CAPITOLO UNO-2

2894 Words
“Io vorrei i pancake,” disse Emily. “E tu, Chantelle?” “Pancake,” ripeté. “Ehi, sapete una cosa?” aggiunse Emily. “Potremmo andare alla casa grande e fare colazione lì. Nel frigo ho dei mirtilli, quindi potremmo metterli nei pancake. Che ne dici, Chantelle? Ti va di vedere la casa grande?” Questa volta Chantelle si mise ad annuire con entusiasmo. Daniel sembrò sollevato nel vedere che Emily aveva preso il comando, quella mattina. Emily capì quanto lui fosse sconcertato da tutto quanto anche solo dalla sua espressione. “Ehi,” suggerì teneramente, cercando di non pestargli i piedi. “Perché non vai ad aiutare Chantelle a vestirsi?” Lui annuì frettolosamente, leggermente imbarazzato dal fatto che non gli fosse venuto in mente di farlo, poi accompagnò la bambina in modo innaturale in camera a cambiarsi. Emily li guardò andare, notando quanto quel piccolo gesto paterno mettesse Daniel a disagio. Si chiese se parte della difficoltà di cui aveva fatto esperienza nel Tennessee non fosse risieduta anche nell’adattarsi al ruolo di padre, se non si fosse preoccupato così tanto delle cose pratiche – della casa, della scuola, del cibo – da non aver ancora avuto modo di concentrarsi sul fatto che adesso doveva essere un genitore. Una volta che furono tutti pronti, lasciarono la rimessa e percorsero il vialetto di ghiaia per il Bed and Breakfast. Chantelle prendeva a calci i sassi per strada, ridendo dei rumori che faceva con le scarpe. Rimase per tutto il tempo avvinghiata alla mano di Daniel, anche se nel gesto non c’era naturalezza – per nessuno dei due. Daniel pareva rigido e impacciato, come se stesse cercando disperatamente di non fare nulla di sbagliato o di non rompere la fragile creatura che adesso gli era stata lasciata in custodia. Chantelle, da parte sua, sembrava esagerata, come se non volesse perdere la presa su Daniel perché la cosa le avrebbe dato un dolore enorme. Emily non era del tutto sicura di cosa sarebbe stato meglio fare. Esitando, prese l’altra mano della bambina nella sua e fu felice e sollevata di constatare che Chantelle non sussultò né si ritirò. Anche Daniel sembrò più a suo agio con il coinvolgimento di Emily, e prese una maggiore naturalezza. In risposta, la stretta di Chantelle sulla sua mano si affievolì. Mano nella mano, i tre risalirono i gradini del portico e arrivarono alla porta principale, ed Emily fece entrare tutti. Chantelle stazionò sulla soglia, non sapendo se aveva il diritto di stare lì. Guardò Daniel in cerca di un incoraggiamento. Lui le sorrise dolcemente e annuì. Esitante, Chantelle entrò ed Emily sentì sollevarsi il cuore dall’emozione. Combatté per trattenere le lacrime. Immediatamente, Emily ebbe l’impressione che Chantelle fosse sconvolta dalla casa nella quale si trovava adesso. Si guardò intorno, guardò l’ampia scala dai corrimano lucidati e il tappeto color crema, il lampadario e l’enorme e antica scrivania della reception che era stata acquistata da Rico. Sembrava impressionata persino dalle fotografie e dai quadri appesi in corridoio. L’unica cosa a cui Emily poté paragonarla era un bambino che entrava nella casa di Babbo Natale per la prima volta. Emily le mostrò il soggiorno e Chantelle trasalì alla vista del pianoforte. “Puoi suonarlo se vuoi,” la incoraggiò Emily. Chantelle non ebbe bisogno di farselo dire due volte. Andò dritto al piano antico, che si trovava nella nicchia del bovindo, e si mise a pizzicare i tasti. Emily sorrise a Daniel. “Mi chiedo se non abbiamo per le mani una musicista in erba.” Daniel guardava Chantelle quasi con curiosità, come se non riuscisse a credere alla sua esistenza. Emily si chiedeva se avesse mai avuto contatti con altri bambini prima di lei. Lei aveva fatto da babysitter per le nipoti di Ben un numero infinito di volte, quindi