2.

3723 Words
2. Non si addormentò subito e, dopo che ci fu riuscita, non dormì a lungo. Era ancora notte fonda quando tutto iniziò a tremare. Lili si alzò a sedere sul letto di scatto, con il respiro strozzato. Non era esattamente come un terremoto, ma come se qualcosa facesse tremare il suolo in modo regolare. Come se qualcosa di pesante stesse avanzando nella direzione della Rocca. Strinse forte il bordo della coperta, terrorizzata. Doveva essere un attacco, un attacco dell’Alleanza dell’Est. Erano la sua gente, ma ora lei era lì, in mezzo ai nemici, e sperò che non fosse un attacco altamente distruttivo. Anche se poi, si costrinse a pensare, se avesse dovuto morire per consentire la sconfitta di Stonehill, era un sacrificio che era disposta a fare. Il tremito continuò, diventando sempre più chiaro. Passi pesanti e minacciosi, ultraterreni. Iniziò a piangere sottovoce, terrorizzata. «Che cazzo» venne la voce seccata di Ardan, dal letto a baldacchino. Era un semidio dell’oscurità, ma il suo linguaggio non era molto divino. Lili lo vide scivolare fuori e vide la sua figura candida andare verso il balcone, con i lunghi capelli neri che gli spiovevano sulla schiena e, per la verità, un culetto piuttosto ossuto. Ardan spalancò la finestra e uscì sul balcone. Lili si avvolse nella sua vecchia coperta e si avvicinò a sua volta. In lontananza, oltre il Passo di Dracmere, si scorgevano delle gigantesche figure nella notte. Non erano veri giganti, tuttavia, erano di gran lunga troppo grandi per esserlo. Dovevano essere delle proiezioni viventi, create dai maghi bianchi dell’Alleanza. Lili riusciva a scorgerne tre, che si avvicinavano producendo quell’orribile rumore e facendo tremare il terreno. Le loro teste svettavano nel cielo, alte come montagne. Ardan, appoggiato al bordo di pietra del balcone, li scrutò per qualche minuto, con un’espressione infastidita in viso. «Bene... non potevate aspettare domani, è vero?» sorrise, alla fine. Allargò le braccia e da lui... da lui spirò un vento spaventoso, che strideva e gridava. Quel vento, in cielo, divenne una nube di incubi neri, che si lanciarono contro le gigantesche proiezioni. Le enormi creature alzarono le braccia come a proteggersi da un nugolo di insetti, gemendo. Ardan rise, mentre uno dopo l’altro i titani retrocedevano, cadevano in ginocchio e poi si disgregavano. «Razza di idioti» borbottò. Fece un altro ampio gesto e le flotte di incubi svanirono nella notte. Si voltò verso di lei. «Mezza ninfa, dove sei? Piantala di guardarmi le chiappe e renditi utile. Vieni qua». Lili avanzò verso di lui a passi cauti. Ardan aspettò che uscisse a sua volta sulla terrazza, per poi guardarla alla luce della luna. «Dovremo rimuovere quella coperta... mh, a quadri. Se almeno fosse un drappo nero o qualcosa di vagamente scenografico...» Prese un lembo della coperta e lo tirò, scoprendo Lili. Lei rimase a guardarlo senza nemmeno provare a resistere, paralizzata dalla paura. Odiava essere così. Di solito non era così. Ma il Figlio del Buio la riempiva di un terrore antico, irrazionale, insuperabile. Lui la sollevò tra le braccia come aveva fatto quando l’aveva offerta a Silrak. Lili sentì un vago calore e poi vide comparire le loro figure nell’aria, sopra la città, con i piedi affondati nella città stessa, gigantesche com’erano state gigantesche le proiezioni dell’Alleanza, ma luminose e semi-trasparenti. Vide Ardan ergersi su Stonehill con un sacrificio nudo tra le braccia e vide sul suo viso un sorriso crudele. Poi sentì risuonare la sua voce. Sono qua. Sono tornato. Alleanza dell’Est... sono pronto a ricominciare la lotta, e stavolta prevarrò. Arrendetevi, se volete salva la vita. E se non volete che faccia