20 - Jean Jaques

1441 Words
Ero un ragazzo scanzonato e sconsiderato una volta. Avevo tanti sogni e speranze per il mio futuro. Quasi come tutti i miei coetanei appena diplomati e laureati. Io stavo laureandomi alla scuola di moda di Parigi, la più illustre all’epoca. Fu lì che incontrai per la prima volta Sofia, scoprii solo anni dopo che si chiamava in realtà Luisa, una bella ragazza dai capelli castani chiari e i vivaci occhi castani. Veniva dall’Italia ed aveva un sogno in comune con me. Voleva diventare una stilista. All’epoca mi chiedevo come una ragazza che avesse come riferimento la moda italiana potesse venirsene in Francia da noi. Ammetto che non la sopportavo. Però lo stilista Pierre Saint Laurant propose a noi due di assumerci come stagisti. Ci toccò di conoscerci meglio e diventare amici. Sofia non era niente male, scoprii che tutto ciò che faceva era mirato a dimostrare ai suoi genitori che poteva farcela da sola. In Italia avrebbe avuto la via spianata, sarebbe entrata in una casa di moda raccomandata da suo padre, imprenditore illustre. Ma sicuramente non le avrebbero mai dato modo di esprimersi, sarebbe diventata solo una delle sarte di chissà quale stilista sconosciuto di Genova. Così dopo il diploma alla scuola d’arte, racimolati quanti più soldi era scappata verso Parigi, la capitale della moda. Voleva diventare una grande stilista, non accontentarsi delle briciole e Parigi era di più larghe vedute rispetto a Genova o Milano, lì i suoi genitori non potevano controllarla. Li studiava e lavorava, come interprete e cameriera. Facevamo insieme lo stage, diventammo amici e venne da sé che le presentai il mio ragazzo dell’epoca, Valery e sua sorella Monique col compagno Alain. All’epoca io mi drogavo, era un gioco divertente che facevamo spesso con Valery, sniffare la polverina bianca sui nostri corpi. Senza volerlo introdussi anche Sofia a quell’ambiente, divenne amica con Monique che invece era una ballerina di Piegelle, stavano sempre insieme quando non si lavorava. Giustamente anche Monique era tossicodipente. Scoprii quando Valery scappò con Alain, lasciando me e Monique da soli, che la loro era una famiglia sfasciata. Il padre come Valery era scomparso un giorno senza rientrare più e la madre iniziò a drogarsi all’epoca mantenendo i bambini come ballerina di burlesque. Ed ora anche lei era stata condannata come sua madre, sola incinta di sua figlia e ormai a termine. Non poteva neanche più abortire. Monique era demoralizzata dalla partenza di Valery, si trascinò gli ultimi mesi di gravidanza in completa depressione, non lavorava per via dellla pancia e non riusciva neanche più a procurasi la roba. Io e Sofia fummo abbastanza coscienziosi da non procurargliela. Così ci trovammo ad esserle vicino fino alla nascita di Michelle. Monique riprese però subito a lavorare. Riprendere a ballare e sentirsi ammirata dagli uomini che la guardavano dopo la gravidanza, era per lei galvanizzante. Un giorno, ormai eravamo un gruppo molto affiatato, soprattutto quando si parlava di organizzare le scorte di erba, Sofia ci portò Thomas al locale dove si esibiva Monique. Dio! Era bello, sexy e maledetto. Il suo sguardo malinconico affascinò tutti noi, lui però aveva un solo amore. La bottiglia di whisky! Non era attratto dalle ballerine che si spogliavano o da Sofia che gli cinguettava intorno, né dalle mie battute allusive. Ce ne innamorammo tutti e tre. Lui non assecondava nessuno di noi. Ci disse in croce: non sono gay! Non scopo con persone con cui lavoro; infine rivolto a Monique, sei bionda, mi ricordi il mio angelo smarrito e non verrò mai a letto con te. Scoprimmo che era innamorato di una donna, la quale aveva dovuto sposarsi con un maiale e dal quale stava avendo un figlio. Quella era la sua dannazione! Monique forte della sua storia si era fatta impavida, raccontando che anche lei era sola. Che Alain l’aveva lasciata sola con la loro figlia, pochi mesi prima della nascita. “Michelle, come la canzone dei Beatles. Così si chiama la mia bambina.” Gli raccontava. Al che lui rispondeva sempre con quello sguardo maledetto. “Gabriel e Uriel, così si chiamano i miei figli. Tua figlia come i miei bambini è un angelo.” Compresi che i suoi bambini