“In verità sarebbe un grande favore, giovanotto” rispose il signor di Tréville “ma non forse tanto al disopra di quanto voi credete o avete l’aria di credere. Tuttavia un decreto di Sua Maestà ha previsto questo caso e con dispiacere debbo dirvi che nessuno può essere accolto nel corpo dei moschettieri prima che abbia data prova di sé in qualche campagna, o prima di certe azioni segnalate o di un servizio di due anni in qualche altro reggimento meno favorito del nostro.”
D’Artagnan si inchinò senza rispondere. Egli desiderava ancora più ardentemente di indossare l’uniforme del moschettiere, visto che vi erano tante difficoltà per poterla ottenere.
“Ma” continuò Tréville fissando sul suo compatriota uno sguardo così acuto che pareva volesse leggergli in fondo al cuore “ma in favore di vostro padre, mio antico compagno d’arme come vi ho detto, voglio fare qualcosa per voi, giovanotto. I nostri cadetti del Bearn non sono ricchi di solito e credo che le cose non saranno molto mutate dacché ho lasciato la mia provincia. Il denaro che avete portato con voi, non deve essere troppo per vivere a Parigi.”
D’Artagnan si rizzò con aria fiera per significare che non chiedeva l’elemosina a nessuno.
“Va bene, giovanotto, va bene” continuò Tréville “conosco bene queste arie; sono venuto a Parigi con quattro scudi in tasca e mi sarei battuto con chiunque mi avesse detto che non erano sufficienti per comperare il Louvre.”
D’Artagnan s’irrigidì ancor più; in grazia alla vendita del suo cavallo, egli cominciava la sua carriera con quattro scudi più di quelli che aveva il signor di Tréville allorché cominciò la sua.
“Dunque, dicevo, voi avete bisogno di conservare il denaro che avete per quanto ingente sia questa somma; ma voi dovete aver bisogno anche di perfezionarvi negli esercizi che convengono a un gentiluomo. Oggi stesso scriverò una lettera al Direttore dell’Accademia reale e sin da domani egli vi riceverà senza nessuna retribuzione da parte vostra. Non rifiutate questa piccola facilitazione. I nostri gentiluomini più nobili e ricchi la sollecitano molte volte senza poterla ottenere. Imparerete il maneggio del cavallo, la scherma e la danza, farete delle buone conoscenze e, tratto tratto verrete a vedermi per dirmi come vi trovate e se posso fare qualcosa per voi.”
D’Artagnan, per quanto estraneo fosse ai modi di corte, si accorse della freddezza di questa accoglienza.
“Ahimè, signore” disse “vedo bene quanto mi nuoce non aver con me la lettera di raccomandazione che mio padre mi aveva data per voi!”
“Infatti” rispose Tréville “mi meraviglio assai che abbiate fatto un così lungo viaggio senza questo viatico, che è la sola risorsa di noi Bearnesi.”
“L’avevo, signore e, grazie a Dio, nella forma migliore” esclamò D’Artagnan “ma mi è stata perfidamente rubata.”
E raccontò tutta la scena di Meung, descrisse il gentiluomo sconosciuto nei suoi minimi particolari, il tutto con un calore e un’esattezza che piacquero molto al signor di Tréville.
“Ciò è ben strano” disse quest’ultimo dopo qualche istante di meditazione. “Avevate dunque parlato ad alta voce di me?”
“Sì, signore, dovevo certo aver commesso quest’imprudenza; che volete, un nome come il vostro doveva servirmi da scudo lungo la strada; pensate se me ne sono servito!”
L’adulazione era cosa di quei tempi e il signor di Tréville amava l’incenso al pari di un Re o di un Cardinale. Non poté quindi fare a meno di sorridere con visibile soddisfazione, ma questo sorriso fu tosto cancellato e Tréville tornò da sé all’avventura di Meung:
“Ditemi” continuò “questo gentiluomo non aveva una leggera cicatrice a una guancia?”
