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1843 Parole
Anna un desiderio segreto lo aveva: uno dei vestiti da sera dei Martini, quello color smeraldo di seta ricamata. Però non trovava mai il coraggio per chiederlo a Biagio. Non era neppure sicura che fosse giusto mostrare tanta vanità, visto che era facile immaginare che per una simile richiesta l’avrebbero a maggior ragione giudicata frivola. Bevve un sorso di karkadè e allontanò quella vanità. Presto sarebbe stata una madre, e come tale doveva comportarsi. Il vento caldo sollevò le tende. D’istinto la coppia guardò la luna piena che sfumava la notte d’argento. La voce impastata di un ubriaco che sproloquiava volgarità per la strada rovinò l’incanto. Biagio si mise a ridere. “Fino a ora il nostro momento romantico è stato un disastro, che ne dici di riprovarci?” E tornò a baciarla. La mattina seguente furono disturbati dalle voci dei domestici e dal rumore di mobili e oggetti pesanti spostati da sbrigativi facchini; ma a buttarli giù dal letto fu soprattutto la voce squillante dalla calata livornese di donna Margherita. La moglie di Rodolfo non aveva resistito a ficcare il naso nella nuova casa del nipote. Notò il disordine lasciato in una stanza, lo sguardo maligno si posò sul vassoio vuoto, le tazze sporche, i fiori sparsi sul pavimento, le candele a metà. “Si sono dati ai bagordi. Che orrore, sembra un bordello, e quei cuscini per terra poi…” Il suo passo si fece più pesante e invadente, sperava così di disturbare la coppia, ma intervenne Sofia. “Donna Margherita, cosa ci fate qui?” Margherita squadrò la governante con aria infastidita. Ne indagò l’abbigliamento e l’acconciatura, soffermandosi su ogni dettaglio come le donne sanno fare: i capelli della ragazza erano raccolti in una treccia bionda che le girava intorno al capo, indossava una camicetta bianca dalle maniche leggermente a sbuffo chiuse da alti polsini inamidati, e una lunga gonna grigia le avvolgeva i fianchi. Aveva meno di vent’anni e una vita sottile, due motivi più che sufficienti perché Margherita la detestasse. “Non capisco come si possa vivere in codesto tramenio. Se proprio non volevano rimanere nella Casa del melograno, avrebbero potuto scegliere un albergo di lusso, in attesa che si finisse questo palazzo, alquanto piccolo direi.” Mentre parlava spostava continuamente lo sguardo ingordo, gli occhi neri sembravano farsi più grandi per riempirsi di ogni immagine. Osservando sfilare comò orientali, cassapanche del Seicento e arazzi meravigliosi, l’invidia diede voce alle parole: “Una dimora piccola e arredata con gusto discutibile, ma questo è il mio parere,” concluse. “Donna Margherita, non vorrei mai contraddirvi, ma non l’avete ancora visitata e adesso l’impatto non dà giustizia a questo delizioso edificio.” Sofia le piazzò sotto il naso una tazza di tè fumante. “Gelsomino,” precisò. “Il salone è ampio e illuminato, come pure lo studio del signor Biagio. Ci sono tre camere da letto, tutto arredato con mobili del Settecento e artigianato dall’Oriente, e dovete assolutamente vedere anche le due sale da bagno con la vasca in ceramica e le rifiniture in ottone. Poi c’è la cucina, riempie un piano intero e ha tutte le diavolerie moderne, è deliziosa, sì, deliziosa.” Parlava con un entusiasmo inarrestabile. “Basta dire deliziosa, non è una torta, è una casa.” “Avete ragione, ma che vi devo dire, sarà la fame. Non ho ancora fatto colazione, e ora che mi ci fate pensare, una fetta di torta mi ci andrebbe.” Si portò la mano alla bocca per nascondere una risata. Margherita fu infastidita da tanta sfrontatezza. “Non sto mica scherzando, voi la gradite una bella fetta?” Furono interrotte da Biagio che scendeva le scale ancora assonnato. L’uomo