almeno aveva un minimo di esperienza. Daniel, da parte sua, sembrava del tutto fuori dal suo ambiente. Proprio allora, Chantelle smise di suonare. Il suono della sua musica disarmonica aveva avvertito i cani che erano tornati a casa, e si erano messi ad abbaiare dalla lavanderia. “Ti piacciono i cani?” chiese Emily a Chantelle, decidendo che di questo si sarebbe occupata lei. Chantelle annuì entusiasta. “Ne ho due,” proseguì Emily. “Rain è il cucciolo e Mogsy è la mamma. Vuoi conoscerli?” Il sorriso di Chantelle si allargò. Mentre Emily la conduceva nel corridoio, sentì la mano di Daniel sul braccio. “È una buona idea?” le chiese con un sospiro sommesso mentre si dirigevano verso la cucina. “Non la spaventeranno? Non la morderanno?” “Certo che no,” lo rassicurò Emily. “Ma si sente parlare continuamente di cani che dilaniano bambini,” borbottò. Emily alzò gli occhi al cielo. “Sono Mogsy e Rain, te li ricordi? Sono i cani più stupidi e tonti del mondo.” Erano arrivati in cucina ed Emily fece cenno a Chantelle di andare in lavanderia. Nell’istante in cui aprì la porta i cani le saltarono in braccio a uggiolare. Daniel aveva l’aria incredibilmente tesa nel vedere Rain che correva in cerchio intorno a Chantelle mentre Mogsy le toccava con la zampa la felpa e cercava di leccarla. Ma Chantelle era felicissima. Si sciolse dal ridere. Daniel sgranò gli occhi dalla sorpresa. Emily seppe istintivamente che era la prima volta che sentiva Chantelle esprimere tanta gioia. “Credo che tu gli piaccia,” disse Emily a Chantelle con un sorriso. “Possiamo portarli fuori a giocare, se vuoi.” Chantelle alzò su di lei i suoi grandi occhi blu. Sembrava felice come un bambino il giorno di Natale. “Davvero?” balbettò. “Posso?” Emily annuì. “Certo.” Porse a Chantelle alcuni giocattoli dei cani. “Vi guarderò dalla finestra.” Aprì la porta sul retro che portava al cortile e i cani si precipitarono fuori. Chantelle rimase ferma un attimo, reticente a uscire sola, a fare il suo primo passetto di indipendenza. Ma alla fine trovò la fiducia, uscì, e lanciò una palla perché i cani andassero a prenderla. Quando Emily tornò in cucina, Daniel stava mettendo su del caffè. “Tutto okay?” chiese dolcemente. Daniel annuì. “Non ci sono abituato. Il mio primo pensiero è che non le accada niente di male. Voglio solo tenerla al sicuro.” “Questo è ovvio,” rispose Emily. “Ma devi permetterle di avere un po’ di indipendenza.” Daniel sospirò. “Come fa a venirti così naturale?” Emily si strinse nelle spalle. “Non credo che mi venga naturale. Vado solo a naso. È assolutamente al sicuro là fuori finché la teniamo d’occhio.” Si appoggiò al lavabo della cucina e guardò dalla grande finestra il cortile dove Chantelle correva e i cani la inseguivano tutti agitati. Ma mentre la osservava, rimase colpita improvvisamente da quanto Chantelle somigliasse a Charlotte quando aveva la sua età. Le somiglianze erano sbalorditive, quasi inquietanti. Quella visione le riportò alla memoria un altro dei suoi ricordi perduti. Ne aveva avuti tanti di questi ricordi tornati spontaneamente da quando si era trasferita nella casa di Sunset Harbor, e anche se il modo in cui le venivano alla mente così brutalmente la spaventava, li conservava come tesori tutti quanti. Erano come i pezzi di un puzzle, ciascuno dei quali la aiutava a mettere insieme un’immagine di suo padre e della vita che avevano condiviso prima che sparisse. In questo ricordo, Emily aveva una febbre orribile, forse anche l’influenza. Erano solo loro tre perché sua madre non era voluta venire a Sunset Harbor per il lungo weekend di vacanza, quindi suo padre stava facendo del suo meglio per prendersi cura di lei. Ricordò che uno degli amici del padre aveva portato i suoi cani e che a Charlotte era permesso giocarci, ma Emily stava troppo male e dovette