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– Allora ci sei anche tu! – esclamò Lidia alla volta dell’amica che con un bicchiere in mano, si faceva largo con decisione tra un gruppo di uomini in smoking. Notò che si era data troppo fondotinta, forse per coprire le macchie rosse che di solito le chiazzavano il viso; per il resto era come sempre, rigida e ossuta, col naso molto aquilino, e gli occhi piccoli a grano di riso in continuo movimento che le davano un aspetto leggermente famelico e di poca salute.
– Hai cenato? Non ti ho vista per niente, a che tavolo eri? – Susanna sfiorò con le labbra la guancia che la donna le porgeva. Era lusingata dal fatto che Lidia l’avesse cercata.
– A un tavolo qualsiasi, da poveretta – rispose con voce strascicata, – sotto un albero, lontano dalla piscina e lontano dalle persone che contano, non come te certamente... – sulle sue labbra sottili si stese un sorriso insinuante e mieloso.
Non c’è nessuna ragione perché lei sia qui stasera, pensò Lidia, se non la compiacenza della padrona di casa, eppure è qui e si lamenta. Come al solito Susanna si commiserava, sembrava lo facesse apposta, a ricordare alle amiche quanto la sua posizione fosse inferiore e modesta in confronto alla loro; sembrava trarne una soddisfazione amara, per lei inspiegabile. Se ricordava bene, lo faceva già ai tempi del liceo, quando si era imposta a lei e a Marcella inventandosi un’amicizia e un trasporto che loro avevano subito solo per pigrizia, ma che erano lontane dal ricambiare. Susanna finì di bere e posò il bicchiere su un tavolo di servizio.
Il parco che stavano percorrendo era davvero superbo, ampio e ben disegnato, distese di prati all’inglese di un verde compatto si alternavano a palme nane e giganti e a ulivi ai piedi dei quali fiori di campo, piselli odorosi e petunie, misti tra loro, sembravano cresciuti spontaneamente tanto era incantevole la loro freschezza. Le luci, che segnalavano i camminamenti, erano schermate e discrete. Faceva eccezione il lago di luce azzurra che le due amiche potevano vedere in lontananza: la piscina.
Mentre camminavano, Susanna osservava attentamente Lidia. Tra le amiche era la più elegante ed era quella che le piaceva meno, troppo sofisticata, e con lei prendeva spesso un’aria di superiorità e di distacco che le riusciva faticoso ignorare. Ora le si muoveva accanto con movenze sciolte da indossatrice che le erano proprie; come sempre portava bene ciò che indossava e si faceva notare. Era alta e altera, ma non strepitosa come in altre serate. Si chiese perché le facesse quell’effetto, e a un tratto, mentre Lidia si guardava intorno con sguardi inquieti portando, per ben due volte, la mano ingioiellata al collo nudo, ne capì la ragione.
Il collo nudo: Lidia non aveva messo la collana di diamanti. Ecco cosa mancava. Strano perché l’occasione era importante...
Stava per chiederle spiegazioni, quando la voce inconfondibile di Marcella la distrasse.
– Lidia, Susanna, aspettate.
Aveva per sua natura un tono leggermente autoritario.
Si fermarono e lei le raggiunse a passo deciso accompagnata dal rumore dei tacchi sulla pietra del selciato.
– Sono scappata – annunciò, – anche dopo cena continuavano ad arrivare ospiti, ero stanca di fare la padrona di casa e di saluti. Fatti vedere – disse rivolta a Lidia, – sei uno schianto. Forse te l’ho già detto, ma questo tuo vestito da sera è il mio preferito – alludeva al fatto che non era la prima volta che l’amica l’indossava e lei se ne ricordava benissimo.
– Il mio è un vecchio Chanel – si intromise Susanna, – avrà un secolo, non vado mai da nessuna parte, così i miei pochi straccetti invecchiano negli armadi.
Lidia lanciò un’occhiata eloquente alle troppe passamanerie color turchese dell’abito di Susanna. Era chiaro che si trattava di uno Chanel rivisitato da una sartina. Si era messa anche degli orecchini troppo grandi per le sue brutte orecchie cartilaginose. Marcella, invece, era in rosso e Lidia non aveva bisogno di chiedere, sapeva riconoscere un abito di Valentino; ma doveva ammettere che lo portava bene: alta, magra e un po’ mascolina faceva una gran figura.
