Capitolo 1 - Seriel Nora Keller

1468 Words
Fin da piccola ero vissuta in simbiosi con mia sorella gemella Barbiel Zora. Eravamo nate a maggio, quando le temperature erano giuste, ci raccontava sempre mamma. Ci aveva messo i nomi degli angeli, perché dai racconti di mamma, papà chiamava tutti i suoi figli con i nomi degli angeli. Io ero Seriel, l’angelo che aveva il comando, questo perché ero nata per prima e con un semplice gridolino mi ero fatta sentire. Zora si era invece chiamata Barbiel, l’angelo della tempesta, Zora alla nascita aveva urlato come una pazza, facendosi sentire in tutta la clinica. Mamma ci aveva volute quando aveva trovato un uomo che l’ aveva affascinata, non per la bellezza, bensì per intelligenza e carisma. Sicuramente nostro padre era ebreo, mamma frequentava solo uomini ebrei, venendo da una famiglia ebrea, suo marito era figlio di un rabbino, dal quale aveva avuto nostro fratello Franz. Eravamo molto legate alla mamma, un po’ meno a nonno Hugo , che ci trattava sempre con sufficienza. Al contrario la nonna Kora ci amava tanto. Nostro cugino Darius, più grande di noi di tre anni ci adorava e trattava come delle sorelle. Tuttavia quando arrivava il nonno doveva seguire tutte le sue regole. Tra cui non pensare a noi femmine. Crescendo e con la nascita di nostro fratello Franz, capimmo che il problema per il nonno era quello. Eravamo del genere sbagliato. Il nonno aveva un occhio di riguardo anche per lui, mai per noi. Alfons, marito di mamma ci riservava poche effusioni. Stravedeva per il suo unico e primo figlio. Io e la mia gemella fin da piccole comprendemmo che se avremmo voluto farci valere, dovevamo lottare. A tre anni, nonostante fossimo piccole già imparammo i numeri, a contare e riuscivamo anche a fare le addizioni. Eravamo molto brave e riuscivamo ad attirare l’attenzione del nonno che invece di complimentarsi con noi diceva. “Sono proprio figlie di Thomas. Se fossero state maschi avresti fatto un buon lavoro Agnes.” Ogni volta mamma veniva mortificata per questo. Il nonno un compito le aveva assegnato e non era andato a buon fine, perché noi eravamo femmine. Non sapevamo molto del papà se non che si chiamasse Thomas e che i nomi di angeli fossero scelte sue. Tuttavia, nel momento in cui mamma decise di inserirci in un collegio, chiedemmo di non essere chiamate Seriel e Barbiel, volevamo essere Nora e Zora. Se mamma decideva di mandarci via perché eravamo una macchia evidente nella famiglia Müller, allora volevamo decidere per noi stesse da quel momento. Anche se avevamo sei anni. Entrata a scuola compresi che eravamo state inserite in un collegio di élite che ci avrebbe seguito da quel momento in poi fino al diploma. Non era solo istruzione, era anche un luogo dove crescere personalmente alimentando ognuno di noi le proprie passioni e i sogni. Lo compresi quando in classe con me e Zora notai ci fossero anche dei talenti musicali e sportivi. Ma non era solo la mia classe, nonostante le giovani età di tutti noi, i bambini studenti avevano già degli obbiettivi. Due classi avanti a me c’era infatti un piccolo genio della cucina e un ragazzo tendente all’astronomia. C’erano ballerini che potevano benissimo col tempo diventare professionisti, c’erano musicisti e tra questi ne avevamo una nella nostra classe. Eleonora Ashler, figlia del musicista e compositore Raoul Ashler. Seguiva le orme del padre e suonava il pianoforte in modo magistrale, nonostante avesse solo sei anni. La sua bravura la portarono a suonare anche per la scuola di danza all’interno della scuola. Sinceramente, dopo sei mesi al Santa Maria, mi chiesi cosa ci facevamo io e Zora lì. Eravamo brave, ma almeno la metà della classe prendeva il massimo dei voti come noi. Anche Eleonora che era una musicista, aveva il voto di matematica alto come il nostro. La matematica, nostro punto di forza sin da bambine, risultò a portata di mano anche sua. Le nostre certezze caddero. Mi impegnai però a studiare e portare avanti i miei obbiettivi. C’erano tanti compagni di classe tutti bravi. Il tedesco Marcus Scheider, lo spagnolo Luis Santis, l’italo lichsteinita Tancredi, l’arabo Abdul Kali, io e Zora non li vedevamo come compenso. Se pensava di essere migliore di noi, dovevamo dimostrare il contrario. Se c’era una cosa che io e Zora non sopportavamo