2.

3746 Words
2. Il sole le scaldava una guancia. Qualcosa di caldo e relativamente soffice le premeva contro. Provava una sensazione di vago benessere dalle parti dell’inguine. Respirò un po’ più profondamente, mentre si risvegliava. Un braccio le faceva male. La parte posteriore del suo corpo era fredda. Si sentiva tutti i muscoli irrigiditi. Le scappava la pipì. Aprì gli occhi. Myers aveva la faccia appoggiata sotto al suo mento, più o meno sulla sua tetta destra. Era la sua gamba la cosa che sentiva in mezzo alle sue. Era il suo braccio che la circondava. Era il suo respiro che le scaldava la zona dello sterno. La sensazione si fece all’improvviso sgradevolissima. Qualcosa le premeva contro il basso ventre e non voleva sapere cos’era. In ogni caso Myers dormiva. Lo spinse lontano da sé, verso il muro. Lui grugnì appena. Poi dalle palpebre sporche e arrossate emerse il grigio scuro dei suoi occhi. «Merda» bofonchiò. Aprì del tutto gli occhi. «C’è il sole» disse. «Sì» fece lei. Allungò il braccio, che era ancora legato al suo, facendo una smorfia. Formicolava. Con le dita dell’altra mano iniziò ad allentare i nodi. Lui si stiracchiò senza fornire alcun aiuto. Aveva la faccia tutta fangosa. I capelli, che in teoria dovevano essere scuri, erano più o meno grigi. Stessa cosa per il maglione e i pantaloni. Non osava pensare allo stato in cui doveva essere ridotta lei. Finalmente riuscì a disfare il nodo. Si alzò in piedi. Non c’era parte del corpo che non le facesse un male cane. «Devo uscire un attimo. Guai a te se provi a muoverti» disse, in tono severo. «Penso che io la farò nell’angolo, se non ti spiace» ribatté lui, con aria annoiata. Beth grugnì e uscì nel corridoio sotterraneo. Fu la pipì più veloce della storia. Intanto che la faceva notò che anche nel corridoio c’era della luce. Proveniva da un tombino sul soffitto. A circa un metro dal suolo partiva una serie di pioli piantati nel muro. Merda! Perché non li aveva toccati, la sera prima? Rientrò nella stanza, temendo che anche lì ci fosse una scala a pioli, e che Myers si fosse defilato. Invece il tombino che faceva entrare la luce là dentro era privo di scale e Myers si stava tranquillamente riallacciando la patta dei calzoni luridi. «Togliti le scarpe e le calze» disse Beth. Myers le lanciò uno sguardo vacuo. «Devo presumere che stiamo per uscire?» domandò. «Esatto. Qua fuori c’è una scala. Ci può salire solo una persona per volta. Tu andrai per primo. Se avessi la tentazione di scappare, senza scarpe sarai un po’ più lento». Lui sospirò. Si sfilò scarpe e calze e le legò tra di loro. Le porse a Beth. «Se appoggio un piede su qualche schifezza e prendo il tetano ti faccio causa» specificò. Una volta nel corridoio iniziò ad arrampicarsi lentamente su per i pioli. «Quando esci rimani fermo un paio di passi più in là». «Sì, sì!» sbuffò lui. Tenendosi ben stretto con una mano sollevò il tombino con l’altra. Beth prese a salire mentre lui usciva. La gamba destra le faceva piuttosto male all’altezza della caviglia e si chiese se non se la fosse distorta. «Siamo in un cazzo di bosco» la raggiunse la voce irritata di Myers, appena fuori dal buco. Gli ridiede le sue scarpe e si guardò attorno. Erano in un cazzo di bosco. Tutto attorno a loro si innalzavano faggi dalle foglie marroni. Altre foglie erano a terra. Il sole splendeva attraverso i rami e l’aria era fresca. Non sembrava esserci segno di vita. «Andiamo da quella parte» disse Beth, indicando la direzione in cui scorreva il tunnel sotterraneo. Da quella parte c’era l’Infotech, i pompieri, i suoi. Myers sospirò e si mise in marcia senza dire una parola. Beth lo seguì da vicino. Ogni volta in cui posava il piede a terra veniva trafitta da un