molto, molto male a questa deliziosa mezza ninfa. Mentre lo diceva le accarezzò una guancia. L’enorme figura che si stagliava sopra la città fece altrettanto. Arrendetevi, per il vostro stesso bene. Nella mia clemenza... no, niente. La mia clemenza è morta nel sarcofago in cui avete provato a rinchiudermi. Arrendetevi e deciderò il vostro fato. Le due figure scomparvero, la sensazione di calore passò, facendo sentire a Lili freddo per contrasto. Ardan la posò di nuovo a terra. Lili rabbrividì e cercò di coprirsi con le mani, molto in ritardo e anche un po’ inutilmente. Il Figlio del Buio ne sembrò divertito. Rise sottovoce e si chinò per recuperare la coperta a quadri. Gliela porse. «Piccola mezza ninfa» disse, rientrando. Lei lo seguì. «Lili». Lili deglutì. «S-sì, mio signore?» Lui le rivolse un vago sorriso da sopra alla spalla, per poi avanzare verso il suo letto e lanciarsi sul materasso con una specie di tuffo. Si rivoltò in aria, atterrando con la schiena tra i cuscini. «Niente, Lili. Vieni qua. Raccontami la tua storia». Lei si avvicinò a letto e rimase in piedi accanto a lui. La disinvolta nudità di quell’essere la turbava come tutto il resto. Il fatto che se ne stesse lì, tranquillamente disteso tra i cuscini, chiedendole di raccontare la sua storia, a notte fonda, dopo averla usata per ricattare la sua gente, senza... Ardan diede un paio di colpetti sul materasso accanto a sé. «Su, forza, smettila di tremare. È irritante. Non ti farò proprio niente. Hai dentro il figlio della dea... dovrei essere idiota». Lili girò attorno al letto a baldacchino, salì a sua volta sul materasso, si sedette con le gambe su un lato e si avvolse bene nella sua coperta a quadri. «Che... che cosa significa, mio signore?» osò chiedere. Ardan socchiuse gli occhi come se non capisse. «Che cosa significa che cosa? Che non ti farò del male? Be’, non ti picchierò, non ti torturerò, non ti darà fuoco, non ti flagellerò, non ti taglierò nessun arto, non— «Che ho dentro... il figlio della dea» lo interruppe lei. Poi, sconcertata da quello che aveva appena fatto, incassò la testa tra le spalle, aspettandosi una punizione di qualche tipo. Ardan rise. «E non ti prenderò a sberle per avermi interrotto. Be’... credevo che si spiegasse da sé, la faccenda della gravidanza. Un tiro, un centro, come si suol dire. Anche se in realtà ha mirato e tirato Silrak, quindi non è merito mio. La dea ha rimesso in sesto la mia umile persona, in cambio ha voluto qualcosa. Vogliono sempre qualcosa in cambio. Non dovresti preoccuparti troppo... non ti succederà niente di speciale, a meno che non decida che non le piaci. Ma più passano le ore meno è probabile che obbietti». Lili sbatté le palpebre, confusa. Naturalmente sentiva qualcosa crescere al suo interno. Più un’idea che un essere, in quel momento. «Che... che cosa vuol dire suo figlio?» «O figlia. Non saprei prevedere il suo sesso. Bah, non ha una grande importanza, ti pare? Tu ti devi limitare a portarlo in pancia per quei nove mesi, poi esce fuori e lo diamo alla dea. Non è difficile. Sei una mezza ninfa, avrà un po’ della tua magia. Un po’ della mia, almeno credo. Ma sarà una creatura di Silrak, in definitiva». Lili chiuse gli occhi. Era... era orribile. Sentì delle dita che le sfioravano una guancia e si rese conto che era bagnata di lacrime. Non osò neppure riaprire gli occhi. «Shhh... non diventare sentimentale, piccola mezza ninfa. Guardami». Lili si costrinse a riaprire gli occhi e incontrò quelli blu e lucenti di Ardan. «Che cos’è? Che cos’è che ti fa piangere, ora?» Lei deglutì. «N-non...» Si interruppe e prese coraggio. «Tutto, mio signore. Essere prigioniera, essere usata contro la mia gente, portare in grembo il figlio della