Capitolo 2-2

847 Parole
Nash Più tardi quella sera, entro nel ring. La folla esulta, ma io non sento altro che grida. Quanti ne ho uccisi da soldato? Sono qui, volti di fantasma ora sconvolti, feroci, pronti a trascinarmi nella tomba. La vista diventa rossa come il sangue. Poi nera. E poi mi ritrovo dentro al ring e Parker segnala l’inizio dell’incontro. L’orso bruno si gira, e il suo profilo mi ricorda una delle guardie della Data-X. Uno stronzo sadico a cui piaceva calare le brache ai mutanti di stazza più piccola e scoparseli di gusto. Bei bocconcini, diceva. Rosso. Nero. L’orso cade, il volto ridotto a una maschera di sangue. I buttafuori entrano, lo trascinano fuori. Un altro lottatore prende il suo posto. Giovane. Impudente. Come eravamo io e altri prigionieri quando abbiamo accettato volontariamente di sottoporci ai test, pensando di collaborare a un grandioso esperimento. Per la creazione di una razza padrona. “Troveremo il meglio per te, Nash,” diceva il dottor Smyth. “Ti aiuterò a controllare il tuo leone. A impedirgli di uccidere ancora. E poi sarai il riproduttore per la razza selezionata.” Rosso. Nero. Un altro lottatore nel ring. Due questa volta. Mi saltano addosso insieme e piovono pugni. Il dolore mi scorre addosso. Sono di nuovo legato alla sedia, i fianchi lividi. La bocca secca, il corpo fumante. “Non sei ancora abbastanza forte?” chiede la guardia, alzando il manganello elettrico. Ringhio e due volti stupiti si appannano davanti a me. Allungo le mani attraverso la foschia rossa, li afferro entrambi per il collo e li faccio sbattere uno contro l’altro con la testa. Due al prezzo di uno. La folla grida. Sento un fischio nella testa. Declan è davanti a me e mi offre dell’acqua. “Quanti combattimenti mi mancano?” “Ancora uno.” Sembra preoccupato. “Ma non è necessario. Possiamo…” “No.” Mi alzo in piedi, mentre un lottatore dall’aspetto malvagio entra nel ring. Il mio leone non verrà privato della sua preda. “Dobbiamo smettere,” dice Declan a Parker, che annuisce. “Non l’ho mai visto così.” Parker si volta e solleva il megafono. “Per stasera è tutto, gente…” La folla fischia. Vogliono il sangue. Glielo concederò. Mi alzo in piedi e mi trascino al centro del ring, le grida della folla come onde sulla mia carne livida. “Nash. Nash,” cantano. “Re delle bestie.” Il mio avversario si volta con un sorriso malvagio. Gli sorrido a mia volta e sguinzaglio il leone. Rosso. Nero. Nero. Nero. “Nash, fermo, fermo!” Una testa grigia lampeggia davanti ai miei occhi. Parker, che grida, selvaggio, la bocca spalancata. “Hai vinto. È a terra. Fermati, prima di ammazzarlo.” L’aria è pesante e pregna dell’odore del sangue. Il mio leone approva. “Hai vinto,” ripete Parker. Cerco di fare un passo e barcollo sotto al peso di numerosi buttafuori. Il panico sale e mi dimeno per levarmeli di dosso. Non serve a niente. Le guardie della prigione hanno i manganelli elettrici. “Lasciatelo andare,” grida Parker, e gli uomini mi lasciano, facendo un salto indietro. Ma io corro, gli artigli sguainati. Sono cieco, il sangue mi cola negli occhi. Raggiungo la rete. Non è elettrica. Qualcuno ha staccato la corrente. È la mia occasione. “Nash…” Declan è dall’altra parte della recinzione. Alzo le mani – gli artigli neri e lunghi – e tiro fendenti contro il metallo. Le mie unghie affilate strappano la rete e io ululo, ma non smetto fino a che non c’è un buco abbastanza grande per farci passare attraverso un leone. E allora corro. Il mio leone è uscito, la gente sta gridando, scappando per mettersi al riparo da me. Il rosso mi attanaglia gli occhi, il nero in agguato ai margini, minaccioso. Un ultimo rapido scatto e sono fuori. Cado a quattro zampe e lascio che l’oscurità mi consumi. * * * * Mi sveglio nudo dentro la mia auto, la bocca piena di sangue. Tossisco per il sapore acre e quasi macchio il pezzo di carta stropicciata appoggiato sul cruscotto. L’indirizzo di Denali. Il leone l’ha trovato e l’ha messo lì. “Va bene. Va bene.” Ogni centimetro del mio corpo grida. Le mani sono gonfie, insanguinate. Nel corso degli ultimi mesi la proprietà di guarigione da mutante è diventata più lenta, e questo non può che significare una cosa: sto morendo. È solo questione di tempo. È solo questione di quanti ne porterò con me. Non posso mettere a rischio Denali. Ma la prossima volta che andrò in black-out, il mio leone potrebbe portarmi alla sua porta. E non posso prevedere quello che farà. Ha messo le carte chiare in tavola: se lo lascerò morire, porterà con sé tutti quelli che potrà. Non ho altra scelta. Devo andare da Denali adesso, mentre ho il controllo. Trovo degli abiti di ricambio nel bagagliaio e mi vesto. Inserisco la marcia e guido, non sapendo con precisione se sono un uomo morente diretto alla forca, o a una cura.
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