rimanere dentro. Le scocciava tanto perdersi i cani che suo padre l’aveva sollevata fino alla finestra – la finestra della cucina alla quale era affacciata adesso – perché guardasse. Emily si ritrasse e trasalì. Scoprì di avere le guance bagnate, di aver pianto guardando Chantelle trasformarsi in Charlotte. Non per la prima volta, Emily ebbe la forte sensazione che lo spirito di Charlotte stesse comunicando con lei, che in qualche modo vivesse dentro a Chantelle e che stesse dando a Emily un segno. Proprio allora Daniel le si avvicinò da dietro e la cinse con le braccia. Era una distrazione benvenuta, quindi lasciò ricadere la testa fino a farla riposare sul suo petto. “Che c’è che non va?” le chiese dolce, con voce rassicurante. Doveva aver visto le lacrime. Emily scosse la testa. Non voleva dirgli del flashback, né della sensazione che lo spirito di Charlotte fosse dentro a Chantelle; non sapeva come l’avrebbe presa. “Solo un ricordo,” disse. Daniel la strinse forte, cullandola. Sembrava così diverso da come faceva con Chantelle. Con Emily era su un terreno familiare, e lei sapeva quanto fosse più sicuro di sé con lei che non con sua figlia. Aveva contato su di lui così tante volte. Adesso toccava a lei dargli qualcuno su cui contare. “Un po’ pesante, vero?” gli disse alla fine, voltandosi verso il suo viso. Daniel annuì, con espressione angosciata. “Non so neanche da dove cominciare. Devo iscriverla alla scuola elementare. Il prossimo semestre comincia mercoledì. Poi devo trovare un posto dove possiamo dormire.” “Ti rovinerai la schiena se continui a dormire su quel divano pieghevole,” disse Emily. Poi venne colta da un’ispirazione. “Trasferitevi qui.” Daniel vacillò per un attimo. “Non dici sul serio. Hai così tanto da fare che non riuscirai a ospitarci.” “Voglio che veniate qui,” insistette Emily. “Voglio che Chantelle abbia dello spazio e una sua camera.” “Non sei costretta a farlo,” disse Daniel, opponendosi ancora. “E tu non sei costretto a cavartela da solo. Sono qui per te. È molto meglio così piuttosto che vi stringiate nella rimessa.” Lo strinse forte. “Ma non puoi permetterti di chiudere una delle stanze per gli ospiti, no?” Emily sorrise. “Ti ricordi di quando abbiamo parlato di trasformare la rimessa in una suite a parte, separata dal Bed and Breakfast? Be’, questo non sarebbe il momento perfetto per farlo? Chantelle può avere la stanza accanto a quella padronale, quindi starà vicina a noi. Può avere la sua chiave, quindi sarà al sicuro. Poi tu puoi ristrutturare la rimessa in tempo per il Ringraziamento. Sono sicura che sarà un’attrazione fenomenale per i clienti.” Daniel fece un’espressione preoccupata. Emily non era sicura da dove venisse la sua reticenza. L’idea di vivere con lei era così orribile che avrebbe preferito farsi bastare l’angusta rimessa? Ma alla fine annuì. “Hai ragione. La rimessa non va bene per una bambina.” “Vi trasferite?” disse Emily, alzando le sopracciglia dall’entusiasmo. Daniel sorrise. “Ci trasferiamo.” Emily gli gettò le braccia al collo e sentì che lui la stringeva forte. “Però giuro di trovare un modo per fare dei soldi in modo da mantenerci,” disse Daniel. “Ci penseremo in un altro momento,” disse Emily. Era troppo sopraffatta dalla gioia per pensare a dettagli del genere. Tutto ciò che importava in quel momento era che Daniel si sarebbe trasferito da lei, che avevano una bambina da amare e di cui occuparsi. Stavano per diventare una famiglia ed Emily non avrebbe potuto essere più felice. Poi sentì il respiro caldo di Daniel mentre questi le sussurrava all’orecchio. “Grazie. Dal profondo del cuore. Grazie.” * “Che ne dici se questa è la tua camera?” chiese Emily. Stava con Chantelle sulla soglia di una delle stanze più carine di tutto il Bed and Breakfast. Daniel era dietro di loro. Emily