Alex
Mi guardo intorno spaesato, lanciando un'occhiataccia a tutti quelli che mi fissano intorno, per poi ritornare a guardare la porta di ferro chiusa nell'esatto momento in cui la maniglia si abbassa e un uomo in divisa dà un'occhiata in giro per la cella:
«Alex Turner?»-la sua voce mi fa alzare di scatto dal letto puzzolente, quindi i suoi occhi mi raggiungono, mentre alza l'indice per dirmi di seguirlo.
«Hai visite.»-si limita a dire, e tra tutte le persone che vorrebbero rivedermi, dai miei genitori a mia figlia, spero fottutamente che dall'altra parte del muro ci sia Clara.
È da mesi che non la vedo e nessuno vuole dirmi cosa sia successo, ma capisco anche che deve essersi spaventata al punto di non avere il coraggio di guardarmi.
Sorpasso la guardia a passo felpato, ma vengo bloccato da lui stesso, facendomi capire che devo rallentare, quindi mi limito a serrare la mascella e aspettare che sia lui ad aprire la porta.
Formulo mentalmente delle frasi a senso compiuto, mentre passo la mano tra i capelli per rendermi il più presentabile possibile, ma poi rido mentalmente, pensando che a lei non importerebbe a prescindere e mi salterebbe al collo anche se fossi cosparso di merda.
Alzo la testa e faccio un passo nella piccola stanzetta fredda, in cerca di Clara con gli occhi tra i pochi presenti, venuti a salutare i loro cari.
Il sorriso mi muore sulle labbra quando vedo Tiara seduta in un angolo a guardarmi, per poi alzarsi in piedi non appena incrocio i suoi occhi.
Lascio le braccia cadere lungo i fianchi e abbasso le spalle, deluso per l'ennesima volta.
Prendo posto davanti a mia sorella, abbandonando il corpo sulla sedia, e capisce dalla mia smorfia infastidita che avrei preferito qualcun altro al posto suo.
Assume un'espressione seria e fa per parlare, ma non riesco a trattenere la rabbia e sbatto una mano sul tavolo:
«Dove cazzo è Clara!»
Clara ora è di fronte a me, con un lungo vestito attillato e dei lungi capelli biondi che la rendono irriconoscibile, guardandola alle spalle, ma ho esplorato ogni centimetro del suo corpo e la saprei distinguere anche in una camera affollata.
Percepisco gli occhi degli invitati su di me, ma i miei non abbandonano la sua schiena.
Stringo le dita in due pugni, mentre sento gli occhi iniettarsi di sangue, ma non si gira e rimane ferma davanti a mia sorella, che si affretta a sorpassarla e a saltarmi al collo: l'odore di mia sorella non mi è per nulla confortevole, anche se non la vedo da molto.
«Finalmente.»-sussurra contro il mio petto e gli invitati cominciano a bisbigliare, ma nelle mie orecchie rimbomba solo il respiro corto di Clara.
Trattengo la voglia di sputarle in faccia quanto mi faccia schifo in questo momento e farla sentire nel peggiore dei modi possibili, per poi trascinarla fuori da questa casa e costringerla a ritornare da dove è venuta.
Ma non la degnerò nemmeno di un'occhiata, ecco cosa farò.
D'ora in poi la eviterò come lei ha evitato me in cinque fottuti anni, trattandola come davvero merita di essere trattata per avermi abbandonato in una cella, dove non ho mai smesso di sparare che lei venisse da me, dicendomi che mi avrebbe continuato ad amare lo stesso, anche se indossavo un patetica maglione arancione da criminale.
«Vuoi unirti, amico?»-alzo la testa lentamente, capendo di avere molti occhi addosso.
Non rispondo e mi limito a indurire la mia espressione, suggerendogli che è meglio non rivolgermi più la parola, il che basta per zittirlo e sedersi con gli altri intorno ad un tavolo.
