IIIPetronio lo ricevette nell’atrio in penombra e gli schiavi si eclissarono.
Era quella la casa avita dell’arbitro d’eleganza, ricca ma assolutamente sobria, che proprio per quel suo gusto essenziale egli amava abitare nei mesi invernali dell’anno per poi trasferirsi a marzo nello splendido palazzo sul Tevere e poi, in estate, a Baia.
«Sono felice che tu sia venuto Caio», disse la voce bassa di Petronio come se un suo invito corresse il rischio di venire rifiutato.
«Sei preoccupato, amico mio?».
«Si nota?», sorridendo di un sorriso tirato, l’arbitro d’eleganza condusse l’amico attraverso una teoria di sale debolmente illuminate fino a un piccolo triclinio le cui pareti ricoperte di pannelli di cedro intagliati regalavano un’atmosfera intima e calda.
La cena, era leggera e gli schiavi, che in genere non mancavano mai neppure nei banchetti più privati, dovevano essere stati tutti congedati perché né intorno a loro né nel resto della stanza si scorgeva un’ombra muoversi.
«Allora», esordì Caio, «dov’è questo vino che avrebbe dovuto scioglierci la lingua?».
Petronio sorrise appena. Con gesto aggraziato sollevò una piccola anfora che aveva accanto e mescé nel cratere il liquido purpureo con la disinvoltura di chi nella vita pareva non avere mai fatto altro che il minister3.
«Non ti sarai stupito della mancanza di servi, preferivo fossimo soli», replicò servendo il vino. «Naturalmente ho molta fiducia nei miei schiavi e sono certo che molti della mia familia4 sarebbero disposti a morire per me, ma se non sono a conoscenza di faccende particolarmente delicate c’è minor rischio che vengano tentati al pettegolezzo».
Caio rabbrividì appena. «È dunque così grave? Che voci circolano a Palazzo?».
«Sono pochi a saperlo per il momento, ma Cesare è tra questi e mi ha fatto chiamare, oggi pomeriggio, per parlarne in privato. Sai com’è Nerone, non sa nascondere le sue emozioni, era nervosissimo».
«È comprensibile», sospirò Caio. «Dopo l’omicidio di sua madre e l’allontanamento di Ottavia, se gli si addossasse anche la colpa, direttamente o meno, di un sacrilegio, niente al mondo potrebbe impedire una rivolta».
Petronio si strinse nelle spalle. «Cesare medita di rilanciare divorziando da Ottavia per poi sposare Poppea. I preparativi per le nozze sono già avviati. Segretamente, è ovvio, ma che cosa può rimanere segreto a lungo a corte al giorno d’oggi? Ottavia deve essere terrorizzata, povera piccola, ed io credo che la casa imperiale sia sull’orlo di un abisso. Se si viene a sapere del modo in cui Lelia è morta, non parrà soltanto un sacrilegio, sembrerà un segno che la dea Vesta è furiosa. Un segno nefasto… inutile dire che il principe è disposto a tutto perché questo non succeda, per non parlare di ciò a cui è disposta Poppea… ed è preoccupato anche per la scelta di Aspro come investigatore: sa che tuo fratello non si ferma davanti a nulla».
Caio aprì le braccia in gesto sconsolato. «È una vita che mi scontro con il carattere di mio fratello, e non sempre con i migliori risultati, ma sono certo d’essere in grado di farlo ragionare se proprio fosse necessario…dovessi farlo rapire e spedire in Siria al mio buon generale Corbulone, che nella sua guerra contro i Parti ha sempre bisogno di eroi. Pure non riesco a convincermi che vi possa essere coinvolto Nerone in questa faccenda! Ci sarà bene un modo per mettere tutto a tacere!».
Petronio beveva pensieroso e la luce dei bracieri scavava ombre scure nel suo volto superbamente aquilino. «Qualunque sia la verità, Tigellino deve avere affidato l’indagine ad Aspro nel tentativo di farci cadere tutti in disgrazia».
