Prologo-2

2626 Words
Riabbassai lo sguardo su Lilly e mi sentii come se il petto stesse implodendo. E fu allora che qualcosa di profondo, dentro di me, si spezzò: niente sarebbe mai più stato lo stesso. Alzai gli occhi al soffitto e urlai, con le lacrime che mi solcavano il viso. Udii alcuni rumori soffocati che provenivano dalla camera da letto in fondo al corridoio. Poi, un’ombra imponente mi si stagliò davanti. Conoscevo bene quell’ombra. Quasi quanto conoscevo la mia. Posai con delicatezza il corpo di Lilly e mi alzai da terra. Lui aveva i segni di quello che presto sarebbe diventato un occhio nero e aveva anche un grosso graffio lungo la guancia. Guardai immediatamente le unghie rosa di Lilly e notai del sangue secco che si era accumulato sotto alcune di esse. Aveva lottato con tutte le sue forze. Alzai la testa e lo guardai. Lo fissai dritto negli occhi e... capii. Lui aveva fatto questo. Lui l’aveva uccisa. Lui aveva ammazzato la mia sorellina, la ragazza che aveva giurato di amare e proteggere. Improvvisamente, tutto ebbe un senso: il perché Lilly non venisse più a guardarci mentre ci allenavamo; il perché sembrava così distante; e il perché mi era sembrato non fosse poi così felice, le volte in cui le avevo parlato. Mike aveva abusato di lei per tutto questo tempo e io... io avevo ignorato tutti i segnali. Io non avevo protetto mia sorella, l’unica persona al mondo che amassi più di chiunque altro. Mike chinò il capo e cominciò ad arretrare, mentre avanzavo verso di lui. «Jackson, lasciami spiegare. È stato un incidente. È stata colpa su...» La rabbia prese a scorrermi nelle vene, facendomi ribollire il sangue e lo colpii forte. Abbastanza forte da sentire lo schiocco della sua mandibola che si slogava. «Non osare dare la colpa a lei! Hai forse dato a Lilly la possibilità di parlare prima di riempirla di botte e ammazzarla?» urlai, mentre lo colpivo di nuovo, con più violenza, e questa volta lo mandai al tappeto. Cercò di alzarsi, ma gli sferrai un potente calcio in mezzo alle costole. «Ti avevo detto cosa ti sarebbe successo se le avessi fatto del male.» Sogghignai, poi lo afferrai per i capelli, sbattendogli la testa contro la parete più vicina. Cercò di difendersi, ma non aveva alcuna possibilità. Lo colpii ancora e provai una certa soddisfazione nel veder cadere alcuni denti. Il sangue gli riempiva la bocca, mentre lo trascinavo in cucina, facendogli sbattere di proposito la testa contro qualunque superficie rigida incontrassi sulla mia strada. Tentò di reagire e lottammo avvinghiati per alcuni minuti, finché non lo atterrai e continuai a colpirlo, lasciando che la rabbia prendesse il sopravvento. «Jackson, sono stati gli steroidi...» cominciò a farfugliare in mezzo al sangue che gli riempiva la bocca. «Mi hanno trasformato in una persona diversa. Non so più chi sono. Lilly mi ha fatto arrabbiare e...» Il fatto che stesse ancora cercando di giustificarsi e dare la colpa a Lilly, dopo quello che aveva fatto, alimentò la mia rabbia e il mio dolore. «Sei un fottutissimo assassino!» ringhiai, prima di sferrargli un altro pugno in testa. Quel particolare era un qualcosa che molto presto avremmo avuto in comune. I suoi occhi si spalancarono. «Fermati, Jackson! Mi stai ammazzando...» Il mio pugno volò dritto verso il suo petto, zittendolo efficacemente. I suoi occhi si rovesciarono all’indietro e un basso gorgoglio riempì la stanza. Mi protesi ad afferrargli i capelli, mentre incontravo il suo sguardo. «Quando la mia sorellina ti implorava di fermarti, l’hai forse ascoltata?» chiesi, prima di sferrargli un colpo di karate alla gola. Adrenalina mista a senso di colpa, dolore e vendetta di un’intensità che non avevo mai provato prima scorrevano dentro di me, mentre continuavo a riempirlo di pugni. A un certo punto, vidi la vita abbandonare i suoi occhi traditori, mentre in lontananza udivo il suono delle sirene. *** «Signor Reid, il sangue del ragazzo era letteralmente sulle sue mani. Non ha la minima possibilità di venirne fuori senza aver scontato un bel po’ di anni di carcere» mi informò quel buono a nulla del mio avvocato. Lanciai un’occhiata alle manette che mi bloccavano i polsi. «Gli hanno fatto le analisi del sangue per gli steroidi come le avevo suggerito?» chiesi. «Sì. Il