Riprendo a tirare pugni al sacco violentemente gemendo nel sentire il dolore attraversare le vene del mio braccio.
E più mi faccio male, più godo, tirando tanti pugni quanti sono i giorni che non vedo il sole con gli occhi.
E sono tanti.
1440 giorni, 34560 ore lontano da mia figlia.
Ho chiesto a mio padre di non portarla in un posto del genere e continuo a guardarla crescere attraverso delle cazzo di foto.
«Turner, c'è qualcuno che ti aspetta.»- non mi ero nemmeno accorto che la porta della cella era stata aperta, quindi mi allontano dal sacco con il maglione attaccato alla pelle sudata e il ciuffo scompigliato sulla fronte.
«Digli di andarsene.»-dico tra i denti senza pensarci due volte.
Chiunque sia, sicuramente non è lei...
«È una giovane donna mora.»-insiste, ma non appena finisce alzo la voce:
«Non me ne frega un cazzo!»-i presenti si girano dalla mia parte e nella stanza cala il silenzio, mentre il poliziotto fa per allontanarsi senza fiatare, ma non appena realizzo le parole che ha detto spalanco gli occhi e i miei muscoli si irrigidiscono.
«Hai detto mora?»-annuisce scocciato, quindi mi affretto a raggiungerlo a passo felpato e con il cuore in gola.
Una parte di me sapeva che un giorno sarebbe venuta, anche se sono passati ben quattro anni.
Non m'importa di cosa le sia successo fino a oggi, ho fame di Clara e la prima cosa che farò sarà stringerla tra le braccia macchiate d'inchiostro e molto più pompate dell'ultima volta che mi ha visto.
So che le piacciono i miei muscoli, anche se ogni volta che la beccavo fissarli arrossiva.
Apro la porta prima che lo faccia il guardiano, ma la mia espressione passa da speranzosa a confusa quando noto che la donna davanti a me non è Clara.
«Naily?»
Faccio un cenno a Chris con il mento, per poi avvicinarmi lentamente, dopo aver allontanato mia sorella.
Arrivo affianco al suo corpo nell'esatto momento in cui raddrizza la schiena e porta una ciocca dei lunghissimi capelli dietro l'orecchio.
Un'ondata di profumo mi invade le narici, ma non il suo.
Basta poco per capire che è diventata tutt'altra persona e non è rimasta la donna dalle guance rosse che ho lasciato in un camerino cinque anni fa.
Faccio di tutto pur di non esplodere per l'odio che provo nei suoi confronti, quindi trascino le gambe fino alla futura moglie del mio amico con un gigno perverso:
«Chi l'avrebbe mai detto?»-la mia voce roca echeggia nella stanza, mentre le parole mi escono con difficoltà, come se non avessi parlato per anni.
Chris mi lancia un pugno scherzoso sul braccio, per poi assumere un'espressione compiaciuta, guardando le mie spalle:
«Non hai perso tempo in prigione.»-lo dice tanto liberamente che mi fa alzare un angolo della bocca, per poi strizzarle l'occhio.
Gli occhi delle donne che la circondano mi fissano con tanta insistenza che iniziano a infastidirmi, quindi decido di girare le spalle per allontanarmi, dimenticandomi della sua presenza alle mie spalle, ma, non appena mi volto, noto che non è più lì...
Mi guardo intorno spaesato, per poi ritornare a fare finta di nulla e sperare di non doverla più incontrare per il resto della giornata.
Anzi, per il resto della mia vita.
Porto una mano tra i capelli, per poi uscire da quella stanza soffocante senza dare a mia sorella il tempo di parlare.
Non riesco a stare in un luogo chiuso per più di mezz'ora: quella cazzo di cella mi ha reso claustrofobico, quindi mi affretto a uscire per riempire i polmoni d'aria.
Mi guardo di nuovo intorno, come se cercassi qualcuno con gli occhi, mentre mi incammino sull'erba fresca.
