Capitolo 1-1

2009 Words
1 «Dannazione, Ace, riporta qui il culo!» L’urlo indignato di King arrivò attraverso l’auricolare di Ace, facendogli piegare le labbra in un sorriso malizioso. Spinse sull’acceleratore e la sua Chevy Camaro Zl1 decappottabile ruggì come un animale selvatico. Con il vento che gli sferzava i capelli, percorse a tutta velocità Anastasia Park Road, conducendo il suo veicolo a una manciata di metri dal SUV nero che cercava di seminarlo. Pensavano davvero che sarebbero riusciti a sfuggirgli? «Non sei Vin Diesel in un cazzo di film di Fast and Furious. Finirai con l’ammazzarti!» «È come se neanche mi conoscessi,» gridò Ace con una risata, tirando fuori la sua Glock dalla fondina sotto il braccio. Si sporse verso sinistra e sparò un colpo di avvertimento, che centrò la luce posteriore sinistra dell’auto. Il SUV sbandò, riprese il controllo e poi balzò in avanti a tutta velocità. «Hai appena aperto il fuoco in un parco nazionale? Porco cazzo!» «Linguaggio, amico. Cosa direbbe mamma?» «Non coinvolgere tua madre in questo,» «Ci sono solo gli alberi e la strada. Inoltre, devi stare attento alla pressione, vecchio.» «Vecchio… vaffanculo! Ho solo un anno più di te.» «Due, tecnicamente.» Ace si sporse ancora e stavolta sparò alla luce posteriore destra, facendo sbandare di nuovo il SUV. Dilettanti. «Il mio compleanno è tra due mesi, quindi tu hai già quarantuno anni mentre io sono ancora negli ‘enta’.» «Smettila di sparare!» «Perché?» «Perché? Perché? Il ‘perché’ dovrebbe essere ovvio, brutto stronzo.» Ace si sforzò di non ridere. King lo rendeva fin troppo semplice. «Come ho già detto, non c’è nessuno qui fuori, quindi rilassati. Li prenderò prima che raggiungano l’A1A.» «Quando ti metterò le mani addosso…» Si sentirono dei suoni attutiti dall’altra parte della linea, poi arrivò il brontolio carezzevole di Red. «Ace? Devi fermarti, amico. Lascia che se ne occupi la polizia. Quindici minuti. Saranno da te tra quindici minuti.» «Non posso, socio. Cliente mio, problema mio.» «Sì, lo capisco… ma, Ace, non sei responsabile se il prodotto che ti sei impegnato a trasportare per contratto viene rubato prima del tuo arrivo.» ‘Fanculo. Non aveva importanza che, quando aveva raggiunto il cliente a casa sua, l’uomo stesse gridando contro un SUV nero che sgommava via a tutta velocità, filandosela con la sua collezione di armi antiche del valore di milioni di dollari. Il punto era che quello era il suo cliente, e lui non avrebbe permesso mai e poi mai che quegli stronzi se la svignassero sotto ai suoi occhi con la refurtiva. «Ace?» Sorrise quando udì il forte accento del cugino, parte dell’eredità ispanica che condividevano grazie alla madre cubana di Ace. «Ehi, c’è tutta la famiglia! Ciao, Lucky. Come sta King?» «Cammina su e giù per l’ufficio e dice qualcosa sul fatto che lo farai morire prima del tempo. Por favor. Puoi per piacere non far venire un’ulcera al nostro migliore amico e capo, per piacere?» Ace fece una risatina nasale. «King è come una cazzo di blatta della Florida. Indistruttibile. Gli è finito addosso un carro armato ed è ancora vivo. Te lo ricordi?» Red e Lucky scoppiarono a ridere in modo rumoroso e vivace. Cavolo, voleva bene a quei bastardi. Come previsto, King tornò in linea sbraitandogli contro. «Adesso stammi a sentire, arrogante rompipalle. Meglio che tu faccia quel cazzo che hai intenzione di fare e che non muoia, o verrò a darti la caccia e ti ammazzerò!» «Beh, quello che dici non ha senso. Come puoi ammazzarmi se sono già morto? Insomma, immagino che se stessi morendo e poi tu mi strozzassi, o se…» «Ace!» «Capito. Portare a termine il lavoro. Non morire. Dovrebbe essere il nostro nuovo motto. Ce lo vedo, proprio sotto allo stemma della Four Kings Security. I clienti lo adorerebbero.» «Brutto…» «Devo andare. Non far mangiare tutti i donut a Red, e di’ a Lucky che mi deve ancora cinquanta dollari.» Riuscì a sentire il cugino che imprecava contro di lui in inglese e spagnolo prima di chiudere la comunicazione. Era ora di mettere fine a quella storia. Aveva dato due