Prologo

2643 Parole
Prologo 2 maggio 2005, ore 21,00 Milano, Disorder, l’ultima cena La tavola è apparecchiata per dieci. Sui segnaposti che Renata ha dovuto mettere, ci sono i nomi di ognuno, compreso il suo. Era troppo difficile perché potesse ricordare ogni cosa, per cui ha preso nota su un foglio. Di tanto in tanto, torna in cucina. E di nascosto ci dà una sbirciatina: Gabriele 4 Angelo 2 Marco 3 Antonio 1 Federico 5 volte Vorrà pur dire qualcosa, ma sa che non deve far la curiosa. Sa inoltre che non deve sbagliare, se tutti quei soldi vuole pigliare. “Ciao, a tutti!”. “Chi non muore si rivede!”. Grazia saluta Antonio con un bacio sulle labbra che di innocente ha davvero ben poco. “Finalmente ti rifai vivo”. Ora è Sonia a baciare Antonio, ma lei lo fa sfiorandogli appena il viso. Quindi, è la volta di Valeria che gli prende una mano fra le sue: “Ehi Antonio, stai bene a quanto vedo!”. “Antonio, e a me non dai niente?”. “Dipende da quello che sei disposta a darmi tu, cara la mia Manu...”. “Sei lo stesso porcello di sempre” ride lei. “Guarda chi c’è!” esclama Antonio, mentre squadra Renata da capo a piedi con il suo tipico sguardo alla basta che respiri. “E certo che sto qua, sono io che ho organizzato la cena! Stai mica sclerando?”. Detto questo, Renata pensa di averlo smontato già al suo primo tentativo. È pur vero che le sue lusinghiere allusioni le procurano ogni volta un certo piacere. Antonio, del resto, possiede il dono di far sentire le donne belle e desiderate. L’importante è che respirino, per l’appunto. “Ragazze... ci saremmo anche noi”. Il tiepido coro è composto da quattro voci, tutte maschili: quelle di Marco, Angelo, Federico e Gabriele. Una cena tra amici. Tutti della stessa età, i cinque maschi. Ventitré sono le estati in cui i loro giovani corpi si sono spogliati in spiaggia per asciugare la nebbia col sole del mare. Ventitré gli autunni degli alberi spogli che i loro occhi han visto, e mille e mille foglie a terra, ognuna a soffocare la tenera erba che oramai fa fatica a spuntare. Per poi soffocare. Inesorabilmente, per sempre. Ventitré gli inverni in cui hanno coperto i loro corpi ancora vivi con indumenti pesanti. Ventitré, infine, le primavere, tutte da pedalare. Con le bici che sembravano lievitare anch’esse assieme al tronco superiore e quello inferiore del loro assetto carnoso e sanguigno, compagne inseparabili della crescita di ognuno di loro cinque. Ma difficilmente ne rimarrà vivo qualcuno. Tutte di età eterogenea, le cinque femmine. Una sola, però, non avrà più stagioni da vivere. Presto, molto presto. “Vediamo un po’ cos’è che ci ha preparato Renata questa sera” dice Marco curioso. “Marco, tu sei allergico all’aglio, giusto?”. La testa della ragazza spunta a scrutare i nove amici seduti a tavola dal riquadro della porta che dalla cucina dà sull’ampio locale del Disorder. “Claro”. “Bene, meno male che me ne sono ricordata in tempo” sbuffa di sollievo Renata. E scompare oltre la porta per rintanarsi in cucina dove in genere le persone che ci lavorano sfornano cocktail variopinti e spaghettate di mezzanotte. Renata torna poco dopo con una zuppiera nera fra le mani, dello stesso servizio dei piatti, ricolma di ottimo gulasch. “Hai esagerato!” le fa Marco sfregandosi le mani. “Ragazzi, rutto libero!”. “Angelo, non ci provare nemmeno” lo redarguisce Manuela. “Dai, Manu...” la esorta Angelo. “No, sentite, niente volgarate” protesta anche Sonia. “Serata fine, siamo intesi?”