non fu affatto stupito di vedere la zia in azione già di prima mattina. “Se cercate la camera da letto, è al piano di sopra, ma vi sarei grato se non disturbaste Anna,” disse baciandole la mano. Poi finì di infilarsi la camicia beige nei pantaloni, si arrotolò le maniche lasciando scoperti gli avambracci muscolosi. I riccioli bruni gli scendevano sulle spalle, se li sistemò appena. Margherita nel vederlo così négligé e con ai piedi dei vecchi stivali, intuì che era diretto alle tenute in campagna. “Cosa fate da queste parti?” le chiese lui in modo sbrigativo senza guardarla, nella speranza che la donna capisse la sua fretta. “Sono passata per un saluto prima di andare all’incontro delle dame di carità all’ospedale Santa Annunziata. Ci tengo a dare il contributo della nostra famiglia,” disse con aria angelica, in un tono di voce che non le apparteneva. “Naturalmente,” si lasciò sfuggire Biagio, certo che la zia non praticasse l’ironia. “Forse Anna mi vuole accompagnare, due passi le farebbero bene.” “Vi ringrazio, ma ha un terribile mal di capo ed è meglio farla riposare. La sua gravidanza è delicata, deve stare attenta.” “Come vuoi, caro. Ma sappi che per qualsiasi cosa…” “Certo, siete sempre così amabile,” fece lui distrattamente prima di affacciarsi alla finestra per assicurarsi che Alfredo gli avesse preparato il cavallo. “Un’ultima cosa, caro nipote…” “Non sono stato io a scrivere l’articolo degli infortuni e dello sfruttamento dei nostri operai, anche se avrei tanto voluto,” la interruppe bruscamente lui. Tanto sapeva che era quella la vera ragione della visita della zia. “Ma potevi impedire che il tuo amico giornalista lo scrivesse,” replicò infatti la donna. “Siamo pur sempre i Martini, come puoi permettere che venga infangato il nostro nome?” Il giovane diventò rosso in volto per lo sforzo di mantenere un atteggiamento composto nonostante la collera. “L’amico giornalista è un professore universitario, non gli si mette il bavaglio. Ora perdonatemi zia, ma ho fretta, vado al vigneto. Devo vedere delle persone, penso di comprare un terreno e, a sentir loro, sembra che quello che ho scelto dia vino e olio di qualità. Ma se mi hanno detto la verità non lo so, quindi ci vado con un esperto di agraria. Sto pensando di buttarmi nel commercio del vino e dell’olio.” Dopo pochi giorni, Biagio portò a termine l’acquisto di alcuni vigneti a Greve in Chianti andando così ad aumentare il numero dei poderi di Arrigo Martini. La sua quota societaria nella Tessuti Martini era la più bassa. Biagio non aspettava che il momento giusto per lasciare il suo posto nella ditta di famiglia per dedicarsi finalmente alla neonata azienda agricola. Arrigo era venuto a conoscenza del cambio di rotta del figlio solo quando il contratto si era quasi concluso, ovvero quando mancava l’ultima firma del garante. Biagio era certo che il padre non si sarebbe tirato indietro. Anche quando si era laureato in lettere, pochi mesi prima, nella prestigiosa università di Pisa, Arrigo lo aveva saputo all’ultimo momento. Suo figlio era così: riservato, un po’ diffidente e caparbio, e gli somigliava. Un grande avvenimento avrebbe portato ancora una volta Firenze alle cronache: le nozze della figlia di Ferdinando iii, Maria Teresa, con Carlo Alberto di Savoia. I Martini erano parte dell’élite fiorentina a cui sarebbe stato consentito di assistere alla somma cerimonia nella chiesa di Santa Maria del Fiore. Per quanto non fossero nobili, rappresentavano una delle famiglie più ricche di Firenze, che tanto aveva fatto per l’economia della città grazie al prestigio dei suoi prodotti. Giunsero davanti al duomo con una pomposa carrozza in cui sedevano Rodolfo Martini con la moglie, il figlio e la futura nuora. L’uomo