Dea dell’Oscurità... voi». «Mh. Be’, capisco il tuo punto di vista» disse lui, appoggiando la testa sul pugno e puntellandosi su un gomito. «Capisco tutto, tranne la parte sulla dea. Quando mi hanno intrappolato... avevo cinque figli. Li hanno trucidati. Quello è stato orribile, se vuoi il mio parere. Ho passato i primi sei o sette anni di prigionia a piangerli. Questo? Mah. Un altro figlio del buio... e che cosa sarebbe la luce, senza il buio a definirla?» «Non... voglio» disse lei. Ardan le rivolse un vago sorriso. «È già successo. Sta succedendo. Non puoi farci niente. Inoltre... ah, lascia stare. Hai già fin troppa paura di me, e per di più per i motivi sbagliati. Raccontami la tua storia, finché non mi riaddormento». Lili si puntellò su una mano. Era stanca, assonnata e tramortita dalla paura. «Dunque, la mia storia» sospirò. «È una storia come tante, per certi versi, anche se le mezze ninfe sono rare. E non ne conosco le origini. Non so come mio padre e mia madre si conobbero, anche se... mia madre non esce mai dalla sua foresta, quindi dev’essere stato lui a entrare, non pensate?» «Immagino di sì» mormorò Ardan, finendo di stendersi su un fianco. «Da piccola sono restata con lei. Si è presa cura mi me, mi ha allattato. La foresta si è presa cura di me. Sono stati anni felici». Si appoggiò a sua volta su un gomito. Sentiva le palpebre farsi pesanti. «Sono rimasta con lei fino a... fino al primo ciclo. Avrei potuto restare ancora, ma... volevo conoscere il resto del mondo, ciò che c’era oltre alla foresta. Così sono stata affidata a mio padre». «Il consigliere». Lili annuì leggermente. «Sapete com’è fatto il Consiglio, vero?» «Lo sapevo» mormorò lui, con gli occhi semi-chiusi. «Sono tredici maghi. Alcuni sono elfi bianchi, ma la maggior parte sono umani. Mio padre è umano... penso che sia chiaro». «È chiaro» sorrise lui. Sembrava vicino ad addormentarsi. Sembrava anche molto meno minaccioso, così Lili osò stendersi a sua volta su un fianco, rispecchiandolo. «Ho ricevuto un’educazione umana» spiegò. «Mi sono state concesse molte libertà, in virtù delle mie origini. Potevo correre nei boschi ogni volta in cui lo volevo e... non lo so, cacciavo. Facevo da guida o da vedetta, a volte». Ardan chiuse gli occhi del tutto, con la testa abbandonata su un cuscino e i capelli sparsi sotto. Mentre dormiva, pensò Lili, sembrava umano. Be’, abbastanza umano, in ogni caso. Si chiese che cosa fosse, in origine. Si chiese perché nessuno le avesse mai detto che in definitiva qualcosa di umano lo aveva, se aveva avuto cinque figli e se era stato in grado di provare dolore per la loro morte. Poi non si chiese più niente e si addormentò a sua volta. Si svegliò quando sentì un rumore e si rese conto che era mattina fatta. La stanza era invasa dalla luce del giorno. Ardan giaceva a pancia in su, tranquillo e rilassato, con gli occhi ancora chiusi, nudo come la sera prima. Di nuovo a Lili diede un’ingannevole impressione di umanità. Sembrava un uomo alto e snello, più vicino ai trenta che ai quarant’anni, pallido e dai lunghi capelli scuri. Osservò quel corpo appena rinato, soffermandosi sul membro che il giorno prima l’aveva violata, guidato dalla volontà di una dea o meno. Il rumore si ripeté e Lili si rese conto che era un servitore che posava silenziosamente un vassoio accanto alla porta. Durante la notte doveva essersi mossa, quindi era anche lei più nuda che coperta. Prima che potesse fare qualcosa in merito, si trovò addosso un lembo di lenzuolo. «Che cazzo» borbottò Ardan. Lili quasi sorrise. Sembravano essere le parole con cui si svegliava sempre. «Tu, coso, valletto... trovami dei vestiti, porta la colazione più vicino e chiama quel cazzo di mago, Ytmor». Il