IILo stesso giorno.
Domus avita dei Petronii. Sala dei Pavoni.
Caio Petronio a Caio Sulpicio
Non mi pare notte per andare a corte e non sono allegro.
Se devo avere un umore da mettere tristezza, meglio che sia un amico fidato a sopportarlo.
Non c’è molto per cena, ma il vino è finissimo di Creta.
Fossi più in vena di sciocchezze avrei composto, per invitarti, un carme da fare invidia a Catullo, ma mi sono arrivate voci su una brutta storia.
Dunque, carissimo, spero ti accontenterai di questo biglietto che non vale nulla.
Ti aspetto.
«Si è già risaputo?», chiese Aspro con una tensione metallica nella voce. Caio si strinse nelle spalle. «Petronio è sempre il primo a sapere le cose, ma se ancora il fatto non è di pubblico dominio, ti garantisco che lo sarà presto; illudersi è inutile».
Detto questo, il patrizio tornò nelle sue stanze per cambiarsi d’abito.
Fuori, un seguito volutamente modesto attendeva i due uomini e li accompagnò discretamente a breve distanza quando si incamminarono.
«Sei in ritardo per la cena con Petronio?».
«No, ama cenare molto tardi, ti accompagno in caserma».
La caserma dei pretoriani era un edificio massiccio che sorgeva ai piedi del Palatino. L’attendente, dopo essere scattato sull’attenti nel saluto, comunicò che il medico Archiatra di Nerone era venuto anch’egli a vedere il cadavere e se ne era appena andato.
«Mio centurione», continuò quasi gridando e fissando il vuoto oltre la spalla di Aspro. «È stata accertata senza ombra di dubbio la morte della donna per strangolamento e gli effetti personali della vittima sono stati catalogati e attendono di essere riconsegnati al padre della fanciulla o alla Casa delle Vestali, signore!».
«Il padre della ragazza è ancora vivo?», interruppe Caio. «Credevo fosse morto da parecchio tempo…».
«Non ne so nulla», rispose Aspro. «Indagheremo… continua, Aufidio».
«Non c’è altro signore, il corpo è all’obitorio, se lo volete vedere».
«Bene», disse Aspro in tono di congedo, ma quando l’intendente salutò per ritirarsi, la malizia di Caio ebbe la meglio e richiamato discretamente il giovane, che era poco più che un ragazzo a dispetto della stazza, chiese: «Ma il medico, non ha magari accertato anche se la nostra sventurata vergine vestale era effettivamente vergine?».
Aspro si voltò di scatto. «Caio, stai parlando con un pubblico ufficiale di una sacerdotessa di Roma!».
Le labbra di Caio si aprirono in quel sorriso carico di indulgenza e sarcasmo che lo aveva reso famoso a corte. «Il fatto è che mi sono sempre chiesto come facessero a far passare il tempo quelle donne, tutte sole in quella casa».
«Caio, sei uscito di senno?», tuonò Aspro furioso.
Caio Sulpicio alzò le mani in segno di resa.
Il giovane intendente che, forse educato con rigidi principi repubblicani, aveva sperato di non dovere mai dire cose simili di una sacerdotessa di Vesta, arrossì visibilmente e tentennò incerto. Tanto pudore, come tutte le rarità non mancò di commuovere il patrizio.
«Ah… dunque vedi, mio caro fratello, che a pensare male, chissà perché, ci si indovina sempre… dunque, ragazzo?».
«Signore, il rapporto del medico è sul tavolo, ma mi è parso di capire, da chiacchiere di corridoio, che effettivamente ci fosse… qualche irregolarità».
«Insomma!», ruggì Aspro, che come Caio non arrossiva più da tempo, ma che trovava qualcosa di sacrilego e infimo in quelle che gli sembravano chiacchiere da donnette. «Non discuteremo di questi dettagli in pubblico!».
Caio spalancò le braccia in un gesto d’impotenza e seguì il fratello in un angolo più appartato. «Aspro, non avercela con me! Un amante era la prima cosa cui era logico pensare! Certo, non è più il tempo delle caste matrone che rimangono in casa a filare la lana… e per fortuna, altrimenti non so davvero come la corte potrebbe riempire il suo tempo, ma è ovvio che almeno la castità delle vestali dovrebbe essere garantita… certo ci sono dei casi particolari di cui so in cui l’imene si può rompere per un trauma o magari potrebbe averlo fatto lei stessa da sola dandosi piacere, ma, se non ci sono segni di recente stupro, ho idea che la soluzione più ovvia sia quella vera».
«Già, in genere è così…», fece Aspro, ed era chiaro che nella sua mente aveva iniziato a dare la caccia all’amante clandestino della vestale.
Diedero appena uno sguardo al volto deturpato della fanciulla, un tempo risplendente di giovinezza intatta. Caio vi lasciò ricadere il lenzuolo sopra e volse il capo. Sul tavolo da lavoro, oltre al referto medico che confermava le parole dell’intendente e non parlava di tracce ovvie di stupro, c’erano la tunica bianca, la treccia in pelle che doveva servire da cintura, la sua palla di lana, una sopravveste ampia di un anonimo grigio, adatta a coprire anche il capo, nella quale l’assassino aveva avvolto il corpo e che quindi era macchiata di fango, i sandali e qualche spillone per fermare i capelli.
«Bene», disse Caio, constatando che era tutto. «Bisognerà che vada».
«Certo, stavo dimenticando Petronio».
Il giovane senatore fece per avviarsi quando Aspro lo richiamò.
«Caio, ho molto bisogno del tuo aiuto, Tigellino ha fatto di tutto perché venisse data a me questa gatta da pelare. E se lo ha fatto dovrà pur esserci un motivo, non si dà mai tanta pena per niente».
Caio annuì in silenzio. «Deve avere buone ragioni di credere che questa faccenda sia legata all’ambiente di corte», continuò Aspro. «Forse spera di rendermi pericoloso per qualcuno troppo potente per tollerare di avere paura».
«Tigellino sbaglia di rado i suoi conti, è vero, ma da questo a pensare che grossi personaggi siano coinvolti in questo omicidio incredibile, sinceramente, mi sembra un salto un po’ eccessivo. Tigellino pesca nel torbido, lo fa sempre, e spera che ne venga fuori qualcosa. Lelia aveva un amante. Può essere chiunque. Ci sarà stato un diverbio e l’ha uccisa. È tutto».
Aspro tuttavia scosse il capo: «Questo non è un delitto di strada, Caio, gli Augustiani ci sono dentro fino al collo, me lo sento. Tigellino lo sa… e credo che tu per primo lo pensi. Quelli tessono trame sottili come tele di ragno e io sono un soldato, non un equilibrista. Negli intrighi di quella gente soltanto tu ci puoi entrare».
Mentre un passo cadenzato all’esterno annunciava il cambio della guardia, i due uomini si abbracciarono forse per la prima volta da quando erano ragazzi.
«Credimi, mi spiace immischiarti in questa faccenda», replicò Aspro scostandosi. «Ma non vedo altro mezzo».
«Sai che farò del mio meglio, ci sono ancora degli amici e la partita è tutta da giocare, Tigellino ha fatto una buona mossa, ma sono certo fosse una mossa alla cieca; niente di meno e niente di più. E comunque mi diverte avere nemici scaltri almeno quanto adoro avere amici eleganti».
E detto questo il patrizio uscì lasciando Aspro a chiedersi se scherzasse, dicesse sul serio oppure, come era più probabile, entrambe le cose insieme.