avvertimenti a quegli stronzi, che però avevano scelto di ignorare. «Al terzo strike sei fuori.» Approfittando della corsia adiacente vuota, quella riservata al traffico nella direzione opposta, Ace spinse sull’acceleratore e si affiancò al SUV. L’uomo alla guida lo guardò e lui lo salutò con la mano, la stessa che impugnava la pistola, e un gran sorriso sulla faccia. Gli fece segno di accostare, ma gli venne mostrato il dito medio per il suo disturbo. «Okay, facciamo a modo vostro.» Ace si preparò a sparare a una delle gomme, ma il tizio sterzò bruscamente e lui frenò di colpo. «Quello stronzo ha cercato di schiantarsi contro di me! Quindi è così, eh?» Accarezzò il volante. «Non preoccuparti, piccola. Nessuno ti farà del male. Ci penserà papino.» Mettendo a tavoletta, si fiondò in avanti nella carreggiata sgombra e superò in velocità il SUV fino a trovarsi a parecchi metri oltre il veicolo. Si stavano avvicinando alla A1A e, soprattutto, al traffico. Strattonò il volante e la Camaro ruotò, fino a che lui non si ritrovò a guardare la direzione opposta. Innestò la retromarcia e pigiò sull’acceleratore, sorridendo al conducente sbalordito del SUV mentre gli sfrecciava accanto prima di spostarsi nella sua stessa corsia e trovarsi quasi a un palmo dal suo naso. Ace gridò forte, l’adrenalina che gli correva nel corpo. Con chi pensavano di avere a che fare quei tizi? La guida difensiva era uno dei fondamentali della Four Kings Security. E non guastavano neanche tutti gli anni che aveva passato a guidare ogni sorta di veicolo su ogni tipo di terreno. Del movimento sul sedile del passeggero attirò la sua attenzione. Il tizio infilò l’MP5 fuori dal finestrino ma, prima che riuscisse a prendere la mira, Ace sparò a una delle gomme anteriori, poi all’altra. E, a differenza della sua auto, equipaggiata con penumatici run flat, a pressione zero, quei tizi avevano della roba di merda. Il conducente del SUV perse il controllo, sbandando fuori strada e finendo tra gli arbusti. Ace girò l’auto e li seguì, poi frenò quando il SUV si fermò con un sobbalzo. Parcheggiò la sua Camaro, si tolse la cintura di sicurezza e scese. Stava per dirigersi verso il monovolume quando sentì la voce assillante di King nella testa. Con un grugnito, si sfilò la doppia fondina e agguantò il giubbotto antiproiettile dal sedile del passeggero. Se lo infilò rapidamente, mise in sicurezza la Glock, aprì il bagagliaio e tirò fuori il suo fucile Taser. Dopo aver chiuso per bene il portellone, si diresse verso i fitti arbusti con il fucile pronto. L’unico rumore attorno a lui era quello del traffico sulla A14 in lontananza. Si avvicinò di soppiatto al veicolo, assicurandosi di restare ben accovacciato nella vegetazione folta, secca e morta. Era passato mezzogiorno, e anche se la temperatura era al di sotto dei ventisei gradi, l’umidità al settanta percento e il sole abbagliante stavano cercando di farlo arrosto. Aveva già la T-shirt nera attaccata alla schiena, il sudore gli imperlava la fronte e di certo il peso del giubbotto antiproiettile non era di aiuto. Ciononostante, poiché aveva cacciato in condizioni peggiori, si rese conto a malapena della seccatura. Il SUV oscillò, poi i due sportelli anteriori si aprirono. Il conducente e il suo partner si lasciarono cadere fuori dal veicolo, rannicchiati. Il primo teneva una pistola vicino al corpo, l’altro l’MP5. Si lanciarono verso l’estremità dell’auto e il conducente aprì il bagagliaio. Dentro c’era una grossa cassa blindata, e Ace scosse la testa. Avevano intenzione di usare un mucchio di armi da fuoco antiche? «Cazzo,» sibilò il guidatore. «Ha un qualche tipo di chiusura high-tech.» Ma dai. Quei tipi ovviamente non avevano alcuna esperienza per quanto riguardava tutta la questione dei furti. Pensavano davvero che una collezione di armi del valore di milioni di dollari sarebbe stata infilata in una vecchia scatola qualsiasi? Ace riconobbe la cassa; quella marca specifica delle meraviglie era fornita di chiusure biometriche e scanner dell’impronta digitale, quindi quei tizi erano