risultato è negativo.» Merda! Com’era possibile? Ciò significava che, dopotutto, era in sé quando aveva ucciso Lilly. A quel pensiero, percepii di nuovo la rabbia ribollirmi nel petto. Mi adagiai sulla sedia e sospirai. «Ha ucciso la mia sorellina. È stata legittima difesa.» L’uomo sospirò a sua volta. «Il suo avvocato sostiene il contrario, figliolo.» «Il suo avvocato? Di che cazzo sta parlando? Lui è morto, come è giusto che sia. Perché cazzo ha un avvocato?» L’uomo si sistemò la cravatta, poi mi guardò: «Non volevo essere io a doverle dire come stanno le cose, ma non c’è motivo di continuare a tenerla all’oscuro. Il grosso sponsor e l’agente con cui Mike aveva firmato il contratto vogliono la sua testa, Jackson, per non parlare dei genitori molto benestanti di Mike. Vogliono tutti procedere con un’azione legale nei suoi confronti e addossare a lei ogni responsabilità. I primi stanno facendo tutto il possibile per proteggere il loro marchio e i genitori vogliono salvaguardare la reputazione della famiglia. Si stanno battendo contro la sua versione dei fatti con le unghie e con i denti. Si tratta di uno sponsor potente e, insieme alla famiglia di Mike, hanno tantissime conoscenze e risorse. Hanno i mezzi per distruggerla.» Fece una pausa e abbassò lo sguardo. «Il problema è che solo tre persone erano presenti quella notte e ora due di loro sono morte. È la sua parola contro la loro e le cose non si mettono bene. Soprattutto perché lei ha praticamente ammesso di averlo ucciso.» Infilò una mano nella sua valigetta e ne tirò fuori una cartella. «Inoltre, questa è stata recapitata oggi al mio ufficio. Mi dispiace tanto, Jackson.» Scorsi velocemente la lettera e sbattei un pugno sul tavolo. Il mio sponsor e il mio agente mi avevano ufficialmente scaricato. Non sarei mai più stato il benvenuto nel mondo dell’MMA professionistico. «Quindi, che alternative ho?» Si passò una mano sulla testa calva. «Be’, ho parlato con il procuratore. Sono riuscito a evitare l’omicidio colposo di primo grado.» Estrasse un altro plico di documenti e si sistemò gli occhiali sul naso. «A questo punto, l’offerta migliore che faranno sarà omicidio colposo di secondo grado. Dai quindici ai venticinque anni. Ma il fatto è che, se non accetta l’accordo, i compagni di squadra di Mike si uniranno al procuratore contro di lei.» Sospirò. «Mi rincresce dirlo, ma questa è la sua unica possibilità.» Mi strinsi il naso fra le dita e sbuffai. «Dai quindici ai venticinque anni per aver ucciso un violento pezzo di merda?» Lui deglutì visibilmente. «E Lilly...» sussurrò. Mi alzai in piedi in tutto il mio metro e novanta di altezza, fermandomi a qualche centimetro dalla sua faccia, le catene che mi trattenevano. «Che cazzo significa e Lilly? Non ho ucciso mia sorella!» urlai. Se non fossi stato incatenato al pesante tavolo di metallo, gli avrei spaccato la faccia per aver detto una simile stronzata. Lui fece un passo indietro. «Gliel’ho detto, il team di Mike sta lavorando con il procuratore. Non incolpano Mike di quanto accaduto. Stanno costruendo un’orribile storia sul fatto che lei e sua sorella foste molto uniti, dopo il modo in cui eravate cresciuti.... se capisce cosa intendo.» Sentii la bile risalirmi in gola mentre lui continuava. «Diranno che era geloso della relazione di sua sorella e Mike. E questo, unito al fatto che lui proveniva da una famiglia benestante e aveva ottenuto uno sponsor migliore del suo, porterà a vedere un movente nella gelosia.» «Ma quella notte io ero al combattimento! Dannazione, ho vinto l’incontro quella notte. Centinaia di persone mi hanno visto con i loro occhi. Mike e Lilly non sono nemmeno venuti!» «Sostengono che lei li abbia uccisi prima del combattimento, perché non voleva nemmeno che lui disputasse l’incontro.» Fece il segno delle virgolette con le mani. «Perché la sua gelosia aveva preso il sopravvento e infine aveva raggiunto il culmine.» Alzai per aria le mani. «E poi? Avrei deciso di disputare l’incontro con le mani sporche del suo sangue e di ritornare sulla scena del crimine invece che tagliare la corda? Assurdo.» «Secondo la teoria dell’accusa, sarebbe ritornato per cercare un modo di sbarazzarsi dei cadaveri.» «Che stronzata!» «Sì, lo è» ammise lui. Scossi la testa. «Non