. “Co-me-vo-le-te!” concorda Gabriele, ruttando. “Fai veramente schifo!” esclama Sonia. “Ascoltate un momento. Zitti! E piantatela di ridere. Non è che potremmo elevare il tenore della discussione?”. propone al gruppo Valeria. “Così, giusto per raccontarci qualcosa, visto che non ci vediamo da un po’, che ne dite?”. “Ha ragione” fa Grazia. Quindi, rivolta ai ragazzi: “Dai, non fate i coglioni”. “Bra-va-Gra-zia!”. “Gabriele, piantala! Deficiente”. “Va bene Grazia, adesso faccio la persona seria: devo confessare di essere seriamente interessato al contenuto della pentola”. “Non è una pentola, è una zuppiera” precisa Renata. “Quanto sei ignorante!”. “Ma-dav-ve-ro?”. “D’accordo, ho capito” si arrende Renata. “È meglio se cominciamo a mangiare”. La ragazza comincia a servire il gulasch nei piatti, quindi domanda: “Chi vuole un po’ di birra?”. “Io, grazie” accetta Antonio. “Ecco, tieni. Versala anche agli altri”. “Renata, la vuoi sapere una cosa?” le domanda Antonio con la bocca piena mentre afferra la lattina dal braccio teso di lei. “È fantastico! L’hai fatto tu con le tue dolci manine?”. “Io? Nooo...”. “E da dove viene?” si informa Antonio. “L’ha cucinato...”. Renata si fa improvvisamente seria: non è mai riuscita a dirle bene le bugie. “Mia mamma”. “Un brindisi, allora” propone Antonio. “Alla ditta Andreoli & figlia! Hip, hip, hurrà!”. “Vacca madosca se è buona ‘sta birra” esclama Marco, poi manda giù un sorso e chiede ad Antonio: “Lavori sempre nell’officina di tuo padre?”. “Sì”. “E ti piace?”. “Boh. Ci lavoro e basta” replica lui. “Del resto, io non ho studiato. Non sono mica un intellettualone come te”. Marco per tutta risposta tira su il medio. “Stavo scherzando! No, mi piace fare quello che faccio, davvero. Poi, ora, col tuning è un vero sballo. Ho sempre avuto la passione per le macchine, figuriamoci adesso che posso personalizzarle come vuole la gente. Però ci sono dei matti in giro, voi non potete immaginare”. “Tipo?” domanda Sonia, appena prima di riempirsi la bocca con dell’altro gulasch. “Uno qualche giorno fa mi ha chiesto di disegnargli una grossa aquila sul cofano”. Antonio si interrompe, giusto il tempo di trangugiare un boccone. “Allora io gli ho detto che noi facevamo solo modifiche al motore, agli interni, tutt’al più alle ruote. Ma niente tattoo. Lui allora mi guarda e mi fa: Ciao Roby, che ci fai qui? Era stralunato, pareva fatto, che ne so. Io allora gli faccio: Non sono Roby. Chi stai cercando? E lui: A presto, Roby. Poi mi guarda in un modo assurdo, gira i tacchi e se ne va”. “E chi è Roby?” domanda Sonia. “E che ne so io, chi è ‘sto Roby”. “Troia bastarda!” esclama Marco. “Adesso che mi ci fai pensare, anche a me è capitata una cosa tipo questa”. “E ti pareva che Marco non c’aveva anche lui qualcosa di strano da raccontare?” interviene Gabriele cantilenando. “Tu ridi” balbetta Marco. “Intanto io me la sono fatta addosso”. “E cioè?” chiede Manuela aggrottando le sopracciglia. “La settimana scorsa” comincia a spiegare lui, “ero all’università quando mi sento mettere una mano sulla spalla. Mi giro, guardo sto tizio in faccia: non l’avevo mai visto. Desidera? Volete sapere, quello, che cazzo m’ha risposto? Questi sono i tuoi ultimi giorni di vita, Roby. Goditeli”. “Pure a te t’ha chiamato Roby?”. “Sì Manu, anche a me. Ma il punto è un altro: vi rendete conto di cosa m’ha detto?”. “E tu non l’hai raccontato a nessuno?” gli chiede Valeria preoccupata. “Veramente... no, c’aveva due occhi da pazzo che la metà basta!”