Chissà quanto lo avrà pagato, calcolava Susanna che aveva provato a chiederlo a Marcella senza ottenere una risposta soddisfacente. Se non lo dice è perché le è costato una fortuna. Una volta aveva accompagnato l’amica nel suo spogliatoio. Ricordava file e file di armadi colmi di abiti, tutti modelli di sartoria, da non sapere cosa scegliere. Pensare che lei era stata sul punto di rinunciare alla serata per non presentarsi con il solito vestito.
Si stavano avvicinando ai cespugli di bosso che facevano da sfondo a un banco di bevande servite da tre camerieri. Intorno chiacchierando tra di loro c’era un gruppo di signori, chi in smoking, chi in abito scuro.
– Guarda, c’è tuo marito – disse Susanna rivolta a Marcella.
Marcella lo vide, non si poteva non notarlo ed ebbe quel piccolo spasimo alla bocca dello stomaco che le capitava, suo malgrado, ancor ora, dopo tre anni di matrimonio, quando se lo trovava improvvisamente davanti. I suoi occhi si illuminarono, le labbra si stesero in un sorriso inconsapevole.
In mezzo agli altri pareva un Apollo sceso in terra tra i mortali. Aveva una luce sua, un’aura che lo isolava e lo metteva in risalto come un Nureyev in scena accarezzato dai riflettori. A un passo da lui Marcella inspirò aria e lo chiamò.
– Sveto.
– Marcella – disse lui nel voltarsi, e i suoi occhi in quel momento erano blu, perché mutavano colore e quando era contrariato divenivano cupi, limacciosi, a volte con lampi di acciaio che mettevano paura a incrociarli.
Avvertì una sensazione di vuoto. Quando la guardava in quel modo, la sua sicurezza si trasformava in uno sbuffo di fumo e questo la innervosiva. Non avrebbe dovuto essere tanto indulgente con Sveto... a cena, di fronte agli ospiti si era comportato malissimo. Si annoiava e non aveva tentato in nessun modo di nasconderlo.
Tra le belle dita, Sveto reggeva un calice colmo, il polso si intravedeva abbronzato sul bianco immacolato dei polsini della camicia.
– Vuoi bere?
Le porse la coppa senza lasciarla e lei chinò la testa e bevve un sorso come si dissetasse dalla sua mano.
– Oh là là – fece Susanna. – Perché certe donne hanno tutte le fortune! Ti prego Sveto fai bere anche me.
– Certo – ordinò un bicchiere al cameriere e lo porse a Susanna.
– Cary Grant non avrebbe potuto far meglio – disse lei.
Lidia leggermente discosta dalla compagnia guardava altrove e sembrava distratta, ma a osservarla con più attenzione si sarebbe notato che l’espressione del suo viso si era fatta dura.
Tra il gruppo degli uomini se ne staccò uno, le si avvicinò e presero a parlare.
– Ti unisci a noi?– chiese Marcella a suo marito.
– Vi raggiungo tra poco.
Lidia disse che si sarebbe trattenuta ancora un momento e continuò a chiacchierare, ma appena le amiche si furono allontanate prese congedo dal suo interlocutore e si avvicinò a Sveto.
– Vuoi bere anche tu dalla mia coppa? – chiese lui con un sorriso ironico.
– Voglio le mie lettere – rispose, e nella sua intenzione la voce avrebbe dovuto gelarlo, ma si spezzò a mezza frase.
Sveto la prese per i polsi attirandola a sé. Nel farlo un ciuffo di capelli si scompose cadendogli sulla fronte. Con uno scatto brusco della testa lo fece tornare al suo posto. Lei lo guardava. Quanto aveva amato quel suo gesto abituale, irruento e impaziente come il suo carattere. Da bambina in campagna aveva avuto un cavallo che quando si imbizzarriva scuoteva la criniera.
C’era qualcosa di non domato che l’attirava, in quei capelli che solo dopo l’amore si facevano arrendevoli e disposti alla carezza.
– È passato un anno e pensi ancora a queste cose – disse Sveto.
I loro corpi si sfiorarono e Lidia si rese conto con rabbia di provare, nonostante tutto, attrazione per quell’uomo.
– Lasciami – disse a voce bassa, cercando di svincolarsi, ma lui la teneva saldamente. – È un anno che te le chiedo.
– Sei l’unica donna che conosco che scrive ancora delle lettere – sorrideva con quel sorriso insolente. – Non ce l’ho le tue lettere, le ho strappate.
– Le ho strappate – ripeté Sveto improvvisamente aggressivo. – Cosa credevi che le tenessi sotto il cuscino le tue famose lettere? – La pressione sui polsi si era fatta dolorosa. – Ora mi hai proprio stufato, è un anno che mi tormenti, vuoi la verità? Eccola: alla fine non aprivo neanche più le buste. L’anno scorso mi hai mollato e ora cosa vuoi da me? – Aveva alzato la voce e Lidia si accorse che tra il gruppo degli uomini qualche testa si era voltata.
