Un grande re

1869 Words
Un grande re Un guizzo di lato, un salto, una piroetta all'indietro. Nel cortile esterno del castello di Korades, un ragazzo bendato si esercitava a schivare i fendenti di un bastone sospeso a mezz'aria. I suoi allenamenti quotidiani non temevano il confronto con quelli dei combattenti igson più esperti. Aveva iniziato quando era solo un ragazzino e adesso, a diciotto anni, la sua destrezza e una corporatura robusta tradivano la sua giovane età. Era riuscito ad evitarli tutti fino a quel momento. I suoi lunghi capelli lisci del colore dell'argento, corti ai lati e sollevati sopra la fronte, seguivano ogni suo gesto come spinti dal vento. Ad un tratto, i movimenti dell'arma si fecero più fulminei e precisi. Intuita per puro caso la direzione verso cui si sarebbe mossa la verga nel successivo affondo, riuscì a scansarla per un soffio. Fu anche in grado di evitare un'ennesima serie di colpi aiutandosi con le braccia ma l'ultimo, secco e diretto allo stomaco lo costrinse a piegarsi in avanti e a portare le mani all'addome. In quell'istante il bastone si posizionò dietro di lui buttandogli le gambe in aria e facendolo cadere di schiena. Il ragazzo, ancora dolorante, ebbe appena la prontezza di percepire un altro fendente partire dall'alto e, senza pensarci su, rotolò da una parte per finire fuori dalla sua traiettoria. ‒ Randet, quante volte te l'ho ripetuto... concentrati! ‒ esclamò un vecchio posto a un paio di metri di distanza da lui. L'uomo stese il braccio in avanti e il bastone fluttuò con leggiadria sul palmo della sua mano. ‒ La sintonia con ciò che ti circonda è fondamentale per sviluppare i tuoi sensi! ‒ continuò il vecchio con voce bassa e secca. L'uomo che con tanto ardore dispensava consigli era Yabut, un potente stregone ingaggiato dal re degli Yan-igson per l'istruzione del figlio. Il suo aspetto ancora imponente nonostante l'età, la liscia barba bianca, gli occhi quasi sempre socchiusi e il pesante mantello lo rendevano facilmente riconoscibile a corte, dove da anni gli era stato garantito libero accesso. Il ragazzo si tolse la benda e si sedette sull'erba verde del giardino per riposarsi un po'. ‒ Cosa intendete precisamente per “sintonia”? Posso avvertire l'aria mossa dai colpi, fare attenzione a dove metto i piedi... che altro? ‒ domandò, riflettendo sulle parole del maestro. ‒ Devi sapere, Randet, che ogni cosa che ti circonda è viva, composta da energia! Se riuscissi a combattere rendendotene conto ne trarresti grandi vantaggi, considerando inoltre le peculiarità che gli occhi della tua gente posseggono ‒ rispose pacatamente il maestro. Il ragazzo annuì, benché la spiegazione non gli fosse parsa molto chiara, e i due si incamminarono verso il cortile centrale, diretti al cancello principale. Si trattava di un tragitto a loro ben noto ma che, agli occhi di qualunque altra persona, avrebbe certamente destato meraviglia. Percorrevano una stretta via bianca in sasso, affiancata alla sua sinistra da numerose palme che ne seguivano il percorso e alla sua destra da un basso muretto che la divideva dal fossato. Oltre le palme si stendeva il prato, verde e adorno di così tante piante di diversa specie che, dopo tanti anni, Randet non era ancora sicuro di averle viste tutte fiorire. Al di là del fossato, invece, si ergeva la maestosa rocca della famiglia reale. Capitava spesso che, passando da quel sentiero, il giovane si compiacesse della minuzia con cui venivano curati gli spazi della residenza e da tempo si era prefisso che, una volta guadagnato il posto del padre al trono di Yan-igsonelt, avrebbe fatto il possibile perché la casata mantenesse gli stessi fasti a cui era sempre stato abituato. Come unico figlio del re, non solo la sorte del palazzo ma quella di tutti i sudditi sarebbero state, un giorno, riposte nelle sue mani. ‒ Un degno discendente di Yan è fiero e generoso nonostante gli agi! ‒ soleva spesso esclamare suo padre con orgoglio, ma tra “quegli agi” pesavano già abbastanza