osservò l’espressione di stupore di Chantelle. Poi la bimba lasciò la mano di Emily ed entrò piano nella stanza, camminando con attenzione come se non volesse rompere né turbare qualcosa. Andò al grande letto con le sue lenzuola pulite cremisi e lo toccò con la punta delle dita, con tantissima leggerezza. Poi andò alla finestra e guardò i giardini e l’oceano che scintillava oltre le cime degli alberi. Emily e Daniel osservarono trattenendo il respiro la bambina spostarsi lenta per la stanza, raccogliere delicatamente la lampada prima di rimetterla a posto, poi sbirciare nel guardaroba vuoto. “Che ne pensi?” chiese Emily. “Possiamo ridipingere i muri se non li vuoi bianchi. Cambiare le tende. Appendere delle tue foto.” Chantelle si voltò. “Mi piace così com’è. Posso davvero avere una camera?” Emily sentì Daniel irrigidirsi accanto a lei. Seppe subito che cosa stava pensando: che Chantelle, a sei anni, non aveva mai avuto una camera sua; che la vita che aveva vissuto fino a quel momento era stata carica di avversità e contaminata dall’abbandono. “Sì, davvero,” disse Emily sorridendo gentilmente. “Perché non disfiamo i bagagli? Poi comincerà davvero a sembrare camera tua.” Chantelle annuì e andarono insieme a prendere le sue cose dalla rimessa. Però, una volta lì, Emily rimase scioccata nello scoprire che Chantelle aveva solo un misero zaino. “Dov’è la sua roba?” chiese a Daniel sottovoce mentre tornavano alla casa. “È tutto quello che c’era,” rispose Daniel. “Non aveva quasi niente a casa dello zio di Sheila. Ho chiesto a Sheila e lei mi ha detto che era rimasto tutto di là quando sono state sfrattate.” Emily fece una smorfia. Le spezzava il cuore pensare a tutte le cose terribili che Chantelle aveva passato nella sua breve vita. Più di tutto, voleva assicurarsi che la bambina adesso si sentisse al sicuro, che avesse la possibilità di fiorire e lasciarsi il passato alle spalle. Emily sperava che con amore, pazienza e stabilità, Chantelle sarebbe stata in grado di riprendersi dall’orribile inizio della sua vita. Nella nuova camera da letto della bambina, Emily appese i pochi vestiti che possedeva nel guardaroba. Aveva solo due paia di jeans, cinque magliette e tre felpe. Non aveva neanche abbastanza calzini per un’intera settimana. Chantelle la aiutò a riporre la biancheria in uno dei comodini. “Sono contenta di avere dei genitori, adesso,” disse Chantelle. Emily andò a sedersi sull’angolo del letto, presa dal desiderio di spingerla a confidarsi. “Io sono contenta di avere una bambina adorabile come te con cui passare il tempo.” Chantelle arrossì. “Davvero vuoi passare il tempo con me?” “Ma certo!” disse Emily, presa un po’ alla sprovvista. “Non vedo l’ora di portarti in spiaggia, di uscire in barca con te, di fare giochi da tavolo o in cortile insieme a te.” “Mia mamma non ha mai voluto giocare con me,” disse Chantelle con la voce piccola e umile. Emily sentì spezzarsi il cuore. “Mi dispiace sentirtelo dire,” disse cercando di non permettere al dolore che provava di trasparire dalla sua voce. “Be’, potrai giocare a tutto quanto, adesso. Cosa vorresti fare?” Chantelle si limitò a stringersi nelle spalle, e a Emily venne in mente che l’educazione che aveva ricevuto era stata così opprimente che non riusciva neanche a pensare a cose divertenti da fare. “Papà dov’è andato?” chiese. Emily si guardò alle spalle e vide che Daniel era scomparso. Anche lei era preoccupata. “Probabilmente è solo andato a prendere altro caffè,” rispose Emily. “Ehi, mi è venuta un’idea. Perché non andiamo in soffitta a prendere qualche orsacchiotto per la tua camera?” Aveva accuratamente imballato e messo via tutti i vecchi giocattoli di Charlotte che aveva trovato nella stanza che era stata chiusa dopo la sua morte. Chantelle aveva più o meno l’età che avevano loro quando