Capitolo 1
Capitolo 1
Tripp
Mio fratello si sposa.
Si sposa.
Un uomo adulto che si fa chiamare Buzz.
Sul serio, che cazzo.
Oh, e sentite questa: si è fidanzato con la sua ragazza solo tre settimane dopo averla conosciuta.
Tre.
Sì, non scherzo.
Non posso evitare il sapore amaro che mi sale in gola; non si è nemmeno degnato di darmi la notizia di persona, mi ha inviato un sms. O per meglio dire, me l’ha inviato mia madre dopo che Buzz e la sua fidanzata l’hanno detto a lei e papà, di persona, durante una cena a cui non sono stato invitato.
Roastbeef con patate e torta di noci pecan.
Amo il roastbeef, e non ne ho avuto neanche un po’.
Le dita stringono il volante del mio pick-up mentre parcheggio in garage; Chewy, il mio fedele bulldog, salta sulle zampe posteriori al mio arrivo, il muso grassoccio premuto contro la zanzariera della lavanderia.
Chewy.
È l’unico amico di cui mi posso fidare.
Non come quel traditore di mio fratello, il coglione fidanzato.
Tiro il freno a mano, afferro una busta dal sedile del passeggero e apro la portiera del guidatore. Salto giù e mi tiro i jeans; li sento stretti dopo aver indossato pantaloncini in spandex a compressione per le ultime cinque ore. Avrei dovuto mettere una tuta, non il denim.
Chewy continua a saltellare; sono scioccato che il piccolo bastardo non abbia fatto un buco nella zanzariera: di sicuro l’avrà ammaccata in quaranta punti.
«Amico, calmati» gli dico, e lui lo fa.
Non sono sicuro di chi detenga più potere nel nostro rapporto, se io o il cane. Forse Chewy, visto che apro la porta per Sua Maestà così che possa pavoneggiarsi in giardino e fare i suoi bisogni. Poi gli riapro la porta per permettergli di rientrare in casa; tra poco gli darò da mangiare e lo accarezzerò: lo schiavo sono chiaramente io.
Getto la busta stretta nel pugno sul bancone della cucina; sono già le diciotto passate e devo presentarmi all’addio al celibato di mio fratello per le venti, ho quasi due ore per mangiare, lavarmi e radermi, prima di portare il culo fuori dalla porta.
Lancio a Chewy uno sguardo dispiaciuto. «Scusa amico, devo uscire di nuovo. Zio Buzz dà una festa, ma passerà Molly per giocare con te.»
Molly è la vicina adolescente, che pago quindici dollari all’ora per stare con il mio cane. Pulisce la sua cacca e gli dà da mangiare quando sono in ritardo o nei weekend in cui sono in trasferta.
Anch’io sono un atleta come mio fratello Buzz, che gioca a baseball da professionista quando non fa lo stronzo professionista.
Io gioco a football.
E questa è la stagione del football, quindi sono via spesso; il povero Chewy passa così tanto tempo con Molly che dovrei fargli cambiare casa e basta. Sono come il papà che non si vede mai tranne quando è in ferie. Gli allenamenti estivi e primaverili richiedono meno impegno di quelli autunnali e invernali.
«Già,» informo il cane «c’è l’addio al celibato di zio Buzz stasera, riesci a crederci?»
Chewy mi guarda, con la bava che gli cola dalla mascella.
«Vuoi sapere cos’è peggio di un addio al celibato di sabato sera, quando me ne potrei stare sul divano? Un addio al celibato a tema.» Fisso a occhi stretti la busta sul bancone e apro il frigo. La signora delle pulizie — in realtà, anche cuoca — mi ha lasciato degli involtini di pollo e un contorno di insalata di patate; non c’è niente che debba preparare.
Afferro e vado.
Riscaldo e mangio.
Il pollo va nel microonde, l’insalata di patate direttamente in bocca.
«Senti questa.» Ingoio. «Andiamo a fare tiro con l’ascia e vuole che tutti si vestano in maniera consona alla serata.» Ecco cosa c’è nella busta: una camicia di flanella a quadri che mi sono fatto comprare da nostra madre. Chi ha il tempo di cercare quella roba? Non io.