valletto, terrorizzato, si inchinò e schizzò via. Ardan si voltò verso di lei. «Merda, sono così spaventoso?» Lei aprì la bocca, ma lui le fece segno di tacere. «In realtà è una cosa positiva. Tranne per il fatto che se n’è andato senza avvicinare la colazione». Lili si alzò e andò a prenderla. Questa volta non si curò di coprirsi. Se il Signore della Notte era tanto disinteressato alla nudità, perché doveva farsi dei problemi lei, una mezza ninfa? Era piuttosto assurdo e decise di smettere di preoccuparsene. L’unica cosa che voleva evitare era che lui facesse comparire un altro esserino ripugnante come quello del giorno prima, visto che il valletto si era dileguato. Prese il vassoio e glielo portò. «Mio signore» disse, posandolo accanto a lui. Ardan inclinò la testa da un lato e la squadrò da capo a piedi. «Sarà pure bello, l’infante. Non vedo proprio di che cosa dovrebbe lamentarsi Silrak. Vieni, mangia». Lei tornò a stendersi sull’altra metà del letto. Prese un grappolo d’uva e iniziò a mangiarlo, acino dopo acino. Il valletto ricomparve, seguito da uno Ytmor piuttosto affannato. Il mago corse fin quasi al letto e si esibì in un profondo inchino, per poi rialzarsi e spostare lo sguardo da lui a lei e viceversa, un po’ smarrito. «Notte di bagordi, vecchio mio» disse Ardan. «Ah, ehm...» Il Figlio del Buio rise. «Sto scherzando. Non ho dei cazzo di vestiti puliti, perché gli altri li ho seminati per terra. In quanto alla mammina, qua, non glieli hanno proprio mai portati. Voglio fare un bagno. Poi manda un messaggero dal capo-clan dei troll e un altro messaggero dal padre dei goblin. Chiedi gentilmente un incontro a mio nome... perché abbiamo perso la loro alleanza?» Ytmor fece un gesto vago e fatalista. «Abbiamo visto la vostra opera, stanotte. Di certo l’hanno vista anche a Est». «Voglio sperare. Odio venire svegliato». Ytmor si inchinò di nuovo. «Mio signore, posso ardire— «Ardisci un po’ quello che vuoi» lo interruppe Ardan, seccato. Un ulteriore inchino. «Perché dovremmo cercare l’alleanza di troll e goblin ora che... be’, ora che abbiamo voi?» Ardan allungò una mano verso il grappolo d’uva di Lili, le fregò un acino e se lo infilò in bocca. «Non puoi pensare di vincere una guerra con la sola forza della magia, Ytmor. Neppure della mia magia. Posso distruggerli? Sì, è probabile. E dopo che cosa faccio, passo il tempo a sedare rivolte e a combattere conflitti minori?» Le rubò distrattamente un altro acino. «Ho riflettuto, mentre ero sotto terra. Non avevo molto altro da fare. Quando sono stato sconfitto avevo esteso i confini di Stonehill come mai erano stati estesi prima. E avevo rivolte su base giornaliera, sollevazioni, proteste... tutto quanto. È un modo stupido di vincere. Riallacciamo i rapporti con i vecchi alleati... poi si vedrà». «Sì, mio signore» si inchinò ancora Ytmor. Poi sembrò farsi incerto. «Mio signore, il deposto re della città chiede un incontro». Ardan inarcò le sopracciglia. «Il deposto re. Be’, dopo il bagno, comunque». Il mago sorrise appena. «Senza dubbio, mio signore». Fu preparato un bagno anche per lei. Lili si immerse nell’acqua tiepida, lasciando che le rilassasse i muscoli. Era più tranquilla anche mentalmente, più simile alla se stessa che conosceva. Le lunghe settimane di prigionia, in una cella angusta, soffocante, e la prospettiva di una morte certa, l’avevano prostrata nel corpo e nello spirito. Aveva iniziato a sentirsi impotente e ad avere paura di tutto. Ma lei non era così. Non era mai stata così e non era giusto che i suoi carcerieri avessero anche la soddisfazione di vederla tremare a ogni muover di foglia. Il Signore della Notte... era un essere terribile, sì. Era inumano e potentissimo. Ma non era