morte ai traditori! Alla forca Cornelio de Witt! A morte! A morte!»
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