Sì, avrei potuto ordinarla online, ma nessuno sa cosa mi piace meglio della mia stessa madre.
Ci sbircio dentro. La camicia è proprio in stile boscaiolo – ah ah, divertente mamma – a quadretti rossi e neri. Più un paio di pantaloni cargo.
Gemo. Perché Buzz deve sempre farci sembrare dei completi imbecilli in pubblico? Come se il tiro con l’ascia non fosse già abbastanza ridicolo. Non l’ho mai fatto, ma quanto può essere difficile? Senza dubbio sarò bravissimo, ma preferirei comunque rimanere sul divano con il cane, stasera.
Tiro fuori il pollo dal microonde — è caldo e fumante con ripieno ai mirtilli (il mio preferito) — e mi infilo subito un pezzo in bocca.
Mi scotto il palato. «Diamine!»
Cazzo, sono così affamato.
L’assaporo a malapena mentre lo trangugio, intenzionato a finirlo in fretta prima di salire a fare una bella doccia bollente. Quando sono finalmente di sopra, in bagno, studio il mio riflesso allo specchio.
Mi rado, o lascio perdere?
Se non lo faccio, sembrerò ancora più stupido e boscaiolo con quella stupida camicia a quadri, ma è una tale rottura prendere il rasoio e fare il necessario, non sono proprio dell’umore di sforzarmi.
Scrivo a mia madre.
Io: Davvero devo mettere questi vestiti? Sembrerò un idiota.
Mamma: Sì. Non si tratta di te.
Io: Si tratta di me se devo essere io a indossarli.
Mamma: È la grande serata di tuo fratello, fa’ gioco di squadra.
Io: non è il matrimonio, mamma. Potremmo evitare di chiamarla la sua “grande serata”? Non ruota sempre tutto intorno a lui.
Mamma: Tripp Francis Wallace, non lo ripeterò di nuovo. Se sento che non hai fatto la tua parte, sarò delusissima da te. Tuo fratello ha finalmente incontrato qualcuno di decente e tu non rovinerai il suo addio al celibato.
Io: Probabilmente lo farà qualcun altro.
Non posso far a meno di aggiungere quella piccola stoccata; siamo onesti: Buzz ha invitato un mucchio di dannati idioti che di sicuro si ubriacheranno, e ci scapperà qualche atto di vandalismo.
Mamma: Tripp, metti quella fottuta merda e basta.
Caspita. Si sta arrabbiando: mamma non impreca quasi mai, e l’ha appena fatto, due volte.
Mamma: La camicia. Metti quella camicia e basta. Non è chiedere troppo. È solo per una sera.
Vorrei farle presente che non si tratta solo di una sera; è una di tre: addio al celibato, cena di prova, matrimonio e ricevimento. Ma non si può ragionare con Genevieve Wallace: sembra aver trovato il suo scopo nella vita da quando ha saputo che suo figlio minore si sarebbe sposato. Niente riesce a spegnere la sua scintilla. Chiunque la intralci sarà distrutto, e sarò il primo a provare la sua ira se non indosserò questo cazzo di stupido completo.
Buzz, Buzz, Buzz, gira sempre tutto intorno a Buzz.
Io: Va bene. Ma non mi raderò.
Mamma: Oh, sarai ancora più in tema, che bello! Scrivimi e dimmi come va. Voglio tutti i dettagli!
Ehm, no, non succederà. Non mi metterò a spettegolare con mia madre su di uno stupido addio al celibato. Sarò anche uno sfigato, ma non così tanto.
Mamma: Sei un bravo fratello, Tripp. Siamo orgogliosissimi di te.
Nessuno ti fa venire i sensi di colpa come mia madre.
«Orgogliosi di me perché vado a lanciare asce» borbotto mentre mi infilo sotto la doccia. L’acqua fuoriesce da sette soffioni: uno dal soffitto, tre davanti a me, tre dietro. È eccessivo, lo so, ma rilassante, e, dopo un’intera giornata all’aperto, a combattere con gli elementi durante allenamenti o partite, so che è valsa la pena di installare tubature addizionali.
O meglio, di farlo fare a Buzz.