lampo di dolore, ma non poteva farci niente. «Forza» borbottò Myers. «Reggiti a me. Che non si dica che non so perdere con sportività». «Sto bene così, grazie» replicò lei, asciutta. Lui si strinse nelle spalle. «Allora continua a zoppicare». Beth, seccata, si appoggiò al suo braccio. «Sei stata brava, lo devo ammettere» continuò lui, riprendendo a camminare. «Non mi sono accorto che fossi un’infiltrata finché non ci hai puntato la pistola addosso». «L’idea era un po’ quella». Myers alzò gli occhi al cielo. Poi si fece serio. «Mark e Justin sono morti, vero?» «Penso proprio di sì». «Poveracci». Continuarono a camminare in silenzio nel sottobosco per un’altra ventina di minuti. In un certo senso il paesaggio era stupendo. Beth pensò che in altre circostanze avrebbe potuto apprezzarlo. «Com’è che hai deciso di fare lo sbirro?» le chiese a un certo punto lui. «E com’è che hai deciso di fare il criminale?» ribatté lei. Lui sorrise appena. «Solita storia. Infanzia violenta, genitori figli di puttana, quartiere degradato». «Sì, lo so. Era una battuta». «Ah, giusto. Suppongo che tu sappia tutto di me». «Qualcosa. Il resto puoi raccontarlo ai miei colleghi, a Quantico». «Oh, ti prego… non farmici pensare. Devo chiamare l’avvocato, vedere se riesco a patteggiare… è così deprimente, essere arrestati. Senti, potresti farmi un favore?» «Non credo proprio». «Aspetta di sentire qual è, almeno» replicò lui, acido. «Puoi dire ai tuoi colleghi se mi fanno fare una doccia, prima?» Beth sorrise suo malgrado. «Non ti prometto niente». In quel momento gli alberi si diradarono e videro una strada. Davanti a loro c’era lo scheletro annerito della Infotech Solutions. Visto così, alla luce del sole, era uno spettacolo allucinante. Del fabbricato bianco che era solo il giorno prima non era rimasto quasi niente. Muri neri e semi-diroccati si innalzavano un centinaio di metri oltre la rete metallica. I piloni di ferro del tetto sporgevano come dita annerite, spettrali e fumanti Fatto strano, sembrava non esserci nessuno. Beth sedeva sul ciglio della strada con aria sconsolata. «Non ci posso credere, cazzo. Non ci posso credere». Alla Infotech non c’era nessuno. Non un camion dei pompieri, non una macchina, non un elicottero. Niente di niente. I federali erano scomparsi alla velocità del fulmine, lasciandosi dietro solo del nastro giallo e un cartello con scritto: “vietato l’ingresso, zona sottoposta ad accertamenti giudiziari”. «Se vuoi saperlo non ci posso credere neanch’io» disse Myers. «Perché cazzo se ne sono andati così presto?» Beth rimase in silenzio. Non lo sapeva. Non ne aveva idea. La faccenda era veramente strana. Tutta quella velocità non era normale. Almeno qualcuno sarebbe dovuto rimanere. Dov’erano tecnici della scientifica, patologi e agenti? Perché non c’era nessuno? Se anche si fossero allontanati momentaneamente, qualcuno sarebbe dovuto restare. «Okay. Che cosa facciamo adesso?» tornò a parlare Myers. Quella era una bella domanda. Dovevano rimanere aspettando che qualcuno si facesse vivo o iniziare a pensare di cavarsela per conto proprio? «Aspettiamo qualche ora» rispose, alla fine. «Pensi che torneranno?» Beth scosse lentamente la testa. Non sapeva che cosa pensare. Prima le granate incendiarie, poi la sparizione improvvisa. Iniziava a diventare paranoica. «Non lo so. Spero di sì». «Certo che sono proprio affezionati al tuo culo» commentò lui, in tono polemico. Si andò a sedere accanto a lei. «Sono stanco. Ho sete, ho fame. Mi sento come se mi fosse passato sopra un tir e so che tu non devi stare meglio». «Già. Ti dispiacerebbe andare da McDonald a prendere due panini e una coca?» replicò lei, sarcastica. Myers grugnì. «Potrei uccidere per un panino e una