– Bastardo! – sibilò, – questa te la faccio pagare – si volse di scatto e liberandosi si allontanò cercando di non correre. Il mento le tremava, ma non poteva permettersi di piangere.
Frattanto Marcella e Susanna si avvicinavano alla piscina guidate dalle luci e dalla musica dell’orchestrina che già arrivava a onde attutite. Da qualche parte i rospi nell’aria tepida e limpida della sera, facevano sentire il loro verso breve e ripetuto senza sosta. Marcella ripensava al gesto di Sveto, che aveva tanto colpito le sue amiche. Così intimo, commovente. Certamente sino all’anno prima, a lei che non era di animo tenero, avrebbe fatto lo stesso effetto; ma ora... Era lei a essere cambiata, doveva ammetterlo, il lato razionale, così forte nel suo carattere, a poco a poco, aveva preso il sopravvento.
Le era sorto il dubbio, che certe attenzioni che suo marito le riservava, avvenissero quasi esclusivamente in presenza di terzi. Le erano sì dedicate, ma il bersaglio forse, era doppio. Volevano stupire il suo pubblico. La presenza degli altri determinava i suoi gesti e Marcella era sicura che pochi tra i loro amici conoscessero il vero carattere di Sveto.
In lui si alternavano di frequente stati di entusiasmo e di ardore con altri di apatia e smorta indifferenza, il suo interesse non durava molto e si trasformava presto in disgusto. Nell’intimità, a riposo, lui si spegneva, si annoiava, diventava triste e di conseguenza facilmente irritabile, allora guai a contrariarlo: tutto ciò che era suo, era suo e doveva essere perfetto.
Aveva un modo negligente e libero di vivere nel lusso.
Non indossava mai una camicia più di due o tre volte, poi le regalava ai camerieri, lo stesso per la biancheria. Le sedute dal sarto erano settimanali, le scarpe poi una vera mania. All’inizio questo la divertiva, le piaceva viziarlo. Lei pagava e lui era in tutto magnifico. Ma ultimamente, sempre più spesso, lo trovava freddo nei suoi riguardi e poco spontaneo quando decideva di essere gentile. A volte poi, certi suoi sbalzi di umore, certi accessi di nevrastenia la spaventavano. Quando Sveto perdeva la testa, bisognava tenere ben salda la propria e a certi esercizi di pazienza lei era poco portata. E pensare che lo aveva voluto contro il parere di tutti. Sua madre che allora era perfettamente lucida aveva persino minacciato di diseredarla. Non devo lasciarmi prendere da fantasie così negative, sono io che cavillo, si rimproverò avanzando nel suo vestito rosso.
L’orchestrina, sei elementi in tutto, aveva preso posto nel semicerchio formato dalle siepi compatte di pitosforo. Suonavano un lento e sulla pista di marmo chiaro c’erano coppie che ballavano. Gruppi di altre persone attraversavano i prati, si incontravano, si scioglievano, sparivano nel buio. Cameriere in divisa andavano su e giù con i loro carichi di bevande colorate, dolciumi, gelati. Svuotavano i portacenere, portavano via dai tavoli piatti e bicchieri usati; silenziose come ancelle mute.
Lidia raggiunse le amiche mentre Maria Teresa, il sindaco e sua moglie si univano a loro.
– Belle signore – si inchinò l’uomo vestito di grigio. Era alto e massiccio e sprigionava giovialità.
– Vogliono già lasciarci – spiegò Maria Teresa.
– La serata è stata ed è incantevole, ma domani mattina devo essere ben lucido, mi aspettano delle grane.
– Non sposate mai un sindaco – sospirò la donna al suo braccio.
– Mi chiedo – disse Maria Teresa, – com’è possibile fare opposizione a un sindaco come il nostro.
– Maria Teresa – rise Marcella, – stasera ha aperto le ostilità, è già in piena campagna elettorale.
– Sì, ma non ho trovato che consensi, i tuoi ospiti sono tutti partigiani.
– Felice notte – si inchinò ancora il sindaco.
– Resta, cara – disse Maria Teresa sottovoce a Marcella.
Ma già una nuova coppia, ben diversa, si vedeva avanzare in lontananza a passo lento.
Lui era di statura media, indossava uno smoking e nella penombra si notava un bel viso dagli occhi espressivi. Lei era alta e slanciata, capelli neri, grandi occhi truccati.