accetterò l’accordo. Preferisco andare a processo. Non ho ucciso Lilly. Se l’accusa fosse solo di aver ucciso Mike, allora avrei potuto valutare di cedere, perché in effetti, l’ho ucciso. Ma non andrò in prigione ammettendo il crimine orrendo che lui ha commesso.» Si massaggiò nuovamente la testa e si rimise a sedere. «Senta, sarò franco con lei: non vinceremo questa battaglia.» Indicò i fogli sul tavolo. «Sono bravo nel mio lavoro e credo senza ombra di dubbio che lei non abbia ucciso Lilly, e soprattutto capisco quel che ha fatto a Mike... ma non posso vincere questo caso. Il sistema è fottutamente corrotto e, al momento, tutto è contro di noi. Non riuscirà a cavarsela. L’unica opzione che le resta è quella dell’infermità mentale, il che vorrebbe dire trascorrere il resto della sua vita con la camicia di forza in una cella imbottita.» Mi alzai in piedi e feci cenno alla guardia dall’altra parte della porta. «No» risposi scontroso. *** Dieci giorni prima della data prevista per l’inizio del mio processo, mi informarono che avevo una visita. La cosa mi sorprese, dato che il mio avvocato aveva praticamente lasciato perdere il caso. Forse, però, era tornato sui suoi passi e aveva deciso di combattere per me, come avrebbe dovuto. Mi guardai intorno nella triste stanza grigia, mentre prendevo posto di fianco a un tavolo di metallo. Poco dopo, la mia attenzione fu attirata dal suono della porta che si apriva. A fare il suo ingresso fu un uomo vestito in maniera impeccabile, con in mano una grossa valigetta. Sollevò il cappello in cenno di saluto prima di sedersi di fronte a me. «Chi diavolo è lei?» chiesi. Fece un sorrisetto e tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca. «Sono il suo nuovo avvocato» rispose. Mi alzai in piedi e piegai la testa in direzione della guardia, segnalandogli di farmi uscire, così da poter tornare alla mia cella. «Penso ci sia stato un qualche errore. Non ricordo di aver richiesto un nuovo avvocato.» Lanciai un’occhiata al suo costoso completo e sbuffai. «E a parte quello, sono sicuro di non potermi permettere i suoi servizi. E poi ce l’ho già un’assistenza legale!» «Siediti, Jackson.» La sua voce tuonò nella stanza. Ripensandoci, non avrei detto di essere intimorito da lui; piuttosto, ero incuriosito di sapere cosa fosse venuto a fare lì. Mi rimisi a sedere con riluttanza e lo guardai. «Okay, veniamo al punto, allora. Di cosa si tratta? Chi è lei?» Si scroccò le nocche e si adagiò contro lo schienale della sedia. «Puoi semplicemente chiamarmi il tuo angelo custode, ragazzo» replicò con un sorrisetto. A quel tempo, avevo da poco compiuto ventiquattro anni e, in pratica, ero già nel braccio della morte per aver ucciso un uomo; però non ero affatto un ragazzo e non mi piaceva essere definito così. Strinsi gli occhi e lo guardai. «Hai un minuto prima che esca da questa fottutissima stanza. Non me ne frega un cazzo di chi sei.» Mi studiò per un secondo, poi si massaggiò il mento e rise. «D’accordo. Diciamo che ho una proposta per te.» Si scroccò nuovamente le dita. «Qualcosa come un biglietto gratis per uscire di prigione, ti interessa?» Inarcai un sopracciglio. «Da quello che mi hanno detto nemmeno Dio in persona può tirarmi fuori da questo buco di merda.» Si protese in avanti e si accese una sigaretta con uno strano luccichio negli occhi. «No, hai ragione. Dio non può.» Sorrise. «Ma il diavolo sì.» A quelle parole fui percorso da un brivido. «Mi verrebbe da chiedere dov’è la fregatura, ma non sono sicuro di volerlo sapere» borbottai. Udii il click della sua valigetta e lui mi porse quello che sembrava una sorta di contratto. La prima cosa che catturò la mia attenzione fu il nome. «Chi è Bruno DeLuca?» chiesi. «È lei?» Scoppiò a ridere. «No, non sono io. Però lavoro per lui. È quello che mi ha mandato qui.» Lessi rapidamente il resto del contratto, ma non lo capii. Diceva soltanto che avrei accettato di lavorare per Bruno DeLuca per i successivi dieci anni e che una mia eventuale incapacità di assolvere alla mia parte del contratto avrebbe implicato un’azione disciplinare. «Che genere di lavoro è? E perché cazzo vorrebbe me? Chi è questo tizio? E, cosa più importante, cosa cazzo gli fa pensare di poter evitare che mi faccia degli anni di prigione per