Finalmente posso ricominciare tutto daccapo, più ricco di prima per l'azienda che mio padre mi ha lasciato, più stronzo con chi mi ha deluso e più spietato con lei.
Faccio per sorpassare un cameriere, dopo aver afferrato un bicchiere dal suo vasoio e con l'intenzione di salutare il futuro sposo, ma mi blocco all'improvviso quando rischio di inciampare per colpa di un bambino che cerca di richiamare l'attenzione del cameriere dal basso.
«Cazzo...»-mi accorgo di essermi sporcato la felpa con il liquido giallognolo, quindi soffio pesantemente l'aria dalle narici e mi abbasso all'altezza del ragazzino: gli afferro entrambe le braccia e lo avvicino bruscamente alla mia faccia, il che lo porta a spalancare gli occhi e ghiacciare sul posto: penso a cosa urlargli in faccia, mentre lo fisso attentamente negli occhi scuri:
«Sparisci.»-dico con un tono fermo, senza tener conto del fatto che sto minacciando un bambino.
Allento la presa, ma invece di scappare via, la sua espressione passa da terrorizzata a confusa:
«Perchè hai la pelle nera?»-indica i miei tatuaggi, ma ha una faccia così buffa che per un momento mi pento della mia reazione, senza abbandonare il mio ghigno scocciato.
«Ti hanno preso a botte?»-inclina la testa come un cucciolo incuriosito, il che non fa altro che infastidirmi ancora una volta, quindi decido di lasciarlo perdere e alzarmi in piedi, guardandolo dall'alto: è così piccolo che la testa gli arriva poco sopra il mio ginocchio, ma lo lascio confuso sul posto e lo sorpasso per arrivare da Justin in piedi davanti a un tavolo, mentre parla con un uomo in giacca e cravatta.
Mi affianco ai due e aspetto che lo sconosciuto si allontani per picchiettare l'indice sulla sua spalla: si gira con un sorriso falso, che gli muore sulle labbra non appena incrocia i miei occhi.
«Alex!»-si avvicina per darmi una pacca sulla spalla, ma, non appena si allontana, mi sento prendere per il tessuto dei pantaloni alle spalle, quindi mi giro per intimidire chiunque mi abbia infastidito.
Davanti ai miei occhi non compare nessuna, quindi assumo un cipiglio e faccio per guardare di nuovo Justin, ma mi sento di nuovo prendere per l'orlo della maglia, quindi abbasso la testa scocciato, alzando gli occhi al cielo quando mi ritrovo davanti lo stesso ragazzino di prima.
«Ti ho detto si sparire.»-dico tra i denti, ma il suo sguardo vuoto si indurisce a tal punto da farmi raddrizzare la schiena.
Se prima sembrava un cucciolo bastonato, ora sembra un bambino indemoniato.
Socchiudo gli occhi quando Justin si schiarisce la voce alle mie spalle, ma non distolgo gli occhi dal bambino, alzando un sopracciglio:
«Spostati.»-dice con un tono di voce deciso, facendomi spalancare leggermente la bocca per il suo bipolarismo.
«Stai nascondendo le patatine. Spostati.»-ripete, facendo un passo in avanti, al che Justin si muove per porsi tra me e il ragazzino testardo con un piatto colmo di schifezze, porgendoglielo mentre impreco a bassa voce, facendo di tutto pur di evitarlo.
«Tieni, piccolo, puoi andare.»-Justin prova ad allontanarlo, ma il bambino reagisce:
«Non sono piccolo!»-gli prende il piatto di mano, per poi voltarci le spalle, non prima di averci lanciato un'occhiataccia.
Spalanco di nuovo le labbra e incrocio gli occhi di Justin, leggermente imbarazzato, per non so quale motivo.
«Come stai?»-chiede dopo un po', distraendomi da quanto è appena successo.
Come sto?
Sto di merda, ecco come sto.