invincibile. L’avevano appena tirato fuori da una bara di pietra, piombo e cristallo. Qualcuno ce l’aveva infilato. Se era successo una volta, poteva succedere di nuovo. Lili avrebbe scommesso che i maghi che l’avevano intrappolato non avevano paura di lui. Inoltre, c’era qualcosa di umano anche in quell’essere, era una riflessione che aveva già fatto. Era lì che poteva essere ferito. Lili si strofinò con la spugna che le avevano dato. Era il primo momento di solitudine dal giorno precedente. Rifletté. Il Figlio del Buio non l’avrebbe mai lasciata libera. Le serviva per ricattare l’Alleanza e per far nascere la prole della sua dea oscura. Dopo quel momento, Lili ne era consapevole, non aveva più neanche motivo di tenerla in vita. Quindi, già che era destinata a morire comunque, tanto valeva che usasse il tempo che le restava per cercare di aiutare la sua gente. Dopo aver preso questa decisione una nuova calma si impadronì di lei. Finì di lavarsi senza fretta e poi rimase a mollo nell’acqua tiepida. Come si aspettava, Ardan non tardò molto. L’idea di doverla lasciare da sola per un po’ di tempo non l’aveva reso felice, prima, anche se aveva finito per dichiararsi d’accordo con i suoi servitori. Ora entrò nella stanza da bagno in cui era lei, con i lunghi capelli ancora umidi e un telo nero drappeggiato attorno al corpo. «Hai finito?» le chiese. «Sì, mio signore» rispose Lili, tranquilla, e fece per uscire dalla vasca. Ardan la sollevò direttamente dall’acqua. Lili non fece resistenza. Lo guardò, mentre lui la guardava a sua volta. Il Figlio del Buio la portò fino alla sua stanza. La depose sul letto, lasciando che i capelli fradici di lei inzuppassero le coperte. Lili rimase ferma, senza dimostrare paura, mentre lui tornava a guardarla. Ardan si chinò su di lei. Le posò l’orecchio sulla pancia, come se volesse ascoltare, poi ci appoggiò la fronte. Lili sentiva la punta del suo naso sotto l’ombelico e il suo respiro poco più in basso. «Sì, percepisco la scintilla» mormorò lui. La sua bocca toccò la pelle di lei. Lili chiuse gli occhi e aprì le cosce. «Decisa a essere Sacrificio fino in fondo» mormorò lui, sarcastico. La sua bocca, mentre parlava, disegnò una forma sulla pelle di lei. «E avverto la tua malìa, non temere. Quando hai paura sei più umana... ma d’altronde, vale per noi tutti». Lili sentì le sue labbra che scendevano verso il basso. La sua lingua scivolò nella fenditura del suo sesso, percorrendola tutta. Lili provò l’impulso di chiudere le cosce, ma non lo fece. Lasciò che lui la leccasse e sentì un brivido di paura, di eccitazione e persino di piacere, quando la lingua di Ardan la sfiorò sulla piccola cuspide sensibile sopra il suo sesso. «Un sapore che non assaggiavo da molto tempo» commentò lui, risollevandosi. Lili rimase ferma, ma sapeva che Ardan non si sarebbe spinto oltre. Era cauto. Come seguendo i suoi stessi pensieri, lui le rivolse un sorriso sottile. «Ho già intrappolato una ninfa... una vita fa, ma certe cose non cambiano. Avverto la tua malìa e so quanto sia difficile tenervi in gabbia. Tutti quegli incauti che si sono ritrovati folli e soggiogati, eh?» Le batté un paio di colpi su una coscia, un gesto quasi amichevole. «Siete predatori. Ma, vedi, tu sei solo un mezzo predatore, questa non è una foresta e io sono figlio di una dea. Non farci la bocca. E adesso vestiti, dato che finalmente ti hanno portato degli abiti». Lo seguì buona-buona fino alla sala del trono. Le avevano procurato dei vestiti chiari e un po’ frivoli, da nobildonna. La massa indomabile dei suoi capelli era stata sfidata da una cameriera coraggiosa. La cameriera aveva perso. Ardan, riccamente vestito di velluto nero, si era seduto sul trono e le aveva fatto