. “Non è che voglio metterti ancora più paura” pondera puntigliosa Manuela, “ma sono proprio i pazzi a commettere i crimini più tremendi”. “Madonna santa... Manu! Ti sei vista troppi gialli. Davvero, rilassati!”. “Va bene, come dici tu, mi rilasso. Ma allora parliamo di cose più allegre, no? Federico, non hai detto ancora una parola. Perché non ci racconti qualcosa di te?”. “Adesso ve la racconto io una cosa di Federico” sghignazza Antonio. “Dai, smettila” gli fa Federico. “ Sempre con la stessa storia. Cheppalle!”. “E fammela raccontare, ti prego... Giuro che è l’ultimissimissima volta”. “Seee, figurati!”. “Allora. Federico era stato appena piantato da una certa Ivonne. Già il nome è tutto un programma”. “Oh... poverino!” esclamano le ragazze praticamente all’unisono. “No, non gliene fregava un cazzo” ribatte Antonio. “Forse un pochino” ci ripensa lui mentre avvicina indice e pollice. “Hai deciso tutto tu, scusa?”. “È così, Renata, te lo giuro, non racconto palle! Federico, diglielo anche tu che non era una cosa seria”. “Beh, un po’ mi piaceva” interviene timido Federico. “Va be’, un po’ per forza, altrimenti che ci stavi a fare? Ora sentite. Non lo si vedeva in giro da un po’, nessuno sapeva che fine avesse fatto, così un giorno mi decido e vado a casa sua. Citofono e mi risponde la madre: È in camera sua, vedi se puoi fare qualcosa tu: sta lì dentro da tre giorni, esce solo per mangiare. Salgo e busso alla porta di camera sua, una voce dall’oltretomba mi dice di entrare. Dentro è buio pesto. Riesco a vedere soltanto una sagoma distesa sul letto. Così, mi avvicino e lo saluto: Ciao Federico, stavi dormendo? Lui apre gli occhi e mi fa: No... Ivonne mi ha lasciato. Sì, lo so, gli dico. Dai, non fare il cazzone, alzati. Aveva la barba lunga e due occhi cerchiati da far paura”. “Meno male che non c’era rimasto male” osserva Renata. “Sennò che faceva, si suicidava?”. “Vabbé, tu lo sai com’è Federico, no? Fa le tragedie per ogni cosa e il giorno dopo è tutto ok. Ma ora fatemi finire. Capelli sparati in aria, dimagrito fino all’inverosimile, pallore cadaverico. In camera c’era un casino mega, i vestiti buttati da tutte le parti, era steso sul letto e non s’era tolto nemmeno le scarpe. Lo guardo in faccia e gli dico: Cazzo! Ma non te l’hanno ancora pagato il riscatto?”. La prima a farlo è Manuela. Poi, tutti gli altri. Ridono fino alle lacrime, non riescono a smettere. E ridono, ridono... e ridono. Poi succede tutto all’improvviso. Il primo ad accorgersene è Marco, seguito a ruota da Antonio. E un po’ alla volta svaniscono le risa, si spegne l’allegria, si dilegua il buonumore: uno di loro dieci non ride più. Ha smesso di farlo. Ora tutti lo osservano. Senza indugiare, Marco gli fa una semplice, precisa domanda: “Che ti succede?”. Come se tornasse in vita da un coma profondo, lui risponde meditabondo: “Anche a me m’ha chiamato così”. Molto, molto allarmante la fissità del suo sguardo nel vuoto. Ora lo squadrano tutti, increduli. Evidentemente, a questo punto, anche un po’ preoccupati. “Che vuoi dire?” gli fa Marco. “Che m’ha chiamato Roby”. Angelo parla lentamente, soppesando le cinque parole testé pronunciate. “Mi ha chiamato Roby, capite?” ripete. Come se i suoi amici non avessero compreso, come se gli altri nove non fossero in grado di cogliere la gravità del contenuto. “Com’era ’sto tizio?”. La domanda di Marco suona come un sollecito. “Era alto, robusto” risponde subito Angelo. “Portava occhiali con lenti molto spesse?” insiste Marco. “Sì! Esatto!” esclama Angelo. “C’aveva pure un cappellino con la visiera. E la barba”. “Anche l’uomo che voleva l’aquila sul cruscotto” dichiara Antonio turbato. “Montatura?” indaga Sonia. “La montatura degli occhiali ve la ricordate?”