omicidio?» L’uomo mi strizzò l’occhio e mi rivolse un altro sorrisetto. «Diciamo che Bruno DeLuca sa una cosetta o due sugli omicidi, ragazzo.» Mi alzai in piedi. «Okay, ne ho abbastanza dei giochetti. Tra dieci giorni ho un processo per cui devo prepararmi e non ho proprio bisogno di queste cazzate.» Guardai l’agente di guardia attraverso il plexiglass e gli feci un cenno, ma lui mi ignorò. Avanzai verso di lui con l’intenzione di cominciare a battere i pugni contro il vetro, ma la voce dell’uomo mi fermò: «Firma quel contratto e non dovrai nemmeno prepararti per il processo. Sarai fuori di qui entro le prossime quarantotto ore. Non andrai in prigione per l’omicidio di tua sorella, Jackson. Ma soprattutto nessuno muoverà delle accuse false e disgustose sulla tua relazione con lei in un tribunale, infangando la sua memoria.» Inutile dire che quelle parole attirarono la mia attenzione. «Che cosa vuole quell’uomo da me?» «Vuole che tu faccia ciò che ami di più. Competere e combattere.» Mi voltai a guardarlo in faccia. «Questo non succederà mai. Sono abbastanza sicuro che le porte del mondo dell’MMA professionistico per me siano chiuse definitivamente. Nessuno sponsor o agente si avvicinerebbe mai più a me, neanche se ne andasse della loro vita.» L’uomo scoppiò in una grassa risata, poi la sua espressione si fece seria. «Non si tratta di combattimenti regolari. Si tratta di incontri clandestini.» Dissi la prima cosa che mi venne in mente: «Sono illegali.» Buttò fuori una nuvoletta di fumo e scrollò le spalle. «L’ultima volta che ho controllato, lo era anche l’omicidio.» Be’, su quello aveva pienamente ragione, anche se non provavo nemmeno un briciolo di rimorso. Tornai a sedermi al tavolo e presi una sigaretta dal pacchetto. «Okay, mi spieghi come fa quest’uomo ad avere i mezzi per fare questo e perché vuole me e ci farò un pensiero.» Lui sorrise e mi fece accendere la sigaretta. «Lo so che sei di Boston, ragazzo, ma Bruno DeLuca è il più potente boss mafioso che abbia governato New York dai tempi delle Cinque Famiglie.» Presi un’altra boccata dalla sigaretta: ne avevo decisamente bisogno. «E gestisce un giro di combattimenti clandestini?» Lui ammiccò. «Insieme ad altri affari, sì.» «E vuole me, perché...» «Perché prima di finire dietro le sbarre hai dimostrato di avere un gran potenziale. Senza considerare che hai riempito di botte e ammazzato un altro lottatore professionista, uno che, secondo le nostre fonti, aveva ancora più talento di te.» «Era così solo per via degli steroidi» bofonchiai. Liquidò le mie parole con un gesto della mano. «Personalmente, non me ne frega un cazzo. Il punto è che DeLuca vuole te, ragazzo. E tu non sei di certo nella posizione per dirgli di no. Sei nella merda fino al collo.» Almeno su quello potevo essere completamente d’accordo con lui. «Non capisco però come farò a uscire di qui. Si guardi intorno, sono in carcere, dannazione! Sono sicuro che il sistema giudiziario avrebbe qualcosa da ridire in merito a un mio possibile rilascio.» Rimase a fissarmi severo, prima di strofinarsi le mani. «Denaro e potere, ragazzo. Sono loro a far girare il mondo.» La sua espressione si fece seria. «Per cominciare, DeLuca corromperà il giudice. E poi, proprio mentre noi parliamo, qualcuno sta mettendo le prove giuste al posto giusto, per dimostrare la tua innocenza.» Alzai le mani. «Fermo! Non voglio che un uomo innocente debba pagare per degli omicidi che non ha commesso.» «Questo non sta a te deciderlo, ragazzo. Diciamo che questo tizio ha pestato i piedi a DeLuca, quindi avrà solo quel che si merita. Tu non farai altro che beneficiarne.» Spensi la sigaretta e mi rialzai in piedi. «No. Non lo farò.» «Non hai alcuna scelta, Jackson.» «E questo cosa vorrebbe dire?» «Se non accetti l’offerta di lavorare per DeLuca subirai un’aggressione in cella, più tardi, stanotte stessa.» Mi guardò dritto negli occhi. «E, ragazzo, devo dirtelo: le probabilità che hai di uscirne vivo non sono certo delle migliori.» Rimasi a fissarlo. La rabbia mi pulsava in corpo. «Quindi non ho mai avuto una possibilità di scelta fin dall’inizio, giusto?» Alzò per un attimo le spalle e mi porse una penna. «Temo di no, ragazzo. Benvenuto nella famiglia.»
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