Capitolo II

1148 Words
Capitolo II Marito e padre La signora Shelby finì di vestirsi e uscì. Elisa, affacciata alla finestra della grande veranda, seguì con sguardo malinconico la carrozza della padrona che si allontanava. D’un tratto una mano si posò sulla sua spalla. Si volse impaurita e subito il suo viso si illuminò: “Oh, sei tu, Giorgio? Mi hai fatto paura! Come sono felice che tu sia venuto! La padrona non c’è, è uscita. Vieni in camera mia; possiamo stare soli”. Così dicendo, lo prese per mano e lo condusse in una piccola camera la cui porta affacciava sulla veranda. “Come sono felice! Ma tu perché non sorridi? Guarda il nostro Harry. Guarda, come si fa grande!” Il bambino osservava intimidito suo padre e si stringeva sempre più alle sottane della mamma. “Non fosse mai nato! - rispose con amarezza Giorgio - E sarebbe stato meglio se neppure io fossi nato.” Elisa si lasciò cadere sulla sedia, e scoppiando in lacrime si aggrappò alle forti spalle di suo marito. “Perdonami se ti faccio soffrire. - disse Giorgio affettuosamente - Se non mi avessi mai incontrato ora potresti essere felice.” “Perché parli così, Giorgio? Che cos’è successo?” “Siamo stati tanto felici...” E Giorgio prese Harry sulle ginocchia, guardò quegli splendidi occhi neri e accarezzò quei capelli riccioluti. “È proprio il tuo ritratto Elisa. Oh mio Dio, perché ci siamo conosciuti?” “Perché parli così, Giorgio?” “È una vita miserabile la nostra, Elisa, e io non posso fare altro che trascinarti con me in questa miseria. Perché vivo?” “Non bestemmiare, Giorgio! So bene quanto hai sofferto da quando hai dovuto lasciare la fabbrica. Ma devi avere pazienza, con il tempo le cose cambieranno.” “Aver pazienza! - l’interruppe Giorgio - Forse non ne ho avuta abbastanza? Forse ho protestato quando, senza alcuna ragione, egli mi ha portato via da là; da là, dove erano tanto buoni con me?” “Hai ragione, è stata una cosa terribile. - disse Elisa - Ma sai bene che lui è il padrone.” “Il mio padrone! E con quale diritto è diventato il mio padrone? Anch’io sono un uomo come lui, anzi, io valgo più di lui. Io mi intendo degli affari, leggo e scrivo meglio di lui; e tutto questo l’ho imparato da solo senza il suo aiuto, anzi contro la sua volontà. Perché non mi lascia fare quello che conosco molto meglio di lui, e perché mi obbliga a svolgere lavori che può fare benissimo un cavallo?” “Oh! Giorgio, non ti ho mai sentito parlare così... Mi spaventi! Ho paura che tu combini qualcosa di terribile! Non mi meraviglio che tu abbia questi pensieri... Ma ti prego, calmati. Fallo per amor mio e del nostro Harry!” “Di pazienza ne ho avuta tanta, ma lui mi tratta sempre peggio. Non ne posso più. Trova tutte le occasioni per offendermi e umiliarmi. Speravo di poter fare bene il mio lavoro e stare tranquillo; di potere avere un po’ di tempo per leggere e studiare nelle ore libere, ma più faccio e più mi carica di lavori. Io ho sempre taciuto e, nonostante questo, lui mi ha detto che ho il diavolo in corpo e che ci penserà lui a farmelo uscire. Ma stia attento, che quando vorrà cacciarmi il diavolo di dosso se ne pentirà, oh, se ne pentirà, vedrai!” “Oh, mio Dio, che sarà di noi!” sospirò tristemente Elisa. “Sai cos’è successo ieri? - continuò Giorgio - Stavo caricando un carro di pietre, quando il signorino Tom ha fatto schioccare la frusta così vicino alle orecchie del cavallo che la povera bestia si è spaventata. Io con la massima gentilezza l’ho pregato di smettere ma lui ha continuato. Io l’ho supplicato che la finisse. Ma per tutta risposta, egli s’è voltato verso di me e ha cominciato a picchiarmi. Quando