era che i maschi volevano sempre farci passare per quelle sbagliate. Non avevo quindi problemi se Eleonora era brava quanto me. Ma nel caso degli altri non potevo farmi surclassare. Così mi misi di buona lena a studiare. Diventai amica di Tancredi senza accorgermene. Un giorno venne da me chiedendomi se potessi aiutarlo con la matematica. Ne rimasi sorpresa, io aiutare lui. Eppure quando accettai, iniziando a studiare insieme compresi che effettivamente aveva delle lacune. Fu il mio primo amico, la seconda fu Eleonora. Non riuscivo a non essere incantata dalla sua musica, per cui la seguivo ovunque. Anche alle lezioni di danza, dove ancora rimasi incantata. Theodora Keller Shuber era la più bella ballerina del gruppo, ne restai tanto incantata da avvicinarla. Ovviamente trascinai anche Eleonora con me. Theodora era tre anni più grande di noi e da sola sarei stata in soggezione. Con il supporto di Eleonora però ero riuscita ad avvicinarla. All’inizio la seguivo durante le prove e andavo a vedere il saggio organizzato dalla scuola. Poi col tempo eravamo diventate amiche. Il nostro rapporto si era evoluto, in meglio, quando lei a dieci anni perse i suoi genitori. Era giugno, gli esami di fine anno erano finiti e stavamo affrontando gli ultimi mesi di scuola. Theodora aveva un cellulare e poiché non c’erano lezioni lo usava anche al mattino. Le arrivò una telefonata da sua madre che la sconvolse. “Mamma ha detto che deve raggiungere papà. Si è scusata con me e ha detto che deve stare con lui, non può vivere senza il papà.” Disse cercando il suo gemello. “Rich… Rich…” lo chiamò. Lui la raggiunse anche subito, seguito a ruota dal suo amico Thomas. “Sono qui Thea…” le disse “La mamma mi ha chiamato.” Disse scoppiando in lacrime. “Ha detto che deve raggiungere papà. Ma non ho capito… si è scusata…” “Anche a me!” Rispose lui con voce tremolante. Anche le sue mani tremavano. Sollevò il suo cellulare e compose un numero. Forse quello del padre. Mi aggrappai al suo braccio, la strinsi forte aspettando che dicessero qualcosa. Poi ecco che Rich parlò con qualcuno. “Zia Helena… posso parlare col papà? Non risponde e anche mamma. Zia…” smise, forse interrotto dalla zia. Ad un certo punto il gemello iniziò a piangere e dire frasi sconnesse. “Si… si lo avevo capito… ci aveva detto… preparato… ma… mamma? Lei ci ha chiamato…” singhiozzava tra una frase e l’altra. Lasciò andare il cellulare e venne a stringere Theodora. “Ti ricordi che papà non stava bene?” Le chiese. Al che lei scoppiò a piangere stringendosi a lui. Probabilmente non c’era bisogno di parlare. Era la prima volta che vedevo Heinrich piangere, in realtà anche Thea era sempre stata molto distaccata. In quel momento entrambi erano smarriti. “La mamma vuole andare con lui… la mamma ci ha lasciati…” balbettava la mia compagna. Ero inerme. In fondo avevo solo sette anni, cosa potevo capire io? Seguii Theodora per tutto il tempo dopo che si lasciò col fratello. Andarono entrambi nel loro dormitorio a preparare le loro valigie, io ed Eleonora eravamo con lei e quel Thomas sempre con Rich e l’aiutammo a prepararsi. Eleonora non parlava, sembrava terrorizzata. Per cui fui io a farmi coraggio. “I tuoi genitori non stanno bene Theodora?” Le chiesi passandole dei libri.” Lei asciugandosi il viso scosse la testa. “Papà ha un brutto tumore… aveva…” disse riprendendo a piangere. “Ha cercato di… voleva vivere….” Ci spiegò. “Per noi… per mamma… non voleva farla preoccupare….” Raccontò inginocchiandosi verso il letto. “Ci diceva sempre… non facciamo preoccupare la mamma, altrimenti il suo cuore non reggerà.” Raccontò. “Adesso papà non c’è più. E mamma ha deciso… il suo cuore ha deciso…” concluse riprendendo a piangere. Mi sorpresi di tanto dolore. Mi chiesi se anche io e Zora avremmo sofferto in quel modo per mamma. Notai che Eleonora piangeva con la piccola ballerina, la stringeva forte rincuorandola. “Anche la mia mamma non c’è più. Ma per me c’è sempre…” le disse toccnadosi il cuore. “Non piangere Theodora, ci siamo noi con te.” Lei scosse la testa. “La zia sta mandando a prenderci… devo prendere Giaele, non lo sa e… vorrei tanto essere con la mia famiglia…” Era una bambina, proprio come noi. Nonostante ciò sembrava già così grande. Soffrivo per lei.
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