la stanza era stata chiusa, ed era piena di giochi che sarebbero stati perfetti per lei. Il viso di Chantelle si accese. “Hai degli orsetti in soffitta?” Emily annuì. “E delle bambole. Sono tutti lì a fare un pic-nic, ma sono abbastanza sicura che un’altra ospite la vorranno. Vieni, ti mostro dov’è.” Emily portò la bambina al secondo piano e poi le fece percorrere il corridoio. Abbassò la scala a pioli della soffitta. Chantelle alzò lo sguardo, intimidita. “Vuoi che vada prima io?” chiese Emily. “Che controlli che non ci siano ragni?” Chantelle scosse la testa. “No. Non ho paura dei ragni.” Sembrava orgogliosa di se stessa. Salirono in soffitta insieme, ed Emily le mostrò lo scatolone dei vecchi giocattoli. “Puoi prendere tutto quello che vuoi da qui,” disse. “Papà ci viene a giocare?” chiese Chantelle. Anche Emily voleva che Daniel fosse lì. Non sapeva dove se ne fosse andato, né perché. “Vado a chiederglielo. Tu te ne starai qui buona e tranquilla dato che non hai paura dei ragni, vero?” Chantelle annuì ed Emily lasciò la bambina a giocare. Scese fino al primo piano in cerca di Daniel, poi andò al piano terra. Lo trovò in cucina, davanti al caffè, immobile. “Stai bene?” chiese Emily. Daniel trasalì e poi si voltò. “Scusa. Sono sceso per il caffè e sono stato del tutto sopraffatto dalla cosa.” Guardò Emily e si accigliò. “Non so come farlo. Come essere un padre. È troppo per me.” Emily lo raggiunse e gli massaggiò piano il braccio. “Troveremo un modo insieme.” “Anche solo sentirla parlare mi uccide. Vorrei aver potuto essere stato lì per lei. A proteggerla da Sheila.” Emily lo cinse con le braccia. “Non puoi guardarti indietro e dispiacerti per il passato. Tutto ciò che possiamo fare adesso è assicurarci di fare tutto quel che è in nostro potere per aiutarla. Andrà tutto benissimo, te lo prometto. Sarai un padre fantastico.” Percepiva ancora della resistenza in Daniel. Voleva disperatamente che si calmasse, che accettasse il suo abbraccio e che ne fosse confortato, ma qualcosa lo frenava. “Ha già cominciato a fare domande,” disse. “Mi ha chiesto perché non le ho mai mandato gli auguri di compleanno. Non sapevo che dire. Cioè, cosa si può dire che un bambino di sei anni possa capire?” “Credo che dobbiamo solo essere sinceri,” disse Emily. “I segreti non aiutano mai nessuno.” Pensò all’intensità delle sue parole. Suo padre aveva tenuto dei segreti per tutta la vita. Emily aveva scoperto appena la punta dell’iceberg, da quando era venuta lì. Proprio allora, Chantelle si precipitò in cucina. Teneva tra le braccia un grande panda di peluche. Era grande quasi quanto lei. “Guarda, papà! Guarda!” disse correndo da Daniel. Emily era sotto shock. Non aveva visto l’orso pulendo la vecchia camera di Charlotte. Doveva essere sempre stato in soffitta. Era il preferito di Charlotte. Lo aveva chiamato Andy the Pandy. Vederlo adesso le inviò una scheggia di dolore attraverso il corpo. Si chiese come avesse fatto Chantelle a trovarlo in mezzo a tutti gli scatoloni. “Come si chiama il tuo orsetto?” chiese Daniel a Chantelle, chinandosi in modo che si trovassero faccia a faccia. “Andy Pandy,” disse Chantelle con un sorrisone. Emily si afferrò al piano di lavoro sotto shock. Ancora una volta sentì distintamente che era un altro segno di Charlotte, un sollecito a non dimenticarla, perché lei li stava guardando dall’alto. “Ehi, mi è venuta un’idea,” disse Daniel riportandola alla realtà. “Credi che a Andy piacerebbe vedere una parata?” “Sì!” urlò Chantelle. Daniel alzò lo sguardo su Emily. “Che ne dici? Andiamo alla parata del Labor Day? La nostra prima uscita come una famiglia?” Il fatto che parlasse di loro come di una famiglia fece uscire Emily dal torpore. “Sì,” disse. “Sì. Mi farebbe molto piacere.”
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