. “Era un vecchio modello nero degli anni ‘80”. Angelo, nello sforzo di ricordare, si strofina la fronte con la mano. “Aspettate, com’è che si chiamavano? Accidenti!”. “I Lozza?” tira a indovinare Valeria. “Brava Valeria!” dice Angelo. “Sì, erano i Lozza” conferma Antonio. Marco annuisce lentamente. “Ma che vuol dire?”. Grazia guarda Marco, quindi Antonio e infine osserva attentamente Angelo. Quindi il suo sguardo torna di nuovo su Marco. A quel punto afferma decisa: “Vi assomigliate”. Grazia non lo sa ancora, ma ha sentenziato... “Siete pettinati e vestiti allo stesso modo”. ...senza saperlo, la loro morte. “E adesso che vi guardo meglio tutti e cinque... mamma mia!”. Di tutti e cinque ha proclamato... “Avete gli stessi occhi chiari, i capelli scuri, siete tutti alti e magri. Forse quello stronzo vi ha scambiati per quel Roby che dice lui”. ...l’orribil sorte. “Stai dicendo che quel pazzo...” Marco non riesce a finire la frase. “Senti” lo interrompe Sonia. “Non lo sai se è pazzo, magari è solo uno che sta cercando un tizio che non vede da un sacco di tempo”. “Ma che cazzo dici, Sonia?”. “Ehi, calmati!” sibila lei. “Calmati... Se fosse normale, m’avrebbe detto che mi resta poco da vivere, secondo te?”. Quindi, rivolto di nuovo a Grazia: “Lo so che quando ci tagliamo i capelli corti e ci vestiamo di scuro un po’ ci assomigliamo. E allora può essere davvero che quel pazzo furioso” rincara la dose Marco mentre punta gli occhi addosso a Sonia, “ci creda tutti la stessa persona”. Infine, rivolto a Gabriele e Federico: “Voi due non l’avete mai incontrato?”. “No” risponde Gabriele. “Tu, Fede?”. “Neanch’io”. “Non sarebbe il caso di andare alla polizia?” la butta lì Renata. “A dire che? Che in giro c’è un coglione che voleva che gli facessi un’aquila sul cofano e che mi ha scambiato per un’altra persona?” perde la calma Antonio. “Tu sei fuori”. “Ehi, tranquillo” si innervosisce Renata. “Voglio solo aiutarvi, sai a me che me ne frega!”. “Scusa... non volevo farti incazzare” le dice Antonio. “Beh, invece l’hai fatto” esclama stizzita lei. “Alt, alt, alt. Stop!”. I palmi di Federico sono sospesi a mezz’aria. “Però, in effetti, a Marco ha detto delle cose quanto meno inquietanti”. “Sì, ma se andassi a raccontare alla pula quello che m’è successo, mi farebbero domande del tipo: era armato? E io, ovviamente: no. Quante volte sei stato infastidito? Una. Quindi da quest’uomo non hai ricevuto altre minacce? No. Bene, beccati un calcio sul culo e levati dai coglioni” sospira Marco mentre si passa una mano fra i capelli. “Ragazzi, non facciamola più grossa di quello che è” dice Antonio alzando il bicchiere. “forza, ora facciamo un altro brindisi: alla nostra serata!”. “E allora?” reclama Manuela. “Chi mi mette un po’ di birra?”. “Vieni qua Manu, a te ci penso io”. Antonio strizza l’occhio a lei che si avvicina. Dopo averle riempito il bicchiere e fasciato il fianco con il braccio, la stringe forte a sé e la bacia sulle labbra mentre insieme agli altri brindano alla loro vita. Ora, Manuela e Antonio si separano dal resto del gruppo e si appartano in una zona buia e isolata del locale provvista di una sterminata distesa di divani e cuscini, lì sistemati non certo per caso. “Fffiiiu... fanno sul serio quei due!” esordisce Gabriele. “Tu fatti i cazzi tuoi!” esplode Renata. “Comunque, non fate gli stronzi voi due, tornate subito qui! Non ho mica organizzato questa cena per farvi scopare al Disorder!”