II

1601 Parole
II “Maresciallo, pure lei attaccò ora? Non bastò la tortura di stamattina? Si può sapere che minchia volete ancora?” esplose Cola. “Giovanotto, moderiamo i termini che qua non siamo all’osteria.” Erano le cinque di pomeriggio. A Bonanno fumavano come le maccalube di Aragona. Dopo aver concesso ai netturbini di tornare a casa per rifocillarsi, li aveva riconvocati in caserma. Per rendere l’invito tassativo, aveva inviato Steppani con l’auto di servizio. E il brigadiere, per non smentirsi, aveva attivato la sirena e s’era presentato davanti alle rispettive abitazioni dei tre, accompagnato da stridore di pneumatici e guaire di freni. Imbarcati gli operatori ecologici, Steppani era ripartito a razzo, manovrando alla sua maniera nelle strette vie di Villabosco. “Gli spazzini si pigliarono! Gli sbirri se li portarono!” Nei quartieri, la voce che avevano arrestato Cola, Ciccio e Tanino si sparse in un baleno. Che il suo sottoposto ne avesse combinato una delle sue, Bonanno lo sospettò dalla faccia sconvolta dei malcapitati. La conferma arrivò sette minuti dopo, quando dal centralino gli passarono la telefonata di Tonio, un suo amico/informatore. “Saverio, io sono, è vero che avete arrestato gli spazzini?” Linguacciuto com’era, Tonio voleva cavargli informazioni di prima mano da vendersi care al bar. Bonanno troncò secco e si dedicò ai tre malcapitati. “Allora, Cola Turco, Tanino Rizzo e Ciccio Vullo, vediamo di non perdere tempo e rispondete a tono.” “E che è, marescià, manco se l’avessimo ammazzato noialtri a quel disgraziato. A proposito, si seppe poi come trapassò?” “Qualcuno che gli voleva bene gli dette un colpo in testa e buonanotte.” “Minchia.” “Che mala morte in mezzo alla munnizza.” “E chi ce lo diceva che non avrebbe più visto levarsi il sole.” “Non perdiamoci in ciance. Quante volte andate a scaricare?” disse Bonanno. “Due volte al giorno, qualche volta pure tre, ma solo quando c’è il mercato.” “Di mattina o di pomeriggio?” “Quasi sempre di mattina.” “A che ora lo fate il primo viaggio?” “Tra le nove e le dieci, poi un altro verso l’una e quando c’è il mercato, uno pure di pomeriggio.” “La discarica è chiusa o la sorveglia qualcuno del Comune?” “Che ci mettiamo a sorvegliare la munnizza? E chi la deve rubare?” “Il maresciallo ci piglia in giro.” Bonanno si spazientì. “Sentite voi tre! A due passi dalla discarica ci stanno gli scavi archeologici e un incendio può fare più danno dei tombaroli. Nelle vicinanze ci stanno pure agri coltivati a frumento, fave e pomidori, perciò rispondete senza tanti giri di parole e vediamo di finirla.” “Non la controlla nessuno.” “Neppure di notte?” “E manco nei festivi e nei prefestivi, marescià.” “E io la faccio sequestrare.” “Mizzica, non scherzasse. E chi ce lo dice ora al sindaco...” “Non me ne fotte una pipa.” “E noi dove scarichiamo la munnizza?” “La cosa non mi riguarda.” L’ennesimo caffè trangugiato di botto fece a Bonanno l’effetto di un diuretico. E mentre scaricava, si sforzava di non pensare alla rogna piovutagli sul groppone proprio quando aveva programmato di concedersi una breve vacanza. Non era destino. E per affrontare Vanessa doveva trovare le giuste parole, ma conoscendola, sapeva già che sarebbe finita con un vivamaria. D’altronde, di lasciare il caso nelle mani del capitano non se ne parlava. Da quando era partito di testa, il capitano si vedeva in caserma come nei secoli l’araba fenice. Niente da fare. Bonanno lo sentiva a naso: sarebbe stata una rogna tutta sua. Mise da parte le questioni personali. Si sforzò di non vedere un essere umano in quel corpo offeso e buttato come una cosa vecchia in discarica. Una creatura che aveva smesso di respirare, camminare, vedere, toccare, amare. La vita e la morte nel suo mestiere andavano a braccetto. E quando la nera