“Sì, come la scalfittura fatta da una palla.”
“Era un uomo di bella presenza?”
“Sì.”
“Alto di statura?”
“Sì.”
“Pallido e di capelli scuri?”
“Sì, sì, proprio così. Come fate a conoscere quest’uomo, signore? Ah, se lo trovo, e lo ritroverò, vi giuro, fosse pure all’inferno...”
“Aspettava una donna?” continuò Tréville. “Per lo meno, è partito dopo aver parlato per un attimo con quella che attendeva.”
“Non sapete di che parlassero?”
“Egli le consegnò una scatola e le disse che in quella scatola erano le sue istruzioni e le raccomandò di non aprirla che a Londra.”
“Quella donna era inglese?”
“La chiamava milady.”
“È lui!” mormorò Tréville. “È lui! e lo credevo ancora a Bruxelles!”
“Oh, signore, se sapete il nome di quest’uomo” esclamò D’Artagnan “ditemi chi è e dove è, dopodiché vi considererò sciolto da ogni impegno nei miei riguardi, anche dalla vostra promessa di farmi entrare nei moschettieri, perché prima di tutto, voglio vendicarmi.”
“Astenetevene assolutamente, giovanotto” esclamò Tréville “anzi, se lo vedete arrivare da un lato della strada, passate dall’altro! Non urtatevi a simile roccia; sareste frantumato come vetro.”
“Ciò non mi impedirà” disse D’Artagnan “se lo trovo...”
“Intanto” riprese Tréville “non cercatelo, ascoltate il mio consiglio.”
D’un tratto Tréville ammutolì, colpito da un subito sospetto. Quel grande odio che il giovane viaggiatore proclamava a gran voce per quell’uomo che, cosa assai inverosimile, gli aveva rubata la lettera di suo padre, quell’odio non nascondeva qualche insidia? Quel giovanotto non era forse un inviato di Sua Eminenza? Non veniva a tendergli qualche tranello? Questo preteso D’Artagnan non era un emissario che il Cardinale cercava di introdurre nella sua casa e che gli veniva messo vicino per sorprendere la sua fiducia e per perderlo più tardi, come era successo molte volte? Egli guardò D’Artagnan più fissamente ancora della prima volta; e fu mediocremente rassicurato da quell’espressione scintillante di astuzia e di ostentata umiltà.
“So bene che è Guascone” pensò “ma può esserlo tanto per il Cardinale quanto per me: mettiamolo alla prova.”
“Amico mio” disse lentamente “io voglio, come figlio del mio antico compagno, dato che considero vera la storia della lettera perduta, io voglio, dicevo, anche per riparare alla freddezza che voi avete notata nella mia accoglienza, mettervi a conoscenza dei segreti della nostra politica. Il Re e il Cardinale sono i migliori amici di questo mondo. I loro apparenti contrasti servono soltanto per ingannare gli sciocchi. Non voglio che un compatriota, un gentile cavaliere, un bravo ragazzo nato per far carriera, sia zimbello di tutte queste finte e cada nella pania come tanti altri che si sono perduti. Ricordatevi che io sono devoto a questi due potentissimi padroni e che mai le cose serie che faccio avranno altro scopo che di servire il Re e monsignor Cardinale che è uno dei più illustri geni che la Francia abbia prodotti. Dunque, giovanotto, regolatevi di conseguenza e se voi avete, o per legami di famiglia, o d’amicizia, o per vostro istinto contro il Cardinale una di quelle inimicizie che vediamo manifestarsi in qualche gentiluomo, ditemi addio, e lasciamoci. Io vi aiuterò in mille circostanze, ma senza prendervi alle mie dipendenze. Spero, ad ogni modo, che la mia franchezza farà di voi un mio amico; giacché voi siete, a tutt’oggi, il solo giovanotto al quale abbia parlato come ho fatto.”
