Lola_Suarez_E-BOOK-3

2015 Words
L’arte non è più per una ristretta cerchia, è più democratica adesso, soddisfa più tendenze, Ernesto lo sa. I tradizionali criteri di analisi quali la tecnica e alcuni contenuti non subiscono più i severi controlli accademici di un tempo. Ciò nonostante, Ernesto utilizza l’arte da vendere pur amando l’arte da vedere. È un estimatore dei pre-raffaelliti, della contemporanea apprezza l’arte africana, come scultore non può che essere totalmente devoto ai maestri Canova e Bernini, ma anche a Henry Moore o Medardo Rosso. Si muove bene anche dietro le quinte, interagisce con pittori e scultori, scrive per note riviste d’arte ed è bravo a mettere d’accordo galleristi e collezionisti, tant’è che McBride spesso se lo porta dietro per ‘insegnargli il mestiere’. Sa fronteggiare i capricci degli artisti, le loro rivalità, ha imparato a trattare con i giornalisti per evitare recensioni che potrebbero troncare le carriere. Lola, al contrario, non ama gli ambienti intellettuali, si circonda d’arte, ma tiene le distanze da certi colleghi magnificati senza merito, diserta le serate mondane e le cene troppo affollate. Lola non soffre neppure di antagonismo con altri artisti, non è capace di gestire il lato commerciale del suo lavoro e non conosce i critici da ingentilirsi o i personaggi che non possono mancare alle sue mostre. È contenta che di tutto questo se ne occupi lo yankee. A casa di McBride lei ed Ernesto si ritrovano una di fronte all’altro, si annusano, le loro metà si riconoscono e non si controllano più. Seduti accanto, Ernesto scosta i capelli di Lola per guardarla in quegli occhi di puma e nutrirsi ancora di lei; così vicini emanano la stessa forza, lo stesso calore, hanno lo stesso odore. Riprendono presto la loro abitudine di andare a ballare nelle milonghe di Barcellona (saloni da ballo dedicati al tango e alla milonga). Arrivano sempre molto tardi, scelgono i locali più vicini allo spirito argentino, quelli con i personaggi che trascinano sulla pista il tango, li riconosci dall’abrazo deciso e romantico, dallo sguardo malinconico sotto i cappelli, dai movimenti sinuosi nei gilè fuori moda o dalle gambe nervose e eleganti che si muovono a ritmo. Quei tangueri hanno sempre storie incredibili da raccontare, non serve parlare, glielo leggi nelle espressioni segnate, nella camminata divorante, bevono il loro tango come fanno con rum. Lola balla fino all’ultima tanda (una sequenza tanghi e milonghe consecutive) e torna quasi sempre a casa scalza e con i piedi doloranti dopo aver obbedito per ore al tango. Non fa coppia fissa con Ernesto, accetta volentieri anche la mirada e il cabeceo di altri ballerini (invito fatto con lo sguardo o con il cenno del capo). Cede alla Danza in quell’ambiente illuminato da luci soffuse, tra specchi antichi, grandi lampadari liberty e drappi rossi ai tavolini, si lascia trascinare dalle note del bandoneón di Juan d’Arienzo e di Astor Piazzolla, del pianoforte di Osvaldo Pugliese o dell’armonica di Hugo Diaz e incontra il desiderio, l’illusione, la solitudine, l’euforia. Tutt’intorno le gonne volteggiano vorticose, i volti si sfiorano, le mani trattengono e quando l’abrazo è quello di Ernesto, un brivido infinito entra e esce dalla vita. Le gambe di Lola girano intorno a quelle del suo uomo tra ganci e boleo oppure si allungano in eleganti camminate, ballano con gli occhi chiusi per far parlare il cuore, seguendo un ritmo impazzito che poi diminuiva fino a soffiare sui sensi. I due fidanzati sono argentini, fuggiti ancora bambini da quel paese sventrato dalla violenza. Il padre di Ernesto, Antonio Torres, fu accusato di essere un dissidente politico, un insegnante che infliggeva agli studenti pericolose idee liberali e libertine. Il padre di Ernesto, Antonio Torres, fu accusato di essere un dissidente politico, un insegnante che infliggeva agli studenti pericolose idee liberali e libertine. La polizia militare lo conosceva, aveva già preso parte, con i suoi allievi, all’operazione studentesca conosciuta come “la notte delle matite spezzate” una manovra di repressione contro i movimenti studenteschi. I giovani chiedevano l’abolizione del boleto estudiantil, una tessera che permetteva di