5 - ADELAIDE

922 Parole
"Ehi Heidi!" Esclamò una voce. Sbuffai, pochi scalini e sarei stata al primo piano, sul pianerottolo che mi avrebbe condotto alla mia camera lontana da chiunque. E invece no! Non avevo fatto in tempo. Quella era la voce di Gabriel Keller, il migliore amico di mio fratello London. Mi voltai lentamente, un sorriso falso sulle labbra e... il mio cuore perse un battito. Perché diamine più passavano gli anni, più Keller era bello? Quella pelle candida, gli occhi grigi e profondi ed ora anche un fisico ben modellato. Non era come quegli attori che avevano tanto di tartaruga addominale, ma accipicchia, era superbo. "No-chiamarmi- Heidi!" Lo minacciai puntandogli il dito. Lui fece spallucce e sorrise. "Effettivamente dall'ultima volta che ti ho vista sei cresciuta. Dove hai messo la ciccia che avevi? Eri più Heidi con dieci centimetri d'altezza in meno." Sollevai gli occhi al cielo. "Sono passati due anni dall'ultima volta che ci siamo visti, o almeno da che tu hai incrociato il mio cammino." Asserii convinta, io al contrario lo avevo sempre visto nascosta nella mia camera negli ultimi otto anni, oppure mentre facevo da tappezzeria ai vari eventi cui le nostre famiglie partecipavano. "Effettivamente! Però adesso che ti vedo meglio sei sempre la stessa." Mi disse solcando le scale due alla volta per raggiungermi. Mi prese il mento con due dita e mi sorrise. "Il fuoco nei tuoi occhi c'è sempre, giurami di non perderlo mai questo." Mi sentii arrossire. Per il tocco delle sue mani o per la frase che aveva appena detto? Non seppi dirlo, era palese il fatto che mi tremavano le gambe, mi batteva forte il cuore e la pelle pizzicava, lì dove lui mi aveva toccata. "C-cercherò!" Balbettai... balbettai?? Io non ho mai balbettato. Era questo l'effetto che facevano i ragazzi? Diamine no! Tutti i ragazzi che mi avevano toccata e avevo baciato fino a quel momento non mi avevano mai fatto tremare o peggio... balbettare! Quindi non era quello il motivo, bensì il fatto che lui fosse Gabriel Keller. "Brava la mia Heidi." Mi disse lui allontanandosi. "Dimmi un po', London è qui?" Mi chiese Scossi la testa. "È andato a portare Dallas e Alaska alla festa di un amico di Dal. Sai sedici anni, i ragazzini danno tanta importanza a questo evento." Lui rise divertito. "I ragazzini? Parli come una vecchia." "Io a sedici anni non ero così eccitata." Risposi sarcastica. "Tu a sedici anni scappasti dalla tua festa di presentazione alla società. Dio ancora mi ricordo tua madre e tuo padre che ti cercavano ovunque." Ricordò lui divertito. Feci una smorfia. Questo perché se tutti festeggiavano i sedici anni con gioia, a casa mia invece a quell'età ci fu il mio ingresso in società. Io lo avevo odiato ancora prima, quando avevo seguito quello di mia sorella Brooklyn in pratica. Mettersi in ghingheri e cominciare a usare il bon ton lo avevo subito odiato. Non era stata d'aiuto la dieta cui mia madre mi aveva sottoposta per farmi presentare all'ingresso in società. Oppure quel vestito fatto di merletti e pizzi, non era proprio il mio genere, come i tacchi e il trucco. Io non mi ero mai truccata ed anche adesso a diciotto anni non lo facevo, non mi piaceva. Così senza pensarci troppo, alla mia festa, dopo la tanta sospirata presentazione, con il mio ingresso nella sala da ballo, scappai defilandomi proprio. Fino a quando non mi avevano trovata, anzi fino a quando Gabriel non mi aveva consegnata ai miei genitori. Era stato lui a trovarmi, era venuto a cercarmi fin nella cucina, dove nascosta nella dispensa stavo buttando giù un barattolo di burro d'arachidi. "Lo sapevo che ti avrei trovata qui." Aveva detto. Che ne sapeva poi lui! Mi era stato precluso mangiare schifezze in quell'ultimo anno, mi era stata preclusa la cucina e tutta la mia bella vita. E lui sapeva che mi avrebbe trovata lì. "Si certo, come no!" Gli avevo risposto. "È un luogo che non frequenti molto, l'unico dove non ti cercherebbero." Aveva risposto. "Me lo hanno vietato." Avevo detto dispregiativa. "Non è così che immaginavi i tuoi sedici anni." "Anche tu hai avuto questa festa?" Avevo detto, anche se non era tale l'ingresso in società. Lui aveva riso. "No! Mi è stato risparmiato, ho fatto baldoria con tuo fratello e gli altri miei amici. Mi dispiace Heidi che tu non possa divertirti come noi." Col broncio sulle labbra avevo scosso la testa. "Dovevo nascere maschio. Lo sapevo io!" Lui ancora aveva riso per poi tirarmi i capelli ricci tenuti ordinati in un'acconciatura elaborata. "Assolutamente no, dopo non avrei più la mia Heidi." Aveva detto guardandomi, poi sospirando aveva aperto la porta e mi aveva detto di uscire. "Andiamo, ti aspettano tutti." Lo avevo guardato con sfida seguendolo. "Ovvio! Devo tornare..." "È meglio così, fidati!" Mi aveva detto. In fondo cosa ne sapeva lui? Sia allora che adesso! Era un uomo e aveva ormai ventiquattro anni, anzi no, era di sei mesi più grande di London, presto avrebbe compiuto venticinque anni. Non aveva alcun pensiero o obbligo lui, poteva fare tutto ciò che voleva. "Comunque i miei e Brooklyn sono giù in sala degli ospiti, puoi aspettare lì London." Dissi indicandogli il piano terra. Lui mi guardò ancora per un po' in silenzio, con quel suo sorriso beffardo. "Ci vediamo domani sera alla cena dei Jenkins." Sospirai scuotendo la testa. "Wow una cena in famiglia.... proprio famiglia, a domani." Lo salutai mettendo il piede sul pianerottolo e avviandomi poi verso la destra, diretta alla mia camera.
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