Ho comprato questa casa da lui dopo che l’aveva ristrutturata, e la doccia è stata la cosa che più mi ha convinto.
È un figlio di puttana intelligente, glielo concedo, e la sua fidanzata è davvero grandiosa, ma questo non significa che io abbia voglia di portare il mio culo all’Axe to Grind, il bar da dove inizierà la festa.
Uff. Un’intera notte di bevute e cazzeggi in giro per bar.
Il mio peggiore incubo.
Quasi tutti gli invitati dal lato dello sposo sono atleti professionisti, giocatori di baseball della sua squadra, i Chicago Steam. Ci saranno loro all’addio al celibato, oltre a me. Non è una gran cosa, non ne sono impressionato.
Ma gli altri clienti dei vari bar lo saranno. Per tutta la sera saremo bersagliati da tifosi, fan, cacciatrici di giocatori e arrampicatrici sociali che ci interromperanno per un autografo, una foto e delle chiacchiere forzate.
Dovrò essere educato, quando preferirei essere me stesso.
Fare la doccia almeno mi distrae da com’è andata la mia giornata. Un lungo allenamento allo stadio, seguito da un bagno di ghiaccio e un massaggio dal fisioterapista della squadra. Il corpo è dolorante. La testa mi fa male.
L’uccello è flaccido.
Attraverso le porte di vetro della doccia, Chewy mi guarda annoiato: senza dubbio aspetta che finisca di lavarmi per poter giocare insieme, con la sua palla preferita coperta di bava.
Una fitta di senso di colpa mi si forma nello stomaco, e chiudo l’acqua. Afferro l’asciugamano, mi asciugo e infilo un paio di pantaloni della tuta per giocare con il cane. Lo stancherò un po’ prima che arrivi la dog sitter.
Odio lasciarlo solo.
Quando è ora di vestirsi, strappo le etichette dai terribili pantaloni cargo; completi di tasche laterali e in tessuto pesante, sono davvero adatti a un montanaro.
Mi stanno alla perfezione, però.
Indosso la camicia arrotolando le maniche fino ai gomiti, e mi sta bene pure quella. Lascio due bottoni aperti per non soffocare, ma magari un inizio di soffocamento potrebbe essere la soluzione per tirarmi fuori da questa serata infernale.
Mi guardo di nuovo allo specchio e faccio una smorfia. Diamine, avrei dovuto radermi. Sono ridicolo. Sembro un vero boscaiolo del cazzo.
Ucciderò mio fratello.
Di chi è stata questa stupida idea?
Ho la mia risposta non appena metto piede all’Axe to Grind e individuo mio fratello e il suo gruppo di amici. Sono facili da beccare: grossi, rumorosi e... nessuno di loro indossa camicie a quadri.
Pesto i piedi fin lì, gli occhi puntati su Buzz.
È di spalle, ma lo riconoscerei ovunque; alto e con le spalle larghe, è la mia esatta copia, il gemello irlandese che non ho mai voluto, nato solo un anno dopo di me.
È fresco di rasatura, lui, senza dubbio in vista delle nozze imminenti.
Comunque...
Non sta indossando flanella a quadretti come ha detto avrebbero fatto tutti, e mi sento davvero un coglione.
Gli do un colpetto sulla spalla e lui si volta, mostrando allegria su quella faccia che vorrei tanto prendere a pugni.
«Perché indossate camicie normali? Dov’è la stupida uniforme che dovevamo mettere tutti?» Come un idiota, indico la camicia di flanella rossa e nera che ho messo di malavoglia e i pantaloni da lavoro, per finire con gli scarponi: solo quelli andavano bene con questo completo; in pratica, mi mancano solo le bretelle. «Perché sono l’unico vestito così?»
Mio fratello, lo sposo felice, alza le braccia come se fossi il giocatore più importante che arriva alla partita e grida a voce alta, riempiendo lo spazio in cui sono sistemate le gabbie per il tiro con l’ascia di rimbombi cavernosi. Trucioli e bucce di arachidi imbrattano il pavimento. Dappertutto, le persone bevono birra e ridono, vestite in modo normale, non da coglioni.