ottenere sconti sui libri di testo e sui trasporti per gli studenti. Moltissimi minorenni quella notte vennero sequestrati, barbaramente torturati e, più di duecento, uccisi. Antonio Torres fu rinchiuso nella cella settantuno della Escuela de Mécanica de la Armata Argentina: l’esma. Venne sorpreso, qualche giorno dopo quel sanguinoso evento, a distribuire volantini rivoluzionari e da lì tenuto d’occhio. Una notte i militari lo presero brutalmente dalla sua abitazione, lo riempirono di calci e pugni, lo incappucciarono e lo portarono nel più conosciuto dei centri di detenzione. Tutto doveva avvenire nella massima segretezza per evitare lo sdegno dell’opinione pubblica, come si era verificato per il golpe cileno. Le condizioni di reclusione erano terribili: si moriva per denutrizione, si subivano torture fisiche e psicologiche. I prigionieri venivano incappucciati e si spostavano con le catene ai piedi, sollevavano il cappuccio solo per mangiare scarse razioni di cibo. Le precauzioni igieniche erano inesistenti. A ognuno era dato un numero, con il quale erano chiamati per andare in bagno, per essere portati nelle sale delle torture, per essere trasportati in altre strutture di detenzione o per essere soppressi. Il numero sostituiva la vera identità del prigioniero anche nel caso in cui fosse riuscito a fuggire. Lo scopo di quei lager era di tenere prigionieri dei ‘terroristi’ ai fini di sottrarre loro delle informazioni. Ogni centro di detenzione aveva le sale di tortura dotate di un tavolo, un contenitore pieno di acqua, fili elettrici ed elettrodi per generare corrente a due intensità: 125 e 220 volt. I pover’uomini erano accompagnati nelle sale, fatti spogliare, legati su quei tavoli e torturati da uomini incappucciati che li facevano confessare con scariche elettriche alternate. Per obbligare il prigioniero a parlare, si utilizzava sia la violenza fisica, sia quella psicologica, solitamente prerogativa dei sacerdoti che collaboravano con i centri di detenzione clandestina. I religiosi avevano il compito di far parlare il sequestrato con qualsiasi mezzo psicologico per ottenere il perdono divino e, se si ostinava a tacere, arrivavano persino a mostrare le foto dei corpi dei compagni crivellati dai proiettili. Alle donne era praticata un’iniezione per sospendere il ciclo mestruale in modo da annullare la loro femminilità. Le violenze sessuali erano all’ordine del giorno. “Se vuole rivedere suo marito, non deve dire a nessuno che lo abbiamo portato via,” questa era la minaccia usata dai militari quando trascinavano via con la violenza persone che presto avrebbero smesso di avere un’identità. María Torres fu informata da un cappellano che il marito era morto per non avere retto alle torture e alle scariche elettriche. La donna, aiutata dal prete, si trasferì da sua sorella in Spagna per proteggere il figlio. Da allora ha smesso di vivere anche lei. Ernesto aveva tre anni e il marchio di quel passato maledetto gli ha lasciato una cicatrice eterna. Accomunati da un passato amputato e dalla stessa voglia di riscatto nei confronti della vita, i due giovani amanti sono riusciti a non morire per amore della propria terra e passione per l’arte. Le loro radici affondano ancora nel ventre dell’Argentina. Buenos Aires e Barcellona sono i teatri delle loro esistenze: il passato che non vuole crollare e, anzi, fortifica le pareti della propria dimora, e il presente, che cerca un orizzonte limpido per raccogliere la speranza. “Fare qualcosa.” Ne parlano dopo avere assistito a una mostra di pittori argentini in una nota galleria dell’Up Town di New York. Insieme anche negli affari, decidono di dare vita a una manifestazione culturale che rappresenti la storia, l’arte e la società della loro terra: Mi Argentina è il titolo che hanno scelto. Si tratta di spazi artistici dedicati alla pittura, alla scultura, alla poesia e non solo. In una sala adibita a cinema, infatti, sarebbe stato proiettato il documentario Nunca Mas, incentrato sul dramma dei desaparecidos. I proventi sarebbero stati destinati all’associazione delle madri di Plaza de Mayo e alle sedi più importanti per i Diritti Umani. Lola e Ernesto sono una ditta perfetta: organizzano nei dettagli l’esposizione, si