poi gli ho preso la mano, si è messo a gridare, a darmi dei calci ed è corso da suo padre urlando che l’avevo picchiato! Il padrone mi ha legato a un albero e, dopo averne tagliato dei rametti, li ha dati in mano a suo figlio perché mi fustigasse. E lo ha fatto finché non si è stancato. Ma glielo farò ricordare, un giorno!” Il giovane corrugò la fronte e i suoi occhi ardevano di tanta audacia che sua moglie ne fu spaventata. “Vorrei sapere soltanto questo: - riprese Giorgio - con quale diritto si è fatto mio padrone?” “Io ho sempre pensato che è un dovere ubbidire al padrone e alla padrona.” disse Elisa, tristemente. “Nel tuo caso, si capisce. Ti hanno cresciuta come una figlia: t’hanno nutrita, t’hanno vestita, t’hanno fatta studiare. È naturale che abbiano qualche diritto su di te. Ma io ho avuto solo calci, legnate, rimproveri. Perché dovrei avere della riconoscenza nei confronti del mio padrone? Perché mi hanno dato quel poco da mangiare che io ho già ripagato cento volte col mio lavoro? - esclamò Giorgio agitando i pugni - E se ti raccontassi tutto...” “Mio Dio, che cosa ci può essere ancora?” “Ascoltami! Pochi giorni fa il padrone mi ha detto che era stato uno stupido a lasciarmi sposare una donna fuori della sua fattoria. Odia il signor Shelby. Mi ha proibito di venirti a trovare.” “Ma noi ci siamo sposati davanti a un ministro di Dio, come i bianchi.” “Ma non sai che uno schiavo non potrebbe sposarsi, perché in questo paese non c’è legge per il matrimonio di gente della nostra razza? Per questo dico che sarebbe stato meglio non averti mai incontrata e non essere venuto al mondo. E sarebbe stato preferibile per questo piccino che non fosse mai nato. Anche a lui può succedere quel che è successo a noi.” “Che cosa dici? Il mio padrone è così buono!” “Sì, lui sì, ma domani potrebbe morire e il nostro bambino potrebbe essere comprato dal primo venuto. Il nostro Harry vale troppo perché possa rimanere a noi.” Queste ultime parole rattristarono molto Elisa e davanti agli occhi le riapparve la figura del mercante di schiavi. Impallidì e sentì che le mancava il respiro. Avrebbe voluto confessare al marito i suoi timori, ma poi cambiò idea e tacque. «Poverino! - pensò - ha già tanti pensieri. Perché aumentarglieli? E poi è impossibile che la padrona non abbia detto la verità.» “Mia cara Elisa, - concluse Giorgio - fatti coraggio! Addio. Io me ne vado.” “Giorgio, te ne vai? E dove?” “In Canada. - rispose Giorgio - Quando sarò là, comprerò te e il piccino. Il tuo padrone è buono, non farà difficoltà.” “Ma è terribile! E se ti prendessero?” “Non riusciranno a prendermi. Elisa, preferirei morire.” “Ma dimmi… Dimmi che non ti ucciderai.” “Di questo non ci sarà bisogno. Saranno gli altri, caso mai, che penseranno ad ammazzarmi.” “Ti supplico per l’amore che mi porti! Sii prudente Giorgio; non fare niente di male, non alzare la mano contro te stesso, né contro altri.” “Ascolta il mio piano, Elisa. Il padrone mi ha mandato da queste parti con una lettera per un certo signor Symmes che abita a un miglio da qui. Credo che abbia pensato che sarei venuto a trovarti e ti avrei raccontato le cose che mi rattristano. Ora andrò a casa e farò finta di essermi rassegnato a tutto. Ho già fatto qualche preparativo per la fuga e ho già trovato diversi complici. Prega per me, Elisa. Forse il buon Dio ti ascolterà.” Poi Giorgio strinse forte la mano della moglie nella sua. Per un po’ di tempo si guardarono senza parlare, poi i loro occhi si riempirono di lacrime mentre si dicevano “addio”. Poi, moglie e marito si separarono.
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