Capitolo 1

1614 Words
CAPITOLO UNO Mi trovo sulla superficie di un calmo oceano nero, con un cupo cielo rosso fuoco sopra di me. Sei figure umanoidi si stanno lanciando nella mia direzione. Con quelle strane estremità, sembrano procedere sull'acqua in punta di piedi. Al dito indice destro, sfoggiano artigli simili a spade, e sono prive di naso e occhi. In generale, hanno una testa piuttosto scarna: niente capelli, niente orecchie, solo una pelle liscia come quella di un bambino, e una bocca enorme al centro di quello che sarebbe il volto. E se questo non fosse già abbastanza raccapricciante, l'orrida creatura più vicina a me inizia a gridare, come una gatta in calore. Mi rendo conto, scioccata, che sta dicendo qualcosa. "Tu!" grida la creatura. "Non sei morta?" La fisso a bocca aperta. "Perché dovrei esserlo? Che cosa sei? Come mai mi conosci?" La creatura tenta di colpirmi con l'artiglio-spada. Mi chino, evitando di perdere la testa. "Resta ferma!" urla la mostruosità. "Se ti uccidessi adesso, Maestro sarebbe contento." Sì, giusto. Una protuberanza, simile ad un'appendice, si snoda dal mio polso, trasformandosi in una spada di pelo, giusto in tempo per parare l'attacco successivo dell'artiglio-spada. "Quale maestro?" chiedo, affondando con un rapido colpo. L'avversario viene aperto in due, ancor prima di poter rispondere. Una seconda creatura mi raggiunge, agitando l'artiglio-spada. "Maestro ti odia!" stride, quando paro il colpo. "La tua esistenza è una rovina." Contrattacco con la lama di pelo, affondandola nel petto dell'avversario. "Io, una rovina?" Estraggo la lama con uno strattone. "Da che pulpito viene la predica." Il tempo per le chiacchiere sul loro maestro dev'essere giunto al termine. I prossimi due aggressori mi caricano con una violenza di gran lunga maggiore. Con gli artigli, menano fendenti e colpiscono senza alcuna strategia, diventando facili prede per la mia lama di pelo. I due successivi, più prudenti, mi circondano silenziosamente, alla ricerca di un'apertura. Lancio un finto attacco, poi mozzo la testa di uno di loro. L'avversario successivo si china sotto la mia lama, accovacciandosi sull'acqua. Mentre torreggio su di lui, mi colpisce con l'artiglio, infilzandomi la coscia. Balzo all'indietro con un grido di dolore. Il muscolo interessato brucia nell'agonia. Il mostro scatena il colpo finale, ma lo intercetto. Con un urlo stridente, affonda di nuovo... e l'artiglio mi penetra nella spalla. Ignorando la vertiginosa ondata di agonia, faccio oscillare la lama, decapitandolo di netto. * * * Mi trovo in un enorme e sontuoso ingresso, con pareti verdi rossastre e pavimenti di marmo blu giallastri. L'intenso e appetitoso aroma del manna mi riempie le narici, mentre oggetti dalla forma impossibile mi fluttuano davanti agli occhi. Il mio palazzo dei sogni. Ce l'ho fatta. Il sangue continua a fuoriuscire dalla coscia e dalla spalla. Porca miseria. Quel sub-sogno era peggiore degli altri. Se fosse stato presente un altro mostro, avrei la schiuma alla bocca e tenterei di uccidere chiunque nel mondo della veglia. Per fortuna, avevo chiesto al medico della mamma di prepararsi a questa eventualità. Se fossi riemersa dalla trance onirica in preda all'istinto omicida, avrebbe potuto sottomettermi con l'aiuto dei corpulenti addetti alla sicurezza che aveva radunato... o abbattermi con il contenuto della propria siringa, qualunque fosse. Beh, la cosa positiva è che niente di tutto ciò è necessario adesso, poiché mi trovo in tutta sicurezza nel mondo dei sogni. Esco dal mio corpo, lo guarisco, mi acconcio i capelli, rendendoli fiammeggianti, e torno dentro me stessa. Pom compare accanto ad una delle forme impossibili. Lui è un looft, una creatura simbiotica perennemente attaccata al mio polso, e anche il mio compagno qui, nel mondo dei sogni. Delle dimensioni di un grande uccello, dotato di giganteschi occhi color lavanda, orecchie a punta triangolari e un morbido pelo, che cambia colore a seconda delle sue emozioni, di solito si trova nel dizionario accanto alla parola 'adorabile'. Al momento, però, è completamente nero e ha le orecchie flosce. "Ti ho letto di nuovo accidentalmente nel pensiero" ammette con aria colpevole. "Sei qui per risvegliare Lidia, vero?" Ricordando la mia importante missione, spicco il volo, dirigendomi verso la torre dei dormienti. "È vero. La mamma era bloccata nella fase non REM, ecco il motivo del sub-sogno che abbiamo appena vissuto." Mi volteggia intorno con un fremito. "Spaventoso." "Senz'altro. Ma ehi, stavolta eri una spada." Glielo dimostro, ricreando l'arma che ho appena usato. "Sapevi che, in realtà, era un sogno?" Assume una tonalità di nero ancora più scura. "No. Mi stavo solo vivendo il momento, senza chiedermi perché fossi quella spada... per quanto bizzarro." "La stessa cosa vale per me. Non mi rendevo conto di sognare." Pom gira intorno alla mia testa. "Le creature hanno parlato stavolta." È così. Che strano. Ripenso a tutti gli altri sub-sogni che ho vissuto e alle creature bizzarre e terrificanti che vi ho incontrato. "Forse, hanno