occupano dell’ufficio stampa, contattano gli esponenti politici, le madri di Plaza de Mayo e, non per ultimo, seguono i dettagli del buffet e della musica. Naturalmente, non possono finanziare da soli questa iniziativa e chiedono aiuti al governo della Catalogna e alle Associazioni per i Diritti Umani. Lavorano giorno e notte. L’atteggiamento di Lola è totalmente devoto alla causa, colmo di pietà verso le donne di Plaza de Mayo, mosso dal bisogno di giustizia. Ernesto, invece, in mezzo a questa macchina organizzatrice mette alla prova le sue capacità di uomo di affari, fa scelte importanti senza contemplare altre voci. Entra e esce come una folata di vento furioso e lascia l’impronta del suo passaggio. Anche lui è segnato dalla drammaticità dei fatti da mettere in scena, ha ancora i suoi bei lividi nella mente e nell’anima, ma tutto quel movimento di finanziamenti, contatti, accordi lo devia e gli fa perdere il peso infinito del loro progetto. L’attico di Sandra Cardillo, con vista mozzafiato sulla città, sovrasta la centrale Rambla de Catalunya: è un palco su Barcellona. La grande porta in rovere, con pomelli di ottone dorato, si apre su un immenso salone tirato a lucido. Un bianco divano ad angolo è posto davanti a un libreria che custodisce centinaia di volumi consumati. Nel mezzo della sala, tutta vetrate e marmo di Carrara, troneggia una scultura di Frederic Marès. I due fidanzati si guardano e capiscono di essere nella casa di una ricca collezionista d’arte. Un arco porta allo studio da dove osservano immobili opere di scultori baschi. Lola sporge un poco la testa e allunga lo sguardo, intravede una lunga scrivania su cui poggiano un computer e una pila di fogli e documenti. Lola ed Ernesto si muovono un poco impacciati, distratti da tante immagini, forme e colori di gusto originale. Le note del sax di Miles Davis si incastrano disordinatamente in ogni cosa e tutto è avvolto dal suono del jazz. Dalla cucina arriva il profumo dei formaggi e dei salumi andalusi, i bicchieri di vino sono già sistemati sul tavolo. Lola è felice di notare che quella casa si può anche vivere e non è solo da ammirare. Osserva tutto con espressione divertita: volti noti e sconosciuti, risate dalle dentature perfette, risate grasse, risate timide, mani che gesticolano, mani che alzano i calici, uomini che guardano le mogli di altri, donne che spettegolano, discussioni sull’arte, discussioni sulla politica, sguardi invidiosi, sguardi attenti, sguardi euforici, sguardi stanchi. Ernesto si accorge dell’occhiata ironica della fidanzata, si avvicina e le sussurra qualcosa che la fa ridere. Ridono spesso, usano un umorismo feroce in cui non fanno entrare nessuno, sono complici e affiatati. Tra gli artisti della serata c’è anche François Coutard, sceneggiatore teatrale. Un omone con lunghi capelli bianchi e un cappello di panama calato sulla testa, che fa tanto personaggio. Lola guarda divertita Ernesto che la rimprovera alzando i sopraccigli e tirandola per un braccio. Coutard è giunto da Parigi per portare in scena uno spettacolo al teatro Poliorama di Barcellona. La pièce s’intitola Emma ed è il rifacimento in fase moderna di Madame Bovary. Il pubblico in Francia non l’ha accolto molto bene, la critica, invece, si è divisa: per alcuni è un genio, un rinnovatore del surrealismo, per altri è solo un provocatore che mira a stupire, tanto che alcune parti dell’opera sono state censurate. La Madame Bovary di François Coutard è una donna con molti eccessi. Le scene sono surreali, grottesche, a volte si tocca il non sense, le musiche sono un miscuglio di generi sperimentali. Sandra ha chiamato molti intellettuali della città per assistere a un assaggio di quello che avrebbe portato in scena Camille Berget. La Berget recita un monologo del primo atto di Emma che sembra essere un inno al pianeta Venere. Passa dal dramma all’ironia, accusa la società, si avventa contro quell’uomo che le ha tolto la sua femminilità, punta il dito verso la violenza psicologica subita, rivendica il diritto di scelta, poi passa alla maternità e quindi alla sua rinascita, agli amori che le hanno dato la vita e a quelli che gliel’hanno tolta.
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