Caio pareva assorto nella contemplazione dei vani bui che apparivano a tratti tra le pareti affrescate dell’atrio, ancora più ampio in quel silenzio. «Ma pensi davvero che l’Imperatore possa essere in qualche modo implicato? Voglio dire… ritieni che si debba cercare di svolgere qualche indagine a corte?».
«Per carità!», Petronio appoggiò il calice al tavolo di scatto. «Non so che cosa penso, so soltanto che se ne fossi convinto ti consiglierei di insabbiare il caso al più presto o se proprio qualcosa trapela, di trovare un colpevole comodo da giustiziare con il minore clamore possibile. Al momento, finché la faccenda non diviene pubblica, dovremmo fare in modo di svolgere qualche indagine discreta, casomai la soluzione fosse a portata di mano, e tu, in particolare, dovrai cercare di contenere Aspro con qualsiasi mezzo, ma soffocare tutto credo debba essere una priorità assoluta di cui vedrò di occuparmi io. Non saprei che dirti di più. Ammetterai che Cesare è piuttosto incline alle scorribande notturne nei quartieri malfamati».
«È vero, ma suvvia! Quando organizza cose di questo genere si porta dietro mezza corte!».
«Certo, e se si portasse mezza corte a reggergli il lume mentre va a un appuntamento segreto con una vestale, dubito che resterebbe segreto a lungo, lo so, ma Nerone a volte è capace di gestire i suoi capricci con una certa del tutto insospettabile astuzia. Non so se sia colpevole né se sia in qualche modo implicato, ma di certo ha paura e un Imperatore che ha paura può essere veramente pericoloso per tutti».
Fuori si alzava il vento. Lo sentivano soffiare a raffiche e sconvolgere la curata vegetazione dei cortili.
«Petronio?».
«Sì?».
«E se ci fosse invece la mano di Poppea? Si diceva che fosse gelosa di Lelia».
«Improbabile… perché mai avrebbe dovuto essere gelosa? Per amore di Cesare forse? Non farei un torto simile all’intelligenza della nostra futura Imperatrice, quello che la infastidiva in Lelia era la sua nobiltà, i suoi legami con la famiglia imperiale che avrebbero certo potuto farne un’Imperatrice meglio accetta di lei, ma neppure Nerone può liberare una vestale dal suo incarico e Poppea lo sa perfettamente. Perché ucciderla? Cesare è letteralmente pazzo di Poppea. Persino Agrippina ha finito con il soccombere agli intrighi di quella donna… e gli dei sanno che Agrippina era una degna avversaria per chiunque. E ora, il dramma è che è divenuta decisamente di troppo Ottavia…
Ma Lelia? Che problema avrebbe mai potuto rappresentare?».
«Anche questo è vero… quanto a Ottavia, non vedo come potrà salvarsi se il popolo continua a incoronare di fiori le sue statue e a cantarla per strada come l’Imperatrice perfetta. A peggiorare la situazione, ma è confermato? Si dice che Poppea sia incinta».
«È vero, l’ho saputo anche io soltanto ieri. Lo ha detto lei stessa a Silia e sembra sia di almeno due mesi. E ora che si prepara a fornirci un nuovo Cesare non vedo davvero che cosa la possa fermare. A Poppea serve la morte di Ottavia, non le era certo utile quella di Lelia. Lelia avrebbe potuto essere una rivale soltanto una volta terminati i suoi trent’anni di servizio presso la dea. Sarebbe stato un omicidio piuttosto prematuro».
«Vero…e comunque non sembra affatto un delitto nello stile di Poppea».
Petronio alzò un sopracciglio con aria interrogativa.
«Sembra non si tratti di un omicidio premeditato, intendo, per via della lettiga, per esempio. Chi mai potrebbe utilizzare una lettiga ornata e riconoscibile per portare in giro per Roma il cadavere di una vestale uccisa? Un sicario di Poppea che commettesse stupidaggini simili non vivrebbe un giorno! È stata un’idea idiota».