proprio fregati del tutto. Ace regolarizzò il respiro e si mise lentamente in posizione, proprio dietro di loro. Aveva visto tutto quello che gli serviva. Si alzò con attenzione e puntò il fucile contro i due. «Qualche problema cardiaco di cui dovrei essere a conoscenza?» «Ma che cazzo?» Il tipo con l’MP5 e il suo socio saltarono come gatti spaventati. Si girarono, fissandolo, poi abbassarono lo sguardo sull’arma che aveva in mano, le espressioni comicamente sbalordite. Probabilmente erano le sezioni giallo vivace sulla canna che li confondevano. «Che cazzo è quello?» chiese il conducente, facendo segno verso il fucile. «Non avete risposto alla mia domanda. Problemi cardiaci? Come sta il vostro cuore?» I due uomini si scambiarono degli sguardi prima che il conducente scuotesse la testa. «Il mio cuore sta bene.» «Anche il mio,» rispose l’altro. «Lieto di saperlo.» Sparò in rapida successione, colpendo prima il partner e poi il conducente; i cinquecento volt della scarica elettrica li fecero cadere a terra, dando a Ace all’incirca venti secondi. Le sirene riempirono l’aria, ma quando la polizia arrivò sulla scena, lui era già poggiato contro la sua auto, le braccia incrociate sul petto e i due uomini bloccati con le fascette ai polsi, distesi a terra accanto ai suoi piedi. Quattro auto di pattuglia si fermarono sbandando, e Ace salutò con la mano. Un agente molto alto e che sembrava piuttosto infastidito, con indosso occhiali da sole da aviatore, scese dalla propria auto. Raggiunse Ace, camminando impettito come un cowboy appena uscito da un vecchio western, o meglio dal Texas, visto che in un’altra vita l’agente Mason Cooper era stato proprio quello. Mason sovrastò Ace, le gambe lunghe, il petto ampio e i bicipiti forti, le grandi mani poggiate sulla cintura. Spostò gli occhiali da sole sopra la testa, le labbra carnose – che lui per esperienza diretta sapeva avessero un gran buon sapore – tirate in una linea sottile. «Buon pomeriggio, agente Cooper,» esordì Ace con un gran sorriso. «Quindici minuti,» ringhiò Mason, con quella sua parlata texana lenta e strascicata che gli riportava alla mente ricordi di loro due a letto insieme, nudi, tutti quei muscoli sodi premuti contro Ace, il sexy brontolio dell’uomo che gli faceva arricciare le dita dei piedi. «Non potevi aspettare quindici maledetti minuti?» Ace lo guardò di traverso. «È una domanda retorica?» Gli occhi blu ghiaccio di Mason si strinsero. Afferrò Ace per un braccio e iniziò a trascinarlo lontano dall’auto prima di gridare da sopra la spalla: «Portateli via da qui. Devo parlare un attimo con il signor Sharpe.» Ace trattenne una risata per il maltrattamento di Mason. «Beh, questo mi ricorda qualcosa.» L’uomo grugnì, assicurandosi che fossero abbastanza distanti dagli altri agenti prima di lasciarlo andare, il timbro basso che faceva cose deliziose all’inguine di Ace. «Stai bene?» Mason passò minuziosamente lo sguardo su di lui, gli occhi che si scurivano per il desiderio. Strattonò una delle cinghie del suo giubbotto antiproiettile. «Lo hai messo.» Ace alzò gli occhi al cielo. «Sì, beh, o lo indossavo o King mi avrebbe di nuovo dato l’assillo.» «Mi piace come ti preoccupi più per come King potrebbe assillarti piuttosto che per la possibilità di finire con un proiettile in corpo.» «Penso che le due cose non si escludano a vicenda. Ricordi quando hai arrestato Red?» Mason gemette. Forte. «Esatto, e come sta andando per te il “non essere assillato da King per l’immediato futuro”?» «Quante volte dovrò chiedere perdono per quella faccenda? Stavo facendo il mio lavoro, cavolo. Non dovrei scusarmi! Era il mio primo giorno. Non sapevo chi cazzo foste voi tutti. Ho risposto a una segnalazione di furto con scasso, e Red era lì ed era legato. Come cazzo potevo sapere che era stato assunto per fare da babysitter alla proprietà? Non mi è stato detto di voi finché King non è arrivato al distretto e tutti hanno perso la cazzo di testa perché a quanto sembrava avevo fatto incazzare il Messia.»
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