signora arrivava, violenta e inattesa, toccava a loro darsi da fare, integerrimi tutori dell’ordine e servitori di uno Stato lontano e distratto. Scendevano in campo pronti a tutto. Erano cacciatori di uomini. Anche in quello sputo di Sicilia, la giustizia reclamava dai suoi guardiani un tributo di verità, qualunque essa fosse. “Allora, Bonanno, che novità ci sono?” “Signor capitano, bentornato. In pensiero stavo, non credevo ce la facesse per oggi. Risolta la questione… al macchinario?” “Sì, era roba da poco, un problemino alla marmitta. Ma sa come sono i... meccanici, mi hanno trattenuto più del previsto.” “E già” annuì allusivo Bonanno che al posto del meccanico vide materializzarsi la focosa vedova che si avviluppava alle gambe dell’ufficiale per sistemargli marmitta e spinterogeno. Danno assai facevano le femmine di Sicilia. Il capitano se ne sarebbe accorto presto. “Fimmina chi t’abbrazza e strinci o t’ha tinciutu o cerca mi ti tinci.” I proverbi raramente fallavano. Bonanno lo sapeva per esperienza diretta. “Bene, mi dica, Bonanno: a che punto sono le indagini?” “Ci stiamo lavorando. La vittima fu rinvenuta stamani durante il primo viaggio in discarica. Erano le 10.10. Il giorno prima a Villabosco c’era stato il mercato settimanale e l’ultimo viaggio lo fecero alle 18, minuto più minuto meno. Poi la discarica resta incustodita. E stante la zona scognita, chiunque da quel momento poteva scaricare quello che gli pareva, pure morti ammazzati. Secondo me, però, l’assassino o gli assassini completarono il servizietto favoriti dal buio. Stamani gli spazzini al primo viaggio avvistarono il corpo e ci chiamarono.” “Tracce?” “Su quella trazzera? Vuole babbiare.” “Chi coordina l’inchiesta?” “Il dottore Panzavecchia.” “Ottimo magistrato.” “Il migliore.” “Dell’autopsia che notizie abbiamo?” “Nulla di più di quello che si presumeva. L’ammazzarono con qualcosa di pesante. Il primo colpo arrivò dietro la tempia e probabilmente lo stordì. Il secondo invece, gli aprì il cranio, gli spaccò l’osso occipitale ed il parietale, i frammenti si ficcarono nel cervello e provocarono un’emorragia. Nessun’altra ferita, a parte una vecchia cicatrice al petto. Il decesso avvenne almeno dodici ore prima del ritrovamento.” “Quali sono le sue deduzioni, maresciallo?” Bonanno squadrò l’ufficiale. Nella collottola di Basilio Colombo spiccavano violacei i baci infuocati della vedova. “Ancora è presto. In ogni caso... escluderei il suicidio” concluse provocatore. Gli faceva specie che il capitano si sollazzasse con la bella vedova lasciando a lui le incombenze di una Compagnia di frontiera dove le rogne non mancavano. “Mi trovo perfettamente d’accordo” rispose il capitano, passandosi la mano sul collo. Minchia, la faccenda era più grave di quanto Bonanno supponesse. La vedova gli stava mandando in brodo di cardi pure la materia grigia. Non era il caso di tirarla per le lunghe e parlò serio. “Penso che lo fecero fuori in un altro posto. Poi, di notte e notte, se ne sbarazzarono. Rimane da capire il movente. Forse una rapina, ma allora perché rischiare di farsi scoprire portando il cadavere sino alla discarica? Seconda ipotesi: un regolamento di conti. Sul corpo però, escluse le graffiature, non sono stati riscontrati lividi, e i graffi potrebbero essere stati provocati dai randagi che rovistano in discarica. Terza ipotesi: un avvertimento mandato a qualcuno che pestò i piedi nel giro degli appalti per lo smaltimento dei rifiuti. Qua si fanno affari d’oro pure con lo sterco di cane. Comunque, capitano, appena lo identificheremo ne sapremo di più. Per ora dobbiamo accontentarci di congetture.” “Testimonianze? Qualcuno lo aveva notato in giro?” “Senza offesa, capitano: ieri era giornata di mercato, e Villabosco era strapiena di forestieri e zingari. E certo non