segno di sistemarsi ai suoi piedi. Ytmor era rimasto dritto alla destra del trono, un po’ più indietro. «Ora può entrare» disse Ardan. Ytmor ordinò alle guardie di aprire la porta. Un valletto annunciò Neum Odena, precedente re di Stonehill, e sua figlia, la principessa Emorard. Lili vide entrare un uomo ormai avanti con gli anni, dalla barba e dai capelli grigi, molto magro e ben vestito, e una giovinetta di meno di vent’anni, dai capelli scuri e dagli occhi spaventati. Entrambi si chinarono davanti al trono e restarono genuflessi. La giovane, Emorard, lanciò un’occhiata di soppiatto a Lili. La mezza ninfa vi colse del dispiacere e della pietà. Da un lato la cosa la innervosì, dall’altro la confortò. Non erano tutti privi di umanità, a Stonehill. «Neum Odena, deposto re» disse Ardan, in tono vagamente divertito. «Perché mi chiedi udienza?» «Per porgerle i miei rispetti, mio signore» rispose l’uomo, senza alzarsi. Sembrava sulle spine. Sua figlia, invece, sembrava proprio terrorizzata. «Già, be’» sospirò Ardan. Si voltò verso Ytmor. «In che modo è stato deposto, questo re?» «Dopo la perdita delle miniere di Llot, io e gli altri maghi abbiamo ritenuto che...» «Capisco» sorrise il Figlio del Buio. «Semplice curiosità. Quindi... un re deposto dai suoi maghi. Forse dovrei trarne un insegnamento, ma...» si strinse nelle spalle «...non credo che mi succederà. La vera domanda è: che cosa dovrei farmene, di un re deposto?» Sulla guancia della giovane principessa scivolò una lacrima di paura. Tenne la testa bassa, cercando di non farsi notare. «Sta alla vostra saggezza deciderlo» mormorò il vecchio re, senza perdere la compostezza. Ardan guizzò giù dal trono, facendo sussultare tutti i presenti. Si accosciò davanti alla principessina e le sollevò il mento. «Non dovresti avere paura, Emorard Odena. Non intendo uccidere tuo padre. La mia era una domanda vera e propria». «Oh, grazie, dea» sospirò lei, stringendogli la mano tra le proprie. Ardan non sembrò apprezzare. Si allontanò, tornando sul trono. «Alzatevi. E tu raccontami dell’avanzata dell’Est, Neum Odena». L’ex sovrano annuì. Si rialzò, evidentemente scosso, ma ancora padrone di sé. «È stata lenta ma costante, negli ultimi anni. Poi, cinque mesi fa, il Valico di Llot ha ceduto, dopo un lungo logoramento. Gli orchi che lo difendevano erano privi di strategia, senza Mahirl, l’unico comandante che riusciva a farsi ascoltare da loro...» «Sono buoni fabbri, gli orchi» considerò Ardan. «Buoni soldati? Ne dubito». Il deposto re annuì di nuovo. «È così, mio signore. Dopo il valico, per le miniere è stata solo questione di tempo. Questo ha indebolito ulteriormente il nostro esercito. La Dea della Luce ha donato grandi forze ai maghi dell’Alleanza». Il volto di Ardan fu attraversato da un sorriso crudele. «Silrak, mia signora, questa è un’accusa nei tuoi confronti». «N-non oserei mai...» si affrettò a dire il re, ma Ardan si limitò a ridere. «Non preoccuparti degli dei, Neum Odena... non ascoltano, se non quando qualcuno li costringe a farlo. Dunque dopo la caduta delle miniere, il nostro esercito si è trovato a corto di armi. Be’...» sospirò «...dovremo riprenderci le miniere. È tutto, per quanto mi riguarda. Voglio che tu resti nei dintorni, Neum Odena... i tuoi consigli possono ancora essere utili, in qualche misura. E alla gente piacciono i re con la barba grigia». I due si inchinarono di nuovo e Ardan sussurrò qualcosa nell’orecchio di Ytmor, poi la sala restò deserta e silenziosa. Il Signore della Notte accarezzò distrattamente i capelli di Lili, che era ancora seduta ai suoi piedi. «Fai entrare gli altri, Ytmor... li riceverò fino all’ora di pranzo».
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