Wynta
Era ancora seduta alla sua scrivania a lavorare quando improvvisamente sentì chiamare il suo nome con quello che le sembrò un tono impaziente e infastidito. Guardò l'orologio del computer portatile. Erano le cinque meno venti. Poi guardò chi stava reclamando la sua attenzione. Non erano in molti in ufficio a farlo.
I suoi occhi si posarono sull'uomo alto dai capelli scuri che stava entrando a grandi passi nel suo ufficio, guardandola con aria molto seccata. Sentì il suo odore di lupo e un attimo dopo lo riconobbe: era Jared Hayes, il figlio maggiore di Edward. Proprio l'uomo che le aveva detto che non sarebbe passato a prenderla. “Alzati, faremo tardi,” le disse con tono deciso.
Stava per appoggiarsi allo schienale della sedia e chiedergli cosa ci facesse lì, quando lui la tirò su dalla sedia e le porse una borsa con un vestito. Lei aggrottò la fronte quando si rese conto che era proprio la sua borsa, con il logo dello stilista, lui non poteva sapere cosa avrebbe indossato.
Aprì la bocca per chiedergli cosa stesse succedendo, ma lui le spiegò: “Dobbiamo sbrigarci o finiremo nei guai con papà,” le disse, e poi la spinse fuori dal suo ufficio guardandosi intorno, quindi le disse di andare a cambiarsi.
Entrò nel bagno delle donne e rimase a guardarsi allo specchio. Non era riuscita a dire quasi nulla. Un Alfa prepotente ed esigente, pensò scuotendo la testa. Voleva davvero farlo? Andare con lui dopo quel messaggio? Si chiese se lui fosse arrivato al branco ed Edward avesse visto che lei non era con lui, si fosse infuriato e lo avesse mandato a riprenderla. Sbuffò al solo pensiero.
Tuttavia era infelice che Jared avesse chiaramente fatto irruzione nel suo appartamento, preso il suo vestito e glielo avesse portato. C'erano anche le sue scarpe, ma non la sua pochette da sera né l'invito del branco. Sospirò e rimase lì in piedi, lui poteva benissimo aspettare che lei si sistemasse i capelli; lei aveva aspettato lui.
Rimase lì a guardarsi i capelli. Aveva passato del tempo a dividerli perfettamente al centro e poi a torcere una ciocca all'indietro per fare un bel nodo in alto sulla nuca e infine ad arricciare il resto per lasciarli sciolti sulla schiena.
Anche se era molto semplice, pensava che fosse carino allo stesso tempo. A parte intrecciare i capelli o raccoglierli in una coda di cavallo, non era tipo da fare acconciature elaborate per andare in ufficio, solo qualcosa di ordinato e facile, che non le desse fastidio.
Uscì dal bagno e Jared la squadrò e annuì. Sembrava soddisfatto del suo aspetto, poi le mise una mano sul braccio e si allontanò a grandi passi attraverso l'ufficio, costringendola a seguirlo. Vide tutto il suo team guardarla mentre veniva praticamente trascinata da quell'uomo.
Affondò i talloni e lo fermò: “Le dispiace? Non mi piace essere maltrattata,” gli rispose seccata e sentì il suo team sbuffare. Tutti conoscevano il suo carattere con gli uomini, poi si immersero nel loro lavoro quando Jared li guardò e li vide ridere.
Lui la guardò accigliato e poi la lasciò andare. “Stai al passo,” le disse, e lei fu costretta a seguirlo a grandi passi. “Devo prendere la mia giacca.”
“La mia auto è nel parcheggio sotterraneo. Non ti servirà,” affermò senza fermarsi.
Lei fece un respiro profondo e vide Tallah tendere la mano per prendere la busta con il vestito. “Grazie,” disse, e gliela porse.
“La lascerò nel tuo ufficio.”
