Prologo
Prologo
REX GUNDERSON
Manager della squadra dell’Università dell’Iowa
Rhett Rabideaux è un brutto figlio di puttana.
Robusto come una latrina di mattoni, lo vedo accovacciato sul tappetino da allenamento, la posa inamovibile, mentre Zeke Daniels lo afferra in una presa.
Rabideaux è uno dei pochi nella squadra che possa battere Daniels nel suo sport.
Mi porto il fischietto alle labbra e mi preparo a soffiare per mettere fine al loro scontro di allenamento, che si è trasformato in una gara a chi ce l’ha più lungo.
Da ultimo arrivato, trasferito dalla Louisiana, Rabideaux sta ancora dando prova di sé, nonostante il suo impressionante primato. Quasi imbattibile, le sue statistiche sono degne del due volte campione della NCAA che è, e sono il motivo per cui è stato reclutato e portato via dalla sua università.
I coach dell’Iowa lo volevano. Gli hanno fatto la corte.
Lo hanno fatto firmare.
Non so che promesse abbia fatto il coach al ragazzo – tutor, più soldi per la borsa di studio, la sua faccia sui cartelloni della scuola – ma sono state abbastanza attraenti da allontanarlo dalla sicurezza di una borsa di studio per un’altra, e portarlo nella tana da leone del suo rivale.
E a casa mia.
Rhett Rabideaux è il mio nuovo coinquilino.
Si erge in tutto il suo metro e novanta quando stringe la mano a Daniels con un colpo rapido. Si allontanano l’uno dall’altro, voltandosi la schiena, senza un vincitore, e senza che tra loro corra buon sangue.
Afferro qualche asciugamano, porgendone uno al nuovo arrivato.
Me lo sfila di scatto dalle mani, passandoselo sulla faccia sudata. Giù lungo il naso leggermente storto, che è stato rotto una volta di troppo. Sull’occhio sinistro pesto. Sul sopracciglio su cui porta i punti per un taglio che si è fatto quando gli hanno premuto troppo forte la faccia sul tappetino durante l’allenamento della scorsa settimana.
Questo tipo è un disastro.
Un gigantesco disastro sudato
Ciò nonostante… «Pivello, esci con noi stasera?»
Si ferma, bloccando le zampe da mammut. «Dove andate?»
Faccio spallucce. «Non so, usciamo. Per bar. Ha importanza?» Non è che lui conosca nessuno dei bar dei dintorni, cielo. Deve venire dove andiamo noi o starsene seduto sulle chiappe a casa da solo.
«Non so. Forse.»
«Un consiglio, Pivello: quando qualcuno ti tende la mano, prendila.»
Non implorerò il tipo di uscire con noi, ma occasionalmente è divertente averlo accanto, ed è bello avere sangue fresco in giro per casa.
Rhett rimugina sulle mie parole. «Chi viene?»
Un’altra scrollata di spalle. «Non lo so, un po’ di noi ragazzi.»
«Una festa del testosterone vuoi dire?»
«Vaffanculo.»
«Quindi è un sì?» Ride.
«Io, Pittwell, Johnson. Magari Daniels e Osborne.» Anche se, a essere onesti, quei due sono talmente al guinzaglio delle loro fidanzate che è improbabile. Stanotte se ne staranno a casa, accoccolati sul divano, a guardare film da donnette, con il braccio infilato fino al gomito nelle mutandine delle loro ragazze, o a farsi le coccole, o quel che cazzo fanno.
Mi tengo per me il fatto che probabilmente non usciranno con noi.
Fortunati bastardi, faranno sesso piuttosto.
«Allora, vieni o no? Non puoi startene rintanato in casa tutto il fine settimana, ti si avvizzirà l’uccello se non ti porti qualcuna a letto.»
Lui inarca un sopracciglio malandato. «Chi dice che miri a portarmi qualcuna a letto?»
Mirare a portarsi qualcuna a letto? Chi cazzo parla così?
Alzo una mano per impedire a qualche altra strana stronzata di uscire dalla sua boccaccia. «Farò finta che tu non l’abbia detto.»
«Come ti pare.» Si allontana, gettando l’asciugamano bianco intriso di sudore nel carrello della biancheria quando vi passa accanto e prendendone uno pulito dallo scaffale mentre si dirige agli spogliatoi.
Gli vado dietro.
Si ferma all’armadietto e si spoglia. Si abbassa i pantaloncini, si sfila la maglietta e si getta un’occhiata oltre la spalla. «Se vengo con voi stanotte mi lascerai in pace? Mi stai facendo diventare matto.»
Si avvolge l’asciugamano attorno ai fianchi.
«No, non ti lascerò in pace, sto cercando di spiegarti come vanno le cose, di insegnarti una cosa o due.»
«Tu?» Ride. «Starai scherzando. Che cazzo dovrei imparare da te?»
«Be’, per cominciare, sei troppo gentile. Alle ragazze piacciono gli stronzi. Con una faccia come quella, dovrai sforzarti di più perché vogliano il tuo uccello.»
Arriccia le labbra in modo tutt’altro che attraente. «Oddio, grazie.»
Lo seguo alle docce.
Zeke Daniels è sotto un getto d’acqua, il vapore gli sale attorno mentre si lava i capelli neri. Aggrotta la fronte quando mi vede e si volta verso la parete piastrellata, rivolgendoci la massiccia barriera della sua schiena.
Anche il suo tatuaggio, una fenice nascente circondata da luoghi geografici, mi guarda cupo.
«Daniels, di’ al pivello qui che alle ragazze piace uscire con gli stronzi.» Lui mi ignora ma la prendo sul ridere, scherza sempre, quel ragazzo. «Vuoi almeno dirgli che è troppo gentile con le donne?»
Silenzio.
«Sai come sono le ragazze, gli piace quando…»
Alla fine Zeke parla, grugnendo: «Gunderson, lascialo in pace, cazzo.»
Gesù, quant’è scontroso questo ragazzo. «Esci stasera, Daniels?»
Grugnisce di nuovo, strofinandosi le ascelle. «Probabilmente no.»
«Perché? Devi guardarti “L’A.S.S.O. nella manica”?»
Ha le braccia appena sollevate oltre la testa mentre si massaggia i capelli, e si volta per guardarmi di traverso a occhi socchiusi. «Gunderson, perché non ti fai i cazzo di affari tuoi?»
«Be’, lo guardi?»
«No, idiota. Guarderò quel che cazzo vorrò guardare.»
Sì, come no. È rimasto a casa tre fine settimana di fila, a guardare film a raffica con la sua ragazza e a giocare alla famiglia coi due ragazzini a cui fanno da babysitter.
Guarda oltre me verso Rhett e fa un risolino derisorio. «Fa’ un favore a te stesso, Rabideaux, non farti portare in giro da questo idiota. Sei troppo valido per metterti addosso la fama di essere la sua spalla.»
Chiude l’acqua e getta irritato un altro sguardo nella mia direzione. «Se non devi farti la doccia, Gunderson, tirati fuori dal suo culo e levati dalle palle.»