«Sono libero.»-annuisco, mentre abbassa subito la testa senza insistere sul discorso, e lo ringrazio mentalmente quando cambia discorso:
«Andrew non è potuto venire?»-chiede, come se non lo sapesse:
«No.»-scuoto la testa, ricordando l'ultima volta che l'ho visto, quando è venuto a farmi visita poco prima che mi liberassero.
«Mi devo accontentare di voi due.»-alza il mento alle mie spalle, indicando mio cognato che si avvicina con un ghigno beffardo, mentre lo becco fissare il fondoschiena di una delle amiche di Chris:
«Se scopro che tradisci mia sorella ti taglio i coglioni e te li sbatto in faccia!»-richiamo la sua attenzione con un gigno severo e non ci mette molto per capire che quelle parole escono dalla mia bocca.
«Sempre più volgare.»-scuote la testa, imitando Justin nel darmi una pacca sulla spalla non appena si avvicina.
«Non tradisco tua sorella.»-annuisce convinto, guardandomi di sottecchi mentre porto il bicchiere ormai per metà vuoto sulle labbra.
«Ma devo ammettere che le amiche di Chris hanno superato le mie aspettative.»-cerco di non far caso alle sue parole, mentre i miei occhi riprendono fare il giro del cortile.
Non appena sento l'alcool bruciarmi l'esofago, capisco che l'alcool è stato l'amico che più mi è mancato negli ultimi anni.
Chiudo gli occhi, ripercorrendo mentalmente il momento in cui ho incrociato per la prima volta la sua figura, pochi minuti fa, mentre il sangue riprende a bollirmi nelle vene.
Puzzava di profumi costosi e si era conciata come una diva hollywoodiana...
«Alex?»-apro gli occhi di scatto e solo ora mi rendo conto di aver stretto a tal punto il bicchiere tra le dita da far diventare le mie noche bianche.
La voce angelica di Naily mi fa accorgere della sua presenza, quindi sforzo un sorriso e allungo un braccio verso il suo corpo.
«Che ci fai qui?»-chiedo con un tono leggermente aspro, tanto che assume un'espressione perplessa, ma tutti avrei aspettato farmi visita, tranne Naily.
Abbassa la testa lentamente, guardandomi le scarpe, quindi sospiro e decido di avviarmi al suo tavolo.
Piego le labbra verso l'alto, ringraziandola in questo modo per essere venuta a salutarmi.
«Grazie.»-mi limito a schiarire la voce, mentre mi siedo di fronte a lei allungando le braccia sul tavolo, ma non appena lo faccio si affretta ad afferrare la mia mano tra le sue.
«Ti starò vicino, Alex, te lo prometto.»
La avvicino al mio corpo, per poi poggiare le labbra sulle sue senza pensarci due volte, e non ci pensa due volte prima di ricambiare.
«Bentornato.»-si stacca con un sorriso a trentadue denti, mentre percepisco Josh e Justin scambiare delle strane occhiate a cui cerco di non dare importanza.
L'arrivo del padre del futuro sposo suggerisce che è ora di iniziare la cerimonia, ma lascio i miei due amici allontanarsi di pochi passi verso l'altare allestito.
Preferisco stare in compagnia dell'alcool, piuttosto che davanti a una scena che mi farà perdere in ricordi spiacevoli.
Faccio un cenno con la testa a Naily di andare a prendere posto, quindi annuisce e obbedisce alle mie parole.
Allungo un braccio per raggiungere una bottiglia di birra, mentre mi guardo di nuovo intorno, sentendomi osservato.
I miei occhi iniziano a spiare tutti i presenti, dalle donne sofisticate dai sorrisi falsi in faccia agli uomini che si vantano delle cazzate che hanno combinato al college, al bambino di poco fa, il quale saltella sul posto non appena il cameriere gli fa toccare con un dito granchio cucinato sul vasoio, per poi spalancare gli occhi e urlare, guardando alle sue spalle:
«Mamma, guarda!»