il suo addestramento e l'etichetta; preferiva non pensarci, per il momento. Proprio per quanto riguarda gli allenamenti, il padre non aveva badato a spese. Era consuetudine, per le famiglie più ricche del regno, ingaggiare stregoni della Marca di Dyosir affinché i propri rampolli potessero migliorare nell'utilizzo dell'energia e re Kayl se ne era assicurato uno tra i migliori. Yabut, da quando il principe ebbe compiuto dodici anni, si fece carico di insegnargli ogni cosa riguardo le arti magiche, le tattiche di guerra e di combattimento corpo a corpo. Faceva ritorno raramente in Malamonelt ed era ormai diventato un volto familiare in tutta Korades. Ogni giorno si recava a palazzo portando con sé i propri studi e la propria esperienza e ogni giorno, finita la sessione, il suo allievo lo accompagnava fino alle porte della reggia per non perdersi nemmeno una goccia di quella saggezza. ‒ Non essere impaziente... ogni cosa a suo tempo! ‒ si sentiva spesso rispondere quando la curiosità diventava eccessivamente incalzante. Come consuetudine, stavano attraversando il bianco sentiero dell'ala ovest del giardino. La giornata era calda e soleggiata ma né il ragazzo né lo stregone, abituati agli allenamenti all'aperto, sembravano soffrirne particolarmente. Questa volta lo sguardo del principe era perso nelle basse acque del fossato; seguiva il suo maestro stranamente in silenzio. Tra sé e sé, in realtà, cercava, di formulare una domanda ragionevole; ne aveva già poste così tante alla sua attenzione che negli ultimi mesi risultava sempre più difficile colmare i silenzi che si creavano durante la passeggiata. Dopo alcuni secondi, alzando lo sguardo verso lo stregone, gli tornarono tuttavia in mente due particolari di cui non aveva mai chiesto delucidazioni: il fulmine blu raffigurato nel suo mantello nero e il serpente scolpito nella parte superiore del bastone. Lo stregone lo ascoltava, compiaciuto, con gli occhi socchiusi e, quando ebbe terminato, si fermò un istante per rispondere: ‒ Ce ne hai messo di tempo per chiedermelo! Si tratta di faccende molto personali ma sarò lieto di risponderti; come dico sempre, la curiosità sta alla base della conoscenza! Immagino che siano in molti a domandarsi perché io porti un mantello così pregiato sopra un saio grigio e logoro legato alla vita con una semplice corda... ‒ Probabilmente, maestro... ‒ rispose il principe, in trepidazione per una risposta che tardava ad arrivare. ‒ Beh, pensandoci bene... non posso risolvere questo dubbio! Del bastone posso invece rivelarti che si tratta di un elemento imprescindibile per ogni malamon; in esso immagazziniamo la nostra energia e da esso traiamo forza. Viene solitamente costruito dal padre per il proprio figlio o tramandato alla sua morte. Ah, il serpente! Questo è il simbolo della mia casata! ‒ La vostra casata... ‒ So dove vuoi arrivare, Randet, ma capisci anche tu che i maestri malamon non possono rivelare il proprio lignaggio. Per ragioni di sicurezza, ovviamente... ‒ Dopo tutti questi anni non sono ancora riuscito a convincervi, maestro? Ma promettetemi che quando sarò re... ‒ Oh, guardate! Qualcuno sta venendo verso di noi ‒ lo interruppe Yabut. L'uomo che percorreva rapidamente il sentiero dall'opposta direzione non era più nel fiore degli anni ma le forze sembrava non lo avessero ancora abbandonato. Come ogni igson aveva gli occhi di un uniforme colore verde acqua che copriva il bulbo per intero, corti capelli neri, barba grigia e portava abiti di diverse sgargianti colorazioni. Randet lo riconobbe subito, quando la bestia dorata raffigurata nella stoffa bianca del suo nobile mantello fece capolino da lontano, mossa dal vento. Quel simbolo apparteneva alla famiglia degli Ozun, una delle più nobili residenti a corte e senz'altro la più fedele. Giunto davanti a loro, il nobile portò una mano al petto e chinò leggermente il capo. ‒ Stregone Yabut, mio principe, vi porgo i miei saluti. Sono venuto per informarvi di un'importante decisione su