Entrò nell'ascensore con lui, che la guardò con impazienza mentre le teneva aperte le porte. Non era bassa, era alta un metro e ottanta e indossava tacchi da due centimetri e mezzo, quindi era alta più di un metro e ottanta, ma comunque faceva fatica a stargli dietro.
Le porte dell'ufficio si chiusero e lui sbottò: “Perché hai lasciato il tuo appartamento? Il fatto che io sia venuto qui è stata solo una perdita di tempo. Ho dovuto rintracciarti, considerati fortunata che io sia entrato nel tuo appartamento e abbia preso il tuo vestito, altrimenti mi avresti fatto perdere ancora più tempo.”
Lei lo fissò, era stupido? Era stato lui a dirle che non sarebbe passato a prenderla e che non avrebbe sentito la sua mancanza. Si limitò a voltarsi e a guardare davanti a sé, scuotendo leggermente la testa. Wynta non aveva intenzione di litigare con lui. Per quanto la riguardava, non aveva senso.
“Ero in ritardo, lo capisco... ma costringermi a cercarti, come un ladro. È irrispettoso. Avresti dovuto semplicemente sederti e aspettare, come ti era stato detto,” le disse, con quel tono da “sono io che comando, sono io l'Alfa qui, non tu”. Lei strinse le labbra e si rifiutò ancora una volta di rispondergli.
“Rispondimi, cavolo,” sbottò lui mentre l'ascensore si apriva sul parcheggio.
Lei uscì e disse: “Se non si ha niente di carino da dire, è meglio non dire niente.” Avrebbe voluto dargli dell'arrogante, ma si trattenne. Avrebbe anche voluto mostrargli quel messaggio, sbatterglielo in faccia e dirgli: “Perché diavolo avrei dovuto, visto che non sei venuto a prendermi?”
Ma lei non lo fece. Gli Alfa erano tutti uguali, facevano quello che volevano per ottenere ciò che desideravano. Wynta salì in macchina come lui le aveva detto, allacciò la cintura di sicurezza, poi rimase seduta in silenzio a guardare le strade che scorrevano. Non aveva bisogno di parlare con lui e sapeva come stare seduta in silenzio e rendersi invisibile. Lo aveva sempre fatto nel suo branco d'origine mentre cresceva.
Lui rimase in silenzio per molto tempo, poi sbuffò dal sedile del conducente: “Mi scuso per il ritardo nel venirti a prendere. Il mio volo era in ritardo e le strade erano allagate. Ho dovuto fare diverse deviazioni.”
Lei quasi scosse la testa: perché si era preso la briga di spiegarle la sua situazione? Non lo sapeva. Lui era l'Alfa, non era tenuto a farlo, per lui lei era solo una ribelle di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. Continuò a guardare fuori dal finestrino e mezz'ora dopo la pioggia era diminuita, passando da un acquazzone violento a una pioggia normale.
Poi smise di piovere quando uscirono dall'autostrada e imboccarono una strada che portava sulle montagne. “Finalmente,” mormorò lui. Ma lei guardò il cielo e pensò che non fosse finita, solo una pausa nel maltempo.
“Non parli molto, vero?” mormorò lui.
“Io, una solitaria, non vorrei mancare di rispetto a lei, Sangue Alfa,” mormorò, usando il termine solitaria per riferirsi a se stessa e non avrebbe mai chiamato lui Alfa. Sentiva il suo sguardo su di lei mentre pronunciava quelle parole, ma lo ignorò e continuò a guardare fuori dal finestrino.
Il suo telefono squillò e lui rispose, con suo grande fastidio: quanti annunci c'erano sulla guida e l'uso del telefono? Lo mise in vivavoce e lo lasciò cadere sulla console tra i loro due sedili.
“Cosa c'è, Lotti?” chiese, sembrando infastidito e impaziente con lei quanto lo era con Wynta.
“Quanto sei lontano dal branco? Sono rimasta bloccata nella tempesta e ora la mia auto è uscita di strada. Mi dispiace tanto, Jared, ma se non sei ancora arrivato, potresti venire a prendermi?”