coca». «Non ho dubbi» ritorse lei, secca. «Già. E fai bene a non averne. Spero che ti renda conto che sei ancora viva per pura gratitudine. E anche perché pensavo che qui ci fosse qualcuno in grado di darmi da mangiare, anche se della parte avversa». «Oh, molto gentile da parte tua. Ma ti avverto che non sarebbe così facile». Myers alzò gli occhi al cielo. «Be’, al momento non mi ritengo più tuo prigioniero. Credo che andrò alla ricerca di un po’ d’acqua». Detto questo si alzò e fece per incamminarsi lungo la strada. Beth gli fu addosso in un secondo. Lo buttò a terra e lo colpì due volte di seguito sulla schiena, colpi duri e cattivi. Myers gemette. «Mi stai facendo male» sibilò, una volta che lei ebbe smesso. Beth allentò leggermente la presa. Fu un errore. Myers si contorse come un serpente e se la scrollò di dosso. Un attimo dopo era lei sotto e lui era sopra, con una mano attorno alla sua gola. «Allora? Che faccio, ti uccido?» Beth si divincolò a gli morse la mano. Myers la ritrasse di colpo. Lei lo spintonò e lo buttò di nuovo a terra. Lui si rialzò e arretrò di qualche passo. Alzò le mani. «Basta. Pace. Sono tuo prigioniero. Ho già i polmoni a pezzi. Non ho l’energia per fare baruffa». «Non provarci di nuovo». Quattro ore più tardi non era comparso nessuno. Beth si era tolta una scarpa e osservava la sua caviglia, che si era un po’ gonfiata. «È una distorsione» diagnosticò Myers, con voce impastata. «Sei anche medico, adesso?» Lui sbuffò. «Se fosse rotta sarebbe delle dimensioni di un melone, a quest’ora. Se non ti fossi fatta niente ti sarebbe già passato». Si voltò verso di lei e la fissò. «Ascolta. Prendiamo atto della situazione. Quegli stronzi dei tuoi colleghi ti hanno mollata qui. E con qui intendo un posto dimenticato da Dio e dagli uomini, a sessanta chilometri dal primo centro abitato, senza né cibo né acqua. Ora… non vorrei fare sempre la parte del rompipalle, ma…» «Hai ragione». Myers sbatté le palpebre. «Ho detto che hai ragione. Ho sete, ho fame e sono le due del pomeriggio. È l’ora di iniziare a camminare. Carlton dovrebbe essere da quella parte, giusto?» Stava indicando la strada nella direzione destra. «Giusto. È a sessanta, sessantacinque chilometri. Facendo… non credo che possiamo fare più di cinque chilometri all’ora, in queste condizioni… facendo cinque chilometri all’ora ci vogliono circa trenta ore. Due giorni, se vogliamo anche dormire». «Non essere così pessimista. Potrebbe anche passare una macchina». Lui le lanciò uno sguardo perplesso. «Hai presente dove porta questa strada?» Lei sospirò. «Sì. Alla Infotech Solutions». «E basta. Secondo te perché l’avevo considerato il luogo perfetto per una consegna? Perché era allegro e pieno di vita?» Beth gli restituì uno sguardo di puro odio. Se lui avesse scelto un altro posto, un po’ più a portata di mano e un po’ meno infiammabile, adesso non sarebbero stati lì. Per essere onesti, però, non sarebbero stati lì anche se l’FBI si fosse degnata di rimanere sul luogo di un fottuto delitto per più di quattro secondi. «Questo significa che dobbiamo rinunciare a bere e a mangiare per i prossimi due giorni?» argomentò. «Hoffman. Se non beviamo per due giorni moriamo. Punto. La nostra priorità in questo momento è cercare dell’acqua». Beth cercò di togliersi un po’ di sporco da sotto un’unghia. «Be’… nel tunnel dell’acqua c’era» mormorò. Myers la guardò con faccia schifata. «Hoffman. L’acqua di quel tunnel era acqua di scarico. Vuoi prendere l’epatite?» «Sempre meglio che bere il mio piscio». «Sono sopraffatto dal tuo atteggiamento ottimista. Io dico che dovremmo cercare un cazzo di fiume». «Oh, sì… c’è un fiume. Venti chilometri più a sud, oltre il bosco. Peccato che in questo caso