sempre cercato di parlare" rispondo. "Ma stavolta, avevano una bocca con cui esprimersi." Il pelo di Pom assume una tonalità arancione chiaro. "Da dove provengono i sub-sogni?" Rallento la velocità del volo. Ha posto una domanda su cui ho riflettuto molto, senza mai arrivare ad una risposta soddisfacente. "Non lo so. Li ho soprannominati sub-sogni, perché penso che attingano più in profondità nel subconscio rispetto ai sogni normali." "Il subconscio di chi, il tuo o quello del sognatore?" "Bella domanda." Rievoco le creature del sub-sogno che ho vissuto durante l'invasione della fase non REM di Bernard... quelle simili a batteri e virus di grandi dimensioni. "Teoricamente, questa potrebbe essere l'incarnazione delle mie paure della contaminazione." Pom le scruta, mentre ricreo le creature incontrate nel sub-sogno di Gertrude: gigantesche talpe senza pelo con i tentacoli, in sella ad esseri ibridi, a metà tra un facocero e un ragno. "Nessuno di questi cavalieri rientra nello schema" affermo, studiandoli, "perciò, forse, appartenevano all'immaginazione di Gertrude." Pom fluttua davanti al mio viso. "Pensi che sia stata tua mamma a creare i mostri che abbiamo appena sconfitto?" "Può darsi. Anche se le implicazioni non mi piacciono." Mi guarda, meravigliato. "I mostri dicevano che il loro maestro mi odiava" spiego. "Se fosse stata la mamma a crearli, allora sarebbe lei questo maestro, no?" Raggiunta la torre dei dormienti dalle pareti di vetro, localizzo la nicchia in cui, ora che l'ho spinta nella fase REM, è situata la sagoma della mamma. "So che abbiamo avuto quella lite, prima del suo incidente" continuo, volando verso di lei, "ma spero che non ritenga davvero la mia esistenza una rovina, qualunque cosa significhi." Pom vola accanto a me. "Sei dispiaciuta per quella lite, vero?" "Certo. Ho fatto pensare alla mamma che avrei potuto invadere i suoi sogni, un atto che mi aveva spinto a giurare di non commettere mai. Ecco perché era rimasta così turbata, ed era uscita come una furia. L'incidente non sarebbe accaduto, se avessi tenuto a freno la lingua." Pom diventa grigio, un colore raro per lui. "Non sapevi che cosa sarebbe successo." "Vero." Inspiro, per tenere a bada la pesante ondata di emozioni che viene sempre causata dai pensieri sull'incidente della mamma. "In ogni caso, non importa più. Sto per infrangere la mia promessa." "Per salvarle la vita." "Sì." All'esterno, nel mondo della veglia, la mamma è immersa in uno strano sonno, simile al coma, dal quale né Isis, una potente guaritrice, né il dottor Xipil, un raro medico gnomo, sono riusciti a risvegliarla. L'unico tentativo rimasto consiste nell'entrare nei suoi sogni, per risvegliarla dall'interno. Spero che mi capisca e mi perdoni. Entrata nella sua nicchia, atterro accanto al letto. Con mia sorpresa, non c'è alcuna nuvola sopra la sua testa, simbolo di un circolo di traumi: sospettavo da sempre di trovarla, durante un eventuale viaggio nei suoi sogni. Prima dell'incidente, aveva dato segno di tutti i sintomi a cui ho assistito con i clienti più disturbati. "Sono sicuro che ti perdonerà" afferma con aria solenne Pom, atterrando alle mie spalle. "La cosa più importante è che tu perdoni te stessa. Nella mia esperienza, è più difficile." Mi giro, per vedere se sta scherzando, ma è ancora di quel deprimente colore grigio. "A quale esperienza ti riferisci? Per che cosa hai mai avuto bisogno di perdonarti?" Il suo viso carino si trasforma in un'espressione infelice, e le sue orecchie si afflosciano. "Mi sono legato a te in modo permanente, senza chiederti il permesso." È così. Di certo, non mi aspettavo di finire con un simbionte, quando avevo accarezzato un mooft (una creatura simile ad una mucca, sulla quale normalmente vivono i looft) in uno zoo di Gomorra. Ma adesso, non riesco ad immaginare la mia vita senza di lui. "Tesoro." Lo sollevo, portandolo allo stesso livello dei miei occhi. "Te l'ho già detto: non vorrei mai toglierti, nemmeno se potessi." Le punte delle sue orecchie assumono una leggera sfumatura di viola. "Me l'hai detto, quando pensavi di essere giustiziata. Ora che sai di vivere, lo pensi ancora?" "Saremo dei simbionti per tutta la vita" rispondo solennemente. "Non dimenticarlo mai." La restante parte di Pom diventa viola, e lui sorride. "Siamo una bella coppia di simbionti, no?" "Non so che cosa farei senza di te." Gli do un bacio sulla fronte pelosa, poi lo poso a terra. "Ora, che ne dici di fare quello per cui sono venuta qui?" Entrambi guardiamo la mamma. I suoi bei lineamenti appaiono così pacifici nel sonno. "Vuoi un po' di privacy?" chiede Pom. "Sì, grazie." Sono passati quattro mesi, da quando la mamma è caduta in coma. Le probabilità che mi metta a piangere, quando finalmente parleremo di nuovo, sono piuttosto alte, e la scena potrebbe turbare Pom. Scompare, servizievole. Metto una mano sulla fronte della mamma. "Mi dispiace" sussurro. "Se potessi salvarti senza infrangere la mia promessa, lo farei." Facendomi coraggio, mi tuffo nel suo sogno.
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