Potrei ucciderlo.
«Ehi, ragazzi» urla. «Guardate chi è arrivato! Adesso sì che la festa può iniziare!»
Non voglio che la festa inizi, voglio tornare a casa. Voglio cambiarmi e andare via. Ci devono essere dei vestiti da palestra, da qualche parte, sul retro del mio pick-up.
Mi avvicino, il cipiglio sempre più accentuato sulla fronte. «Che cazzo, amico? Perché nessuno di voi indossa...?» Punto di nuovo il dito sulla camicia. «Sul serio. Non si fa così.»
«Ho cambiato idea.» Buzz beve un sorso da una bottiglia di birra, evitando furbo il mio sguardo torvo. «Ho dimenticato di aggiungerti alla chat di gruppo? Strano.» Si studia le unghie, poi l’etichetta sulla bottiglia ambrata.
Dimenticato di aggiungermi alla chat di gruppo un corno, che pezzo di merda bugiardo! «Ti odio così tanto in questo momento.»
«Oh, questo mi ricorda che ho un regalo per te.» La mano libera scompare per allungarsi dietro la schiena e tirar fuori un piccolo animale di peluche. Un bufalo? Un cavallo?
Una mucca?
No. È un toro, di colore blu.
Babe il Toro Blu, il compagno di avventure di Paul Bunyan nei vecchi racconti folkloristici.
Buzz mi spinge Babe fra le braccia. «Signore e signori, posso avere la vostra attenzione per favore? Avvicinatevi: è arrivato Paul Bunyan! È single ed è pronto a deliziarvi con le sue doti di taglialegna e lanciatore d’ascia.»
Sconvolto, lascio cadere il pupazzo sul pavimento; Buzz si piega e lo riprende. Mi rimette a forza Babe in mano e mi rimane vicino per controllare che non rilanci quello stupido affare per terra.
Mi stringe la spalla con la mano. «Rilassati, fratello. I boscaioli sono tornati di moda.» Mi colpisce sulla schiena. «Harding, porta una birra a quest’uomo rude da impazzire!»
Lo detesto così tanto.
«L’hai fatto di proposito.» È un’accusa, non una domanda, e lo stronzo non ha nemmeno la decenza di negarlo.
«Be’, il piano iniziale era di indossare le camicie a quadri, perché... siamo al tiro con l’ascia, no? Ma visto che dopo ci spostiamo altrove, non aveva senso alla fine.» Tira fuori il telefono dalla tasca, ci clicca su un paio di volte, e me lo punta addosso. «Di’ Giovannino Semedimela!»
Parte il flash, quasi mi acceca, cazzo, e mi copro gli occhi. «Piantala!»
«Calmati, la mamma voleva delle foto.» Esamina la foto, poi fa una strana risatina. «Ah ah, guarda, Martinez si è infilato dietro.»
Buzz mi mostra lo schermo del telefono che riproduce la mia normale faccia da stronzo, l’espressione arrabbiata.
«Mamma e Hollis ameranno questa foto.» Digita qualcosa. «L’ho inviata anche a te.»
Il mio «Grazie» è ironico, pieno di sarcasmo, e mi lascia un sapore amaro in bocca. Prendo la birra che mi viene passata e ne scolo metà in due sorsi, perché ho bisogno dell’alcol per superare questa serata. Me la rigiro tra le mani e bevo ancora.
«Possiamo sbrigarci?» chiedo, tenendo ancora Babe il Toro Blu in una mano. Lo uso per asciugare la schiuma della birra dalla bocca, poi infilo la sua coda in una tasca dei miei pantaloni cargo.
Dondola al mio fianco, blu e senza vita, un nuovo giocattolo a cui Chewy strapperà le budella appena sarò tornato a casa.
Io e i ragazzi ci riuniamo davanti alle tre gabbie per il tiro dell’ascia che Buzz ha prenotato, dietro di noi tavoli alti su cui sono stati sistemati bevande e snack. Il posto è pieno zeppo di persone; è rumoroso e affollato e tutti sembrano divertirsi un mondo.
Mi acciglio.