Wynta lo guardò mentre accostava l'auto su quella che poteva solo immaginare fosse la strada del branco. “Sono a un chilometro e mezzo dal cancello,” sospirò e Wynta lo vide aggrottare le sopracciglia, sporgersi in avanti e guardare il cielo.
“Jared, non voglio davvero arrivare in ritardo ed essere punita. Per favore, potresti venire a prendermi... So che anche tu potresti arrivare in ritardo... ma...” La sua voce si affievolì.
“Dove sei esattamente?” mormorò Jared.
“Non sono molto lontana, sono vicino all'ingresso posteriore del branco, c'era acqua sulla strada, a causa dell'aquaplaning sono rimasta bloccata in un fosso... è stato piuttosto spaventoso,” aggiunse Lotti.
Jared guardò l'orologio, poi il cielo e Wynta stessa, e sbuffò: “Comincia a camminare da questa parte. Lascia lì quella maledetta macchina, Lotti. Puoi andare a prenderla domani. Non avresti dovuto lasciare il branco oggi, conosci le conseguenze.”
“Dovevo... dovevo andare a prendere il regalo per Raelynn. Era pronto solo oggi,” mormorò lei con tono di scusa.
“Non mi interessa,” disse Jared e chiuse la telefonata. Poi si rivolse a Wynta: “Ci vogliono circa 10 o 15 minuti a piedi lungo quel sentiero. Mostra il tuo invito alla guardia al cancello e ti farà entrare.”
“Mi prende in giro?” domandò fissandolo; fuori faceva un freddo cane e lui non le aveva dato il tempo di prendere la giacca, dicendole che non le sarebbe servita.
“No, se sarai nel branco entro le sei, eviterai la punizione. Sto cercando di aiutarti a evitarla,” disse mentre si sporgeva dall'altra parte dell'auto, tirava la maniglia della portiera del passeggero e la apriva con una mano, mentre con l'altra le slacciava la cintura di sicurezza.
Lei si morse le labbra, arrabbiata, mentre lui le ordinava di scendere dalla sua auto. Il suo invito era nella pochette, che probabilmente era ancora sul letto nel suo appartamento. I suoi occhi erano fissi su di lui, e lei era più che arrabbiata mentre lo fissava. Lui non se ne rese conto.
“Fuori,” disse, “o saremo tutti puniti.”
“Che gentiluomo del cazzo,” disse lei con tono aspro e scese dall'auto. Lui la fissò, più che scioccato dalle sue parole volgari e lei lo guardò aprire e chiudere la bocca, mentre lui non riuscire a trovare le parole. Lei gli sbatté la portiera in faccia e lui la fissò per un attimo prima di voltarsi, mettere la retromarcia e allontanarsi da lei.
Il vento le scompigliava i capelli sul viso e lei si strinse le braccia al petto mentre lo guardava allontanarsi e lasciarla lì. Se fosse stato un gentiluomo, le avrebbe permesso di rimanere in macchina e l'avrebbe accompagnata fino al cancello, chiedendo a qualcuno di venirla a prendere. Era solo un chilometro e mezzo, come aveva detto a Lotti. Oppure lei avrebbe potuto semplicemente rimanere in macchina mentre lui andava a prendere Lotti.
Ma no, per lui era solo una ribelle, quindi non le aveva dato scelta, l'aveva semplicemente fatta scendere dall'auto e le aveva detto di camminare per un chilometro e mezzo su per quella collina, con i tacchi sul sentiero bagnato, senza una giacca per proteggersi dal freddo. “Bell'Alfa che sarai,” mormorò lei.
“Spero che Lance abbia presto un cucciolo e raggiunga i 100 anni prima che tu trovi la tua compagna,” mormorò mentre guardava la sua auto allontanarsi e scomparire dietro la curva. Sospirò tra sé e sé mentre si guardava intorno, già con la pelle d'oca.