Intanto Tréville pensava: “Se il Cardinale mi ha mandato questa giovane volpe, non avrà certamente mancato, lui che sa sino a che punto lo detesti, di dire alla sua spia che il miglior modo per entrare nelle mie grazie è di dirmi le peggiori cose sul suo conto; per cui, nonostante le mie proteste, il furbo compare mi dirà che odia Sua Eminenza.”
Ma la cosa andò in modo del tutto diverso da come si aspettava Tréville; D’Artagnan rispose con la più grande semplicità: “Signore, arrivo a Parigi coi vostri stessi sentimenti. Mio padre mi ha raccomandato di non sopportar nulla se non dal Re, da monsignor Cardinale e da voi, ch’egli considera come le tre principali personalità della Francia”.
D’Artagnan, come si noterà, aggiungeva il signor di Tréville ai primi due; ma pensava che questa aggiunta non potesse guastar nulla.
“Io ho dunque la massima venerazione per monsignor Cardinale” continuò “e il massimo rispetto per ciò che egli fa. Tanto meglio per me, signore se mi parlate con franchezza, perché, in questo caso, mi farete l’onore di stimare questa identità di sentimenti; ma se voi avete qualche diffidenza, d’altra parte ben naturale, sento che, dicendo la verità, mi perdo; ma tanto peggio per me, non per questo voi cesserete di stimarmi, ed è alla vostra stima che io tengo soprattutto.”
Il signor di Tréville rimase grandemente stupito: tanta penetrazione e tanta franchezza destavano la sua ammirazione, ma non facevano scomparire del tutto i suoi dubbi: più il giovanotto era superiore ai suoi simili, più era da temersi se egli s’ingannava. Nondimeno strinse la mano a D’Artagnan e gli disse:
“Voi siete un ragazzo onesto, ma per il momento nulla più di quanto ho detto posso fare per voi. Il mio palazzo vi sarà sempre aperto, più tardi, potendo chiedere di me a tutte le ore, e, per conseguenza, essendo così in grado di afferrare tutte le occasioni, otterrete probabilmente ciò che desiderate.”
“Vale a dire, signore” riprese D’Artagnan “che voi aspettate ch’io me ne renda degno. Ebbene, potete essere sicuro” aggiunse con la familiarità dei Guasconi “che non aspetterete molto.”
E salutò mentre stava ritirandosi, come se ormai il resto riguardasse solo lui.
“Aspettate dunque” disse il signor di Tréville fermandolo “vi ho promesso una lettera per il direttore dell’Accademia. Siete dunque così orgoglioso da non accettarla, mio giovane gentiluomo?”
“No, signore” disse D’Artagnan “e vi assicuro che con questa non mi capiterà come con l’altra. La custodirò così bene che arriverà a destinazione, ve lo giuro, e sventura a colui che tentasse di togliermela!”
Il signor di Tréville sorrise a questa fanfaronata; e, lasciando il suo giovane compatriota nel vano della finestra dove si trovavano e dove si era svolto il loro colloquio, andò a sedersi a un tavolo e si mise a scrivere la lettera di raccomandazione promessa. Frattanto D’Artagnan, che non aveva niente di meglio da fare, si mise a battere una marcia sui vetri guardando i moschettieri che se ne andavano gli uni dopo gli altri e seguendoli con gli occhi finché sparivano alla svolta della via. Il signor di Tréville, dopo avere scritta la lettera, la sigillò e, alzatosi, si avvicinò al giovanotto per dargliela, ma nello stesso momento in cui D’Artagnan stendeva la mano per riceverla, il signor di Tréville fu altamente meravigliato di vedere il suo protetto trasalire, arrossire di collera e slanciarsi fuor del gabinetto gridando:
“Ah, per Giove! questa volta non mi scapperà!”
“Chi mai?” domandò il signor di Tréville.
“Il mio ladro!” rispose D’Artagnan. “Ah, traditore!” e disparve.
“Diavolo d’un pazzo!” mormorò Tréville. “Purché” aggiunse “non sia questa una maniera assai abile di svignarsela, visto che ha mancato il colpo.”