Qualcuno mi passa un’ascia e mi spinge verso la riga rossa a terra, circondata da una catena per tenere le asce che rimbalzano lontane dalle persone, suppongo.
Fisso il bersaglio sul muro, dipinto su un pezzo di compensato. È enorme, quasi un metro di diametro, forse di più, con tre possibili zone per fare punto. Cerchio blu, cerchio bianco, centro rosso.
Quanto può essere difficile?
Sono un duro, cazzo, e sono vestito come un maledetto boscaiolo, porca miseria.
Fisso il centro rosso mentre quell’idiota di mio fratello e i suoi amici iniziano a urlare in coro il mio nome.
«Paul Bunyan! Paul Bunyan!» Ancora e ancora, e che importa se non è il mio vero nome? So che stanno tifando per me.
Sollevo la birra con la mano sinistra e finisco di scolarmi la bottiglia, poi asciugo la bocca con la manica della camicia. Strizzo l’occhio sinistro e sollevo la mano destra per prendere la mira.
Lancio l’ascia contro il punto rosso e quella rimbalza sulla tavola di compensato.
«Cazzo!»
Diamine, dev’essere stato un caso. Sono bravissimo in tutto, incluse le freccette. Questa in pratica è la stessa cosa.
Dietro di me, Buzz ride. «Vuoi qualche consiglio, fratello?»
«Vaffanculo.» Abbasso lo sguardo su Babe il Toro Blu, che ancora dondola, meschino, dalla mia tasca. «Sei il peggior portafortuna di sempre.»
Mi viene passata un’altra ascia.
Di nuovo, mi concentro sul bersaglio, stavolta senza strizzare gli occhi.
Lancio l’ascia dritta verso il centro rosso della tavola.
Rimbalza anche questa.
«Cazzo, stronza di merda!» grido, con due delle mie asce tristemente a terra.
«Non mi ero reso conto che dicessi tante parolacce.»
«Puoi andartene?»
Mio fratello solleva il telefono. «Non ci penso proprio. Questa è la mia festa, faccio quel che voglio.» Lancia un’occhiata a Babe. «Perdente.»
«Piantala di riprendermi.»
«Devo inviarlo a mamma, quindi tieni le oscenità al minimo.»
Fottiti, mimo, consapevole che è probabile mi stia filmando e intenda inviare il video a nostra madre, la quale di sicuro non approverà i miei modi. O i suoi, del resto, visto che si altera molto quando litighiamo.
«Hai solo altre due possibilità, amico.» Mio fratello non la smette di parlare. «Saresti dovuto arrivare qui prima, così potevi riscaldarti.» Sposta una gamba e inizia a fare piegamenti, braccia dietro la testa, dita intrecciate dietro la nuca.
«Non mi serve riscaldarmi. Colpirò quel bersaglio.»
Lui sghignazza. «Anche se ci riuscissi, non otterresti abbastanza punti per classificarti, sei terribile. Persino quelle donne laggiù stanno facendo qualche punto. La tua ascia non si attacca nemmeno alla...»
«Ti prego, sta’ zitto e basta.»
«... tavola.»
Sospiro abbastanza forte da essere sentito a tre nazioni di distanza.
«Ci metterai tutto il giorno? Tocca a Jensen dopo.»
Oh mio Dio.
Mi volto a guardarlo male.
Fa il gesto di scacciarmi via, per farmi voltare verso la tavola. «Concentrati.»
Chi riesce a concentrarsi con lui sul collo, in attesa che io fallisca?
Tiro indietro il braccio, piego il gomito, e poi rilascio il manico di legno lanciandolo con tutte le mie forze.
«C’è un trucchetto per farlo» mi dice Buzz quando l’accetta colpisce di nuovo il pavimento. «Avresti dovuto guardare dei video su YouTube prima di venire. Non puoi solo mirare e lanciare.»
«Puoi stare zitto?»
«Secondo me è inutile darti un’altra possibilità, visto che finora hai fatto zero punti. Sei fuori dalla squadra, va’ a sederti in panchina.»
Sento il viso arrossire dall’imbarazzo. «Non puoi mettermi in panchina. Non è mica una partita.»