si mostrava calmo e pacato, ma nel gesto ossessivo di lisciarsi i baffi e passarsi le mani nei capelli c’era tutto il suo nervosismo. Al matrimonio dell’arciduchessa con il Savoia erano presenti la corte del granducato, il corpo diplomatico, tutte le magistrature, e soprattutto il popolo. Tra gli invitati c’era anche il principe Metternich. Tutti sapevano che a ogni angolo erano stati disposti militari scelti per la sicurezza della città, l’austriaco non era proprio il più desiderato degli ospiti. Lo sposo lo detestava, lo trattò con freddo distacco, e il povero granduca vide traballare la brillantezza della sua diplomazia; tuttavia, la felicità di avere dato in sposa la figlia a una delle più potenti e antiche famiglie d’Europa superava ogni altra questione. Biagio non si sarebbe unito alla famiglia al ricevimento: doveva affiancare il primo cronista del Gazzettino di Firenze. Da quando aveva scritto un testo dedicato al tormentato romantico Vittorio Alfieri, la penna era sempre con lui per soddisfare la sua passione per la scrittura. La letteratura e la filosofia lo facevano sentire umano, arrivavano in aiuto quando la vita non era abbastanza, ma rimanevano una fuggente chimera, e si doveva fare bastare il giornalismo. Chi scriveva per la testata toscana, però, pensava che il giovane Martini, di appena diciannove anni, si trovasse lì solo grazie all’influenza del padre. Qualcuno vociferava anche che le parole che faceva pubblicare, così ben strutturate e pungenti, non fossero tutta farina del suo sacco. Biagio era abituato alle reazioni degli invidiosi, e avrebbe continuato a scrivere alla sua maniera fino a quando non lo avessero cacciato. Non aveva mai nascosto i suoi dubbi nei confronti dei Lorena, che con la loro neutralità tenevano a dovuta distanza la rivoluzione che dilagava in Italia e in Europa. La pacifica Firenze non prendeva una posizione ferma nella politica italiana, e si poteva dire che non uscisse dalla sua toscanità. Il giovane voleva però credere che presto tutto sarebbe cambiato, e avvertì uno spiraglio di speranza alimentato anche dall’emozione per la nascita di suo figlio, il suo erede. Era rimasto dubbioso fino alla fine, avrebbe preferito rimanere vicino a Anna, che era prossima al parto, ma c’era ancora tempo e non poteva rinunciare al primo vero incarico da giornalista. Tra gli spintoni della folla, il Martini ogni tanto si fermava per cercare un posto riparato e scrivere qualche appunto per la bozza del suo articolo. Sicuramente il merito lo avrebbe preso il primo cronista, che adesso si godeva i festeggiamenti, ma lui ci teneva comunque a scrivere un bel pezzo sulle nozze blasonate. Aveva già buttato giù qualche riga quando vide Sofia dall’altra parte della strada. La ragazza sembrava cercare qualcuno, lo sguardo era smarrito, quasi disperato, camminava con passo svelto e movimenti rigidi. Come lo vide, parve riprendere a respirare. “Eccovi, finalmente vi ho trovato,” disse, e lo afferrò per un polso. “Vostra moglie sta per partorire.” Tutto scomparve, il frastuono si fece silenzio, le persone intorno divennero tante maschere. “Avete chiamato l’ostetrica? E il medico? Chi c’è con lei? Non l’avete mica lasciata sola?” Biagio urlò per farsi sentire sovrastando il rumore delle altre voci. Sofia lo tranquillizzò: Anna non era sola. Era stata chiamata la levatrice che aveva seguito tutti i parti di famiglia. Il medico no, non si riusciva a rintracciarlo. Alle ore venti del trenta settembre 1817, nasceva Fulvio Martini. Doveva essere un bambino tenace e coraggioso se era riuscito a sopravvivere a un parto così difficile. Alle ore ventuno dello stesso giorno, moriva di parto Anna Conti.
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