erano i suoi angeli custodi. Quelli per cui arrivato sul baratro, non lo facevano affondare. Anzi, lui si rialzava e il giorno dopo lo trovavano lucido. Sofia che gli era accanto più di noi, ci diceva che al lavoro era sempre vigile, attento, carismatico e professionale. Non toccava neanche un goccio di vino durante le ore di lavoro. Thomas si trasformava appena le porte del suo ufficio si chiudevano in contemporanea al mercato finanziario. Probabilmente la sua mente si liberava dalla tensione professionale e il suo cuore prendeva il sopravvento. Così si riaggravava alla bottiglia. Tanto che una sera anziché fumarsi una sigaretta, gli passammo una canna. Per noi tre era una dose normale e sopportabile. Ma su Thomas ebbe effetti collaterali, forse anche perché ormai era perso nei fumi dell’alcol. La prima persona che baciò fu me, mi disse: “Non sei tanto male! Se fossi gay una botta te la darei.” Me ne fregai del fatto che fosse strafatto. La sua lingua mi aveva perforato fin dentro l’animo, lo baciai di nuovo per assaporare il suo languore e lui ricambiò il mio bacio. Fino a quando Sofia non si intromise fra di noi. “Non è giusto. Lui è mio!” Disse prendendogli il viso e baciandolo. Anche in quel caso Thomas rispose. La più impavida fu però Monique, gli prese la mano e gliela portò sul pube. “Andiamo su da me, mon petit trésor.” Il sorriso che ci donò eccitò tutti e tre. Monique si ricoprì e trascinandosi Thomas con sé li seguimmo agli appartamenti che si trovavano sul locale, proprio dove viveva Monique. Quella notte lasciammo andare tutte le nostre inibizioni, Thomas ci fece sentire unici nonostante fossimo parte di un orgia. Il suo uccello era sempre grosso ed eccitato e non si risparmiò. Purtroppo però la nostra bravata ebbe delle ripercussioni. Al mattino ancora ebbri e frastornati trovammo Thomas incazzato. Non era solo. In braccio aveva la piccola Michelle che tranquilla beveva dalla sua bottiglia del latte. Ma la sua espressione… Dio! Faceva paura, compresi per la prima volta che Thomas aveva mille sfaccettature. La rabbia la fece esplodere contro tutti, prima fra tutti però contro se stesso. “Cosa diamine c’era in quella sigaretta!” Ci urlò contro. “Vi rendete conto di come ci ha ridotti? Cazzo Monique hai una figlia, dovresti avere un minimo di decenza almeno per lei.” Iniziò. “Vi rendete conto che la bambina mi è stata portata dal titolare del locale? L’hai praticamente abbandonata Monique.” La accusò. Lei era un fiume in piena, piangeva alle accuse di Thomas, peggio ancora perché Thomas si ostinava a tenersi lontano da noi con la bambina. “Confermò che sono etero.” Continuò Thomas. “Mi dispiace illuderti Jean Jaques, ma non mi è piaciuto questa notte.” Era schietto, non si risparmiava e nonostante non c’era disgusto sul suo viso capii fosse sincero. “Sofia ti avevo detto chiaramente che non voglio storie con i miei collaboratori. Parlò benissimo francese e per i progetti che ho, potrei benissimo licenziarti e cercare un altro interprete che mi insegni l’italiano.” Disse posando la bottiglia vuota di Michelle sul primo piano. “Adesso me ne andrò e porterò la bambina con me. Non la riavrai fino a quando non sarai pulita Monique.” Concluse andando a prendere un cambio per la bambina. “Thomas…” urlò Monique. “Non puoi portarmela via. È la mia bambina… ciò che mi resta del mio Alain.” Pianse. “Non te la porto via Monique. Ma tu devi ripulirti.” Le disse riempiendo la borsa della bambina. I suoi passi erano decisi, al che ricordai ciò che ci aveva detto. Aveva due figli, Gabriel ed Uriel. Era pratico di bambini. “Thomas per favore…” sussurrai io. Al che lui scattò. “Riuscite a pulirvi si o no?” Ci chiese. “Se amate la bambina fatelo, non vi chiedo di farlo per voi stessi. Non siamo in grado di occuparci di noi. Io non sono in grado di prendermi cura di me, mi riduco a questo.” Ci disse. “Ma se devo scegliere tra l’essere sballati e i miei figli, so senza dubbii cosa fare.” Conclude mettendosi la borsa a tracolla. “Sofia non tornare nel mio ufficio fin quando non sarai pulita, se ti trovo di nuovo fumata sei fuori.”’ Ci disse aprendo la porta e lasciandoci soli con la nostra coscienza.
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