allungheremmo solo di una quarantina di chilometri!» Lui fece una smorfia. «Rifletti Hoffman. Se c’è un fiume ci sono anche degli affluenti. È una legge di natura». Lei emise una risata amara. «E bravo il boy scout! Hai visto un solo corso d’acqua mentre venivamo qua in macchina?» «Non ci ho fatto caso, okay? Magari l’abbiamo anche visto, solo che adesso non ce lo ricordiamo». «No» replicò lei, mesta. «Io ho studiato la topografia della zona. Nessun fiume taglia questa strada». Si prese la testa tra le mani, chiudendo gli occhi. Sentì una mano che le scostava una ciocca di capelli. «Dai… non è il caso di farsi prendere dallo sconforto» le mormorò Myers. Lei alzò gli occhi su di lui. «Non mi sto facendo prendere dallo sconforto. Sto cercando di ricordare». Chiuse di nuovo gli occhi. «C’era un puntino azzurro sulla mappa… ma dove?» Avevano vagato nel bosco per quasi un’ora, sempre più stanchi e sempre più assetati, prima di trovarlo. Non era propriamente un lago. Più che altro assomigliava a un grosso stagno dalle rive erbose. A loro, però, sembrò il Lago Victoria. Si sdraiarono sugli argini e bevvero con le mani a conca come se non avessero mai visto dell’acqua in vita loro. Si lavarono la faccia, poi bevvero ancora. Infine, seduti sulla sponda, guardarono il cielo. «Sono le quattro e dieci. Il sole cala intorno alle sei. Credo che nessuno dei due abbia dormito molto stanotte» iniziò Myers, con aria tesa. «Io di sicuro no» assentì Beth. «Se vuoi dire che per il momento dovremmo fermarci qua, sono d’accordo. Non mi dispiacerebbe neanche avere un fuoco». Myers la fissò. «Per gli animali, sai» specificò lei. «Tu sai accendere un fuoco senza fiammiferi?» chiese lui. «Be’, sì. In teoria». Myers si alzò in piedi, continuando a guardarla. «Okay» disse alla fine, molto lentamente. «Visto che dobbiamo fare i campeggiatori – e non perderò tempo a ricordarti quanto io odi tutta questa situazione – vedrò di fare la mia parte». Indicò con una mano il bosco. «Io vado lì, sul cosiddetto limitare del bosco, ben in vista, a raccogliere della legna. Tu nel frattempo cerca qualcosa di morbido su cui dormire. In ogni caso farò presente al mio avvocato che il concetto dell’FBI di detenzione preventiva è un po’ troppo simile a Survivors per i miei gusti». Beth annuì stancamente. Mentre lui si incamminava iniziò a raccogliere dei grossi ciottoli dalle rive dello stagno e li dispose a cerchio. Ogni pochi secondi sollevava lo sguardo per controllare che non se la stesse dando a gambe, ma Myers si limitava a raccogliere rametti con aria rassegnata. Beth, dal canto suo, estirpò un gran numero di felci, buttandole a terra vicino al cerchio di pietre a formare un rudimentale materasso. Si sentiva stanca e schifosamente sporca. Il corpo le prudeva dappertutto, solo che non osava grattarsi per evitare che gli abiti zozzi le toccassero ancora di più la pelle. Per essere del tutto onesti era sull’orlo delle lacrime. I suoi l’avevano mollata a sessanta chilometri da qualunque centro abitato, senza cibo e senza acqua. Le avevano tirato addosso delle cazzo di granate incendiarie. Erano scomparsi alla velocità del fulmine da una scena del crimine portando via qualsiasi cosa utile, comprese le macchine su cui erano arrivati. Le faceva male una gamba, aveva fame, ed era stanca. In tutto questo, doveva anche fare attenzione che il prigioniero non scappasse. Non era giusto. Iniziò a pensare che se anche Myers fosse scappato non sarebbero stati affari suoi. Lei aveva fatto tutto il possibile. Rinfrancata da questa idea, voltò pacificamente le spalle al suo prigioniero e si sistemò sulla riva dello stagno. Erano circa le cinque. Avevano ancora un’ora di sole, più o meno. Si tolse le scarpe e infilò