posso andare in giro a mostrare le foto del cadavere.” “Certo, ha ragione. Come procediamo allora?” “Al solito. Rilevammo le impronte digitali, ma nel database non risulta schedato e allertammo tutte le stazioni.” “Bene bene. Allora restiamo in attesa di novità.” Bonanno decise di tentare una carta disperata. “Signor capitano, considerato che non mi pare trattasi di un caso di estrema gravità, col suo permesso, dovrei andare in licenza e se lei potesse evitare... lunghi viaggi fuori sede con la sua macchina... sa com’è... con la marmitta che si guasta spesso...” “Non se ne parla, Bonanno. Questo è un tipico delitto siciliano, lo ha detto lei stesso. E lei conosce questi luoghi ed i suoi corregionali meglio di me, lei è as-so-lu-ta-men-te indispensabile alla Compagnia in momenti come questi. Per la licenza ci sarà tempo.” Bonanno maledisse le sue congetture della coppola. Tentò ancora. Non aveva voglia di affrontare la furia di Vanessa. “Dell’ammazzatina potrebbe occuparsene il brigadiere capo Steppani.” “Non ci provi, Bonanno. È lei la persona giusta per questo genere di cose, niente discussioni. Le affido le indagini, sono certo che non mi deluderà. Contento?” “Una pasqua.” Chino sulla tastiera, Steppani stava riassumendo le testimonianze dei netturbini. Gli era bastata una sola occhiata del maresciallo per intuire che la sua fin troppo pedissequa trascrizione lo aveva mandato in orbita. Bonanno si chiuse nel suo ufficio a rompersi la testa: come impostare la questione con Vanessa? La settimana di vacanza a Ustica era sfumata un’altra volta. L’avevano programmata da tempo, una settimana di evasione dal mondo, a contatto con la natura per godere di acque incontaminate e gustare pesce appena pescato. Preferì concentrarsi sul caso e rimandare la questione. Con le donne coltivava un irrisolto problema fin dalla giovinezza. Un uomo tra i 55-60 anni viene ammazzato con un paio di colpi ben assestati in testa. Lo trovano nell’immondizia. L’autopsia non evidenzia altre ferite, a parte dei graffi superficiali ed una vecchia cicatrice sul petto. Forse un intervento chirurgico o residuo d’una ferita. Chissà. Che nascondeva quel carcame? Chi era? Da dove veniva? Per quanto si sforzasse non riusciva a pensare, l’unico volto che continuava a prendere forma davanti ai suoi occhi era quello del capitano. Lo massacrò poco alla volta, pezzo per pezzo, alla faccia della vedova. La vedova, perché non ci aveva pensato subito? Balzò in piedi senza neppure rendersene conto e irruppe nella stanza del subalterno. “Steppani” muggì. Fu travolto da un rovinoso rumore di sedie. Steppani ruzzolò all’indietro. Nella foga si trascinò appresso la tastiera. “Capperi, maresciallo, m’ha fatto prendere un accidenti.” “Quando ti rialzi inoltra copia di questa foto a tutti i Comandi provinciali. Poi attaccati al telefono e informati se presentarono denunce di persone scomparse. Subito.” “Non per contraddirla, ma abbiamo già mandato una nota informativa, ci faranno sapere loro qualcosa. Mi sono appositamente raccomandato.” “Attaccati subito a quel minchia di telefono.” “Comandi.” Trentasette minuti dopo, con dipinto sul volto il sorriso dei serafini, Steppani bussò con tocco leggero nell’ufficio del suo comandante di Nucleo Operativo, nonché vicecomandante di Compagnia pressoché in servizio permanente. “Posso entrare?” “Mi sfotti, Steppà?” “Fosse mai maresciallo, non mi permetterei.” “Entra e sputa. Prima che parli però levati dalla faccia quel risolino da gioconda.” Il brigadiere ubbidì all’istante. “Ci siamo. A Cefalù è stata denunciata la scomparsa di tale Pietro Cannata. Manca da due giorni. Dalla descrizione fornita ai colleghi sembra proprio che si tratti del nostro uomo.” “Minchia.” “Salute, maresciallo.”
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