cui il re ha fortemente riflettuto nel corso degli ultimi giorni ‒ disse con voce calda e scandendo ogni singola parola. ‒ Buongiorno a voi Jakesh, vi ascolto ‒ disse Randet, asciugandosi il sudore dalla fronte con il panno che portava sulle spalle. ‒ Dunque... vostro padre, re Kayl terzo, mi manda a riferirvi, prima che Yabut lasci la reggia, che il giorno della vostra prova e, di conseguenza, della vostra proclamazione è anticipato di una settimana. Randet spalancò gli occhi e tirò indietro il capo, incredulo. Una miriade di attività da svolgere e insegnamenti ancora da apprendere si accumularono nella sua testa. Una settimana in meno significava... ‒ Dopodomani? Vista la sua titubanza, Yabut decise di farsi carico della risposta in sua vece. ‒ Riferite a re Kayl che il principe sarà pronto per il giorno da lui stabilito, vi ringrazio. Randet rimase immobile, senza parole, mentre il nobile Ozun si congedava allontanandosi; era successo tutto così in fretta che non era riuscito a fare valere le proprie opinioni ma, innervosito dal cambio di programma, si rivolse con tono seccato al maestro. ‒ Perché avete acconsentito con tanta leggerezza ad anticipare la prova? Come potrò preparami in soli due giorni, me lo spiegate? ‒ Calma il tuo spirito, giovane principe! Ritengo tu sia già sufficientemente preparato, ti ho già addestrato a sufficienza in questi anni, non sarà una settimana in meno a fare la differenza! Questa scelta, a dire il vero, risulta bizzarra anche ai miei occhi ma... tuo padre è un uomo saggio, avrà avuto le sue buone ragioni. In più... è lui che paga il mio salario, è lui che decide! ‒. Entrambi si misero a ridere, poi lo stregone proseguì ‒ Randet, oramai tutto ciò che avrei potuto insegnarti l'hai appreso. Raccogliti in meditazione fino al giorno della prova; arrivare riposato è tutto ciò di cui hai bisogno. L'allievo, confortato, annuì e insieme continuarono a camminare. Il sentiero li condusse a un grande piazzale circolare dai dettagli estremamente raffinati. Lo spiazzo era situato davanti all'entrata del palazzo reale e, a di­mostrazione del buon gusto dei reggenti, veniva curato quotidianamente. Per renderlo ulteriormente gradevole alla vista, era circondato da verdi piante e fiori colorati mentre al centro spiccava una fontana bianca in cui erano scolpiti due leoni. Uno dei due era rivolto verso il cancello esterno della reggia, l'altro verso il ponte e le scalinate che portavano al suo interno. Erano posizionati di spalle e dalle loro fauci marmoree sgorgavano placidi getti d'acqua cristallina. Allievo e maestro percorsero il selciato del cortile cen­trale e si diressero verso le mura esterne. Un tempo, quelle stesse mura avevano così ben protetto la dimora reale da darle fama di fortezza inespugnabile ma ora, in tempo di pace, non più di un paio di soldati sorvegliavano giorno e notte il ferreo cancello incastonato tra le pareti. Randet e Yabut si fermarono proprio sotto di esso e, mentre le guardie si accingevano ad aprirlo, lo stregone si voltò verso il ragazzo, gli appoggiò una mano sulla spalla e con la sua solita espressione compiaciuta si sentì in dovere di rincuorarlo. ‒ Randet, non ostinarti nel divenire il migliore dei condottieri o nell'amministrare il regno senza commettere mai alcun errore. Non credere di riuscire a prendere sempre la decisione più saggia. Nessuno dei tuoi antenati era infallibile, né tantomeno pretenderebbe questo da te! C'è una sola cosa che devi tenere a mente perché i tuoi pari possano avere stima di te e i tuoi sudditi fiducia. Governare con il cuore piuttosto che con la ragione. Solo in questo modo sarai riconosciuto come meritevole Signore di queste terre e solo così le future generazioni potranno avere memoria di te come di un grande re! Yabut salì in groppa al suo cavallo e si diresse verso la città a valle mentre il principe, meditando su quelle ultime parole, lo osservava scomparire dentro la foresta.
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