«Questa è la mia serata speciale» mi informa. «E stai facendo guadagnare al cognome Wallace una brutta reputazione.»
Apro la bocca per litigare. «Tu quanti punti hai fatto?»
Alza il mento. «Tre. Ma non ho perso neanche un’ascia, almeno le mie si sono attaccate tutte e non sono finite per terra.»
Mi si imbronciano pure le natiche, lo giuro. «Bene.»
Pesto i piedi fino al tavolo dov’è riunito il resto degli invitati, che bevono birra e ridono; molti di loro sembrano giganti fra gli altri uomini che riempiono la stanza: siamo circa una ventina, quasi tutti atleti professionisti.
Mi sembra di essere alla festa di una confraternita, non tra uomini adulti, e non capisco perché non riesco a divertirmi. Oh. Un attimo, giusto: sono vestito come un maledetto boscaiolo da romanzo e ho un pupazzo appeso alla mia cazzo di tasca!
Non so se è per il mio sguardo torvo causato dal pessimo umore, ma nessuno mi parla. Questi tipi sono per lo più giocatori di baseball. Ma ci sono anche un ragazzo che riconosco dal college, uno che ricordo dal liceo, uno o due allenatori, qualche cugino, un paio di zii e l’agente di mio fratello.
Sento un colpetto sulla spalla; sembra la punta di un’unghia finta e, quando mi giro, scopro che lo è. Giallo neon accesso, appartenente a una bionda abbronzata.
«Sei l’altro fratello Wallace, vero?» Bene. Niente giri di parole, questa ragazza arriva dritto al punto.
«Sì.»
«Ce ne sono altri, o siete solo voi due?»
«Solo noi due.»
Lei sorride.
Poi la donna sussulta, notando il mio completo da boscaiolo. «Oh mio Dio, stavi facendo il tiro con l’ascia? Questo completo è bello da morire! Carinissimo. Adoro che tu abbia seguito il tema.» Continua a tubare, ma sembra che coli disperazione.
Uh, non sopporto le cacciatrici di atleti.
A un altro tavolo, uno dei testimoni di Buzz urla da sopra la musica mentre le stesse unghie giallo evidenziatore mi accarezzano il gomito esposto. Rabbrividisco, e non dal piacere.
«Non volevo seguire il tema» ribatto, infastidito.
«Allora perché sembri in tutto e per tutto un montanaro?»
Diamine! «Perché mio fratello è uno...»
Serro la bocca. Non ha senso discutere con una tizia mezza brilla, con la pelle impiastricciata di trucco, decisa a flirtare. Potrei indossare una busta della spazzatura e lei ci proverebbe comunque. Sa che sono Tripp Wallace, sa che sono un giocatore di football, sa che sono pieno di soldi.
«Non parli molto.» La ragazza ci riprova quando non abbocco alla sua stupidata sui montanari. «Sei uno di quelli “forti e silenziosi”?»
Grugnisco, sperando che afferri il concetto e se ne torni dalle sue amiche. Sono un bel gruppetto di ragazze intente a osservarci, le teste piegate tra loro come fanno i giocatori nel prepartita, prima di scendere in campo.
Non voglio sapere cosa si stiano dicendo: di qualsiasi cosa si tratti, riguarda me e questa tipa, e non può essere niente di buono.
Dopo diversi momenti di silenzio imbarazzante e di me che la ignoro, finalmente si arrende e mi lascia solo, tornando dalle sue amichette.
Grazie a Dio.
«Amico, unisciti a noi per un’ultima partita, poi ce ne andiamo» mi grida Noah Harding, per farsi sentire sopra la musica alta e il suono delle asce che colpiscono bersagli o cadono a terra. Gente che ride. Parla. Urla. Canta. Così tanta felicità che mi sta per esplodere la dannata testa.
L’ultima cosa che voglio fare è unirmi a mio fratello e ai suoi amici per un altro umiliante round di tiro con l’ascia, ma, se significa, spero, che potrò mollare questo posto più in fretta, allora Noah non deve ripetermelo due volte.
Bevo un sorso della mia seconda birra e di malavoglia mi dirigo alle gabbie, con Babe il Toro Blu ancora appeso al mio fianco.