i piedi nell’acqua. Era un po’ fredda, ma la sensazione era bellissima. Prese i calzini rigidi di fango e li sciacquò per bene nello stagno. Lì appoggiò sulla riva, accanto alle scarpe. Li fissò per qualche secondo. Un minuto dopo, non sapeva neanche lei come, era a mollo nell’acqua. Sentiva tutto lo sporco della notte precedente e della giornata scivolarle via di dosso. Era semplicemente bellissimo. «Ehi, che cosa stai combinando?» le arrivò la voce di Myers. Beth sollevò la testa. «Mi lavo» disse, semplicemente. Lui la guardò con aria pensosa, inclinando la testa di lato. «Be’, faresti meglio a toglierti i vestiti. Io guardo dall’altra parte» concluse, e tornò ad ammonticchiare legna accanto al cerchio di pietre. Esattamente un’ora più tardi si stavano maledicendo per la loro stupidità. Quando Beth era uscita dallo stagno anche Myers si era buttato. Beth aveva acceso il fuoco e aveva iniziato a rendersi conto che con i vestiti bagnati addosso iniziava ad avere freddo. Parecchio freddo. Pochi secondi più tardi anche Myers aveva iniziato ad avere la stessa sensazione. Verso le sei sedevano entrambi vicino al fuoco con due stecchi in mano. Beth era in mutande e reggiseno e Myers in boxer. Sugli stecchi c’erano i loro vestiti, ad affumicare. Entrambi avevano cercato di coprirsi alla meglio con delle felci, ma il risultato era a dir poco patetico. «Nei film fanno sempre il bagno negli stagni» borbottò Myers, con aria cupa. «Nei film i vestiti se li tolgono prima di buttarsi» replicò lei, con aria altrettanto cupa. Aveva la pelle d’oca anche sui lobi delle orecchie. «Secondo te quanto ci vorrà ancora?» chiese un parere, lui, avvicinandosi un po’. «Ottimisticamente, un’altra ora». Myers sospirò. «È stata un’idea stupida. Avremmo dovuto rimanere sporchi. Adesso capisco perché Survivors lo girano sempre d’estate o in qualche paese tropicale». Beth buttò un altro pezzo di legna sul fuoco. «Adesso capisco perché ci sono cinquecentomila dollari di premio» aggiunse. Si avvicinò un po’ a Myers. «Spero che ci sia almeno una taglia sulla mia testa». Beth sospirò più profondamente. «I membri del Bureau non possono incassare taglie». «Mh-mh. Che fregatura. I tuoi pantaloni stanno prendendo fuoco». Beth tirò via di scatto lo stecco e spense l’orlo dei suoi jeans. Poi li rimise sul fuoco. «Allora, mi dici perché sei entrata nell’FBI?» chiese Myers. «Oh, sai com’è… mi sono laureata in giurisprudenza, non sapevo bene che cosa fare… mi piaceva l’idea di andare in giro ad arrestare i cattivi… ho fatto domanda e mi hanno assunta». Lui scosse la testa, come se trovasse la faccenda senza priva di senso. «Okay, adesso non prenderla sul personale, ma sto per venirti molto, molto vicino» cambiò discorso. Si spostò verso di lei finché le loro spalle non furono unite. «Non noto alcun miglioramento significativo» disse Beth, cupa. Myers si limitò a rabbrividire. Se si fosse avvicinato al fuoco un altro po’ si sarebbe bruciato i piedi come Pinocchio. «Ti vengo dietro, ma solo se prometti che facciamo a turno» si offrì. «In che senso, scusa?» fece lei, sospettosa. «Ah, guarda che se vieni dietro tu per prima, io preferisco!» «Ho solo detto che non ho capito, non che mi stai per violentare, okay?» Myers grugnì. Si sollevò un po’ e le scivolò alle spalle. Le circondò le spalle con le braccia e i fianchi con le gambe, attaccando la pancia alla sua schiena. Poi le posò la testa su una spalla. «Posso rimanere in questa posizione circa venti minuti, prima che mi si gelino le chiappe» specificò, irritato. Beth sospirò. «Puoi mettermi le mani sulla pancia. Non un centimetro più in su, non un centimetro più in giù». Myers eseguì, incastrando lo stecco con i suoi panni tra il suo ginocchio