«Però anche Poppea è agitata, le sue schiave sono passate vicino alla stanza dove parlavo con Nerone più volte di quanto fosse necessario, e normalmente non ricorrerebbe a mezzi così grossolani».
Il richiamo della ronda si udì nitidamente; era la terza ora notturna.
«Non facciamo altro che supposizioni senza fondamento», commentò Caio con tristezza. «È possibile che nessuno sappia di più sulle vicende sentimentali della nostra non casta vestale? Di solito a corte si viene a sapere sempre tutto, mi sembra incredibile che, una volta che un segreto è di importanza vitale, nessuno sappia più niente».
Petronio scosse il capo senza convinzione. «Sulla presunta attrazione di Nerone per Lelia si è ricamato talmente tanto che ormai nessuno potrebbe più distinguere il vero dal falso. Immagino che all’ombra di questi pettegolezzi, Lelia avesse una storia clandestina reale, meno chiassosa, consumata in silenzio, nella paura e nell’eccitazione di essere scoperti. E l’amante potrebbe essere chiunque, da un cortigiano al garzone del panettiere, ritrovarlo è un’impresa praticamente impossibile».
Quella notte furono forse in molti a non poter pensare ad altro: l’amante di Lelia.
C’era tra queste persone chi ne conosceva l’identità fin troppo bene e chi sarebbe stato disposto a pagare un patrimonio soltanto per saperne il nome.
Che genere di uomo poteva mai essere, si chiedeva Caio, mentre all’improvviso il caldo del suo cubicolo gli pareva opprimente, quell’uomo che, a quel che pareva, era il perno centrale di una vicenda che toccava personaggi tanto importanti. Che genere di uomo poteva avere suscitato desiderio in una vestale?
Era tanto superba da non accettare altro che il cortigiano più perfetto, oppure, cresciuta nella pace arginata di quella casa di vergini, si era infatuata del primo tanto audace da desiderarla? Se si fosse trattato soltanto di un ragazzo qualunque che in un impeto d’ira l’aveva uccisa, tutto quell’immenso castello di sospetti e segreti che sembravano agitarsi a corte intorno al caso si sarebbero rivelati una serie di coincidenze assurde.
Lelia avrebbe cercato un uomo ricco? Un nobile di antica casa? O forse un bel giovane? L’ultima ipotesi era forse la più probabile, ma non vi erano tracce. Bisognava cominciare il più discretamente possibile a indagare e poi confidare nella fortuna che di rado lo aveva tradito. Chiamò la sua ancella di camera per farsi portare del latte caldo. Basilò scivolò via obbediente.
Chissà perché il padrone non dormiva… chissà a chi pensava… magari a una donna… Caio Sulpicio… Basilò si rigirava quel nome nella mente come se fosse stato un oggetto prezioso. Non osava pensare a quanto sarebbe potuto essere stupendo svegliarsi una mattina al suo fianco e chiamarlo per nome.
Era così bello, così elegante. Con quelle palpebre languide a coprire l’azzurro ferrigno degli occhi, quelle spalle ampie e le mani grandi e nervose. Mani sicure di uomo. Mani che sapevano aprire e prendere. E la frivolezza, i capricci, l’eleganza affettata di cortigiano che rivestivano, senza del tutto camuffare il corpo da guerriero, facevano giungere sempre inatteso il colpo del suo giudizio affilato. Sembrava qualcosa che non era. Un velo di leggerezza incostante a ri coprire, per scoprire solo a tratti, quanto vi era sotto. E sotto vi era un patrizio romano di antichissima stirpe, con un orgoglio vecchio come il tempo. Il fuoco ardeva con aria astenica e il latte tardava a scaldarsi.
Chissà se c’era davvero una donna che amava… Basilò gettò indietro i capelli con un gesto rabbioso quasi avesse potuto in quel modo scacciare anche quelle idee sciocche. Tolse il bricco dal fuoco, versò il latte in una tazza e la portò al padrone.
Egli non la trattenne.