e quello di lei. «Dovresti spostare i capelli un po’ di fianco, se non ti dispiace» disse. Beth spostò i lunghi capelli castani sull’altra spalla. «Se arriva una guardia forestale ci scambia per una coppia di pervertiti» mormorò ancora Myers, con aria affranta. «Se arriva una guardia forestale può pensare quello che vuole, basta che mi riporti alla civiltà» rispose lei. «Già. La prigione inizia a sembrarmi un luogo confortevole». «E poi gli ecologisti si lamentano che non c’è abbastanza verde». «Gli ecologisti sono capaci solo di abbracciare gli alberi». «Detesto darti ragione, ma in questo caso non posso obiettare». «Mh. Vuoi un altro mirtillo?» «Quanti ne rimangono?» «Uno. Quello è l’ultimo». «Mangialo tu, allora. Che non si dica che maltrattiamo i nostri prigionieri». Myers allungò la mano verso l’ultima bacca violacea che giaceva nell’erba. La soppesò brevemente e con aria di vaga disperazione, poi la posò sulla bocca di Beth. Lei la ingurgitò. «Grazie». «Non c’è di che. Io ne ho mangiato qualcuno mentre li raccoglievo». Rimasero in silenzio per altri cinque minuti. «Be’, una volta in prigione avrò qualcosa da raccontare» disse Myers alla fine, con aria filosofica. «Sì, eh? Sono sicura che resteranno tutti molto impressionati dalle tue avventure». «Credo anch’io. Anche se in effetti preferirei di gran lunga raccontarle a qualcuno in un bar». «Non posso lasciarti andare, Myers». «Lo so. Era solo una preferenza. Ti ho già detto che so perdere con sportività. In fondo stare dentro non è così male, se hai i contatti giusti. E io li ho». «Non voglio ascoltare». Myers sospirò e posò la guancia sulla sua spalla. «Raccontami qualcosa di te, allora. Ti va?» Beth scosse la testa. «Non farò uccidere i tuoi familiari» la rassicurò lui. «No, non c’entra. Non ho molto da raccontare. I miei genitori sono morti tutti e due. Non faccio niente di speciale». «Mi dispiace per i tuoi genitori. Erano in gamba?» Beth sorrise. «Erano due brave persone. Mio padre lavorava in una fabbrica di automobili, mia madre faceva dei lavoretti qua e là, ma più che altro badava alla casa. Si sono dissanguati per farmi studiare. Naturalmente anch’io ho contribuito un po’. Lavoravo in un pub». «Sembra carino. Voglio dire, non lo so. Io ho smesso di andare a scuola a quattordici anni». «Non ti piaceva?» «Mio padre sosteneva che fosse una perdita di tempo». «Capisco. Magari pensava che fosse meglio così». «No, Hoffman. Non credo che tu capisca, ma non fa niente». Lei si voltò appena verso di lui. «Raccontamelo, allora». Lui si strinse nelle spalle. «Non è molto interessante». «Neanche che lavoravo in un pub è molto interessante, ma io te l’ho detto». «Okay, come vuoi. Mio padre lavorava a giornata come scaricatore. Cioè: quando era abbastanza sobrio per svegliarsi. Mia madre più che altro giocava a bingo e ogni tanto si prostituiva. Questo perché non era molto brava neanche in quello, a quanto pare. Hai mai sentito il termine w*********h? Quello eravamo noi. Mio fratello più grande ha iniziato a lavorare per i russi, e a me è sembrata una buona idea seguirlo». Beth inclinò la testa da un lato. «E tuo padre ti picchiava» disse. «È ovvio. Anche mia madre se è per questo. Si può dire che fosse una femminista, in un certo senso. Ma non mi hanno mai fatto davvero male, devo dire». «Troppo sbronzi?» tirò a indovinare Beth. «E poi erano già parecchio impegnati a darsele tra di loro. Ma è una storia già sentita, no?» «Un sacco di gente è cresciuta in famiglie come la tua». «E non tutti sono poi andati in giro a smerciare droga». «No, direi di no». Myers rimase in silenzio per qualche secondo. «Non volevo più essere povero» disse, alla fine.
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