. “Che finezza!”. E prima che la ragazza lanci a Gabriele una rispostaccia delle sue, lui prosegue dicendo: “Ragazzi, vi ricordate di quando siamo andati a... ahia!” esclama lui mentre si porta una mano allo stomaco. “Renata, ma sei scema? M’hai fatto male!”. “Ben ti sta. Così la pianti di romper le balle!” sibila lei mentre si massaggia le nocche. “Dai, continua, che non t’ho fatto niente. Cos’è che dovremmo ricordarci?”. Gabriele la fissa negli occhi, il suo viso si illumina di uno strano sorriso: “Vi ricordate di quando...” ci pensa su ancora un attimo, e poi va giù dritto come uno schiacciasassi: “Renata, ubriaca fradicia, durante il concerto dei New Order a Milano ha cercato di farmi un pompino?”. Gli altri non riescono a trattenere le risate. Renata afferra il bicchiere pieno di birra ghiacciata. “Che gran bastardo!”. “Cazzo, Renata!” sbotta Gabriele mentre si massaggia il viso. “Era gelata!”. “bene!”. “Ehi, finitela voi due” irrompe Angelo. “Io avrei da proporvi una cosa”. “Silenzio!” grida Sonia che ancora ride. “Sentiamo che cos’ha da proporci Angelo”. “Che ne dite di andare al mare?”. “Cheee?” esclama sbalordito Federico. “Al mare. Perché, che c’è?”. “Tu sei fuori” commenta ancora Federico. “Non è vero” replica Angelo. “Non è un’idea così sballata”. “E dove vorresti andare?”. “A Federì... te l’ho detto: al mare”. “Sì, ma al mare dove?”. “Ragazzi, perché non andiamo tutti a Rimini?” propone Renata. “Tu sei fuori, io intendevo in Liguria!” le fa Angelo. “Sai quante ore ci vogliono per arrivare a Rimini?”. “Boh... quattro?”. “E dici poco!”. “Eddai... e che ne dite di portarci del vino per la passatella?” incalza Renata. “Cazzo, la passatella! Da quanto tempo non la facciamo!” replica nostalgico Marco. “Sì, io ci sto!”. “Bene” dice Renata, “Marco è con me. Voi, ragazzi, che fate? Ci state?”. “Mmmh... si può fare” cede Angelo. “Evvai! Angelo e Marco, siete grandi! Voi altri?” domanda ancora Renata. “Che avete deciso? Venite o restate qui a sentire quei due che ci danno e ci danno?”. “In effetti...” riflette Valeria. Però poi aggiunge pensierosa: “Ma cos’è la passatella?”. Le risponde Marco: “L’hai già fatta, non te lo ricordi?”. “No” risponde secca Valeria. “Beh, me lo ricordo io: avevi bevuto così tanto che t’ho dovuto tenere la fronte per tutta la notte. E quando hai smesso di vomitare ti sei anche incazzata con me, dicevi che ero stato io a farti bere tutto quel vino”. “Ah, è vero!” esclama Valeria. “Madonna santa quanto sono stata male, non avevo mai bevuto così tanto in vita mia! Comunque sì, è stata tutta colpa tua, chiamavi sempre me. Non potevi chiamare qualcun altro? Sempre quattro limoni! E che cacchio!”. “Sentite, ho deciso” si lancia Federico. “vengo con voi, ma spiegatemi cos’è ‘sta bassatella”. “A Federì, passatella, non bassatella!” lo corregge Angelo. “Vabbè, quanto la fai lunga! Allora?”. “Sturati le orecchie e ascolta. Ci si siede in cerchio per terra, preferibilmente sulla spiaggia di notte, proprio come faremo noi”. Angelo strizza l’occhio a Renata. “Si riempie un bicchiere di vino e lo si mette al centro. Poi a ognuno viene dato un nome: il primo si chiamerà 1 limone, il secondo 2 limoni, il terzo ovviamente 3 limoni e così via. Se saremo in otto...”. “No, veniamo anche noi”. Due corpi spuntano dalle nere tenebre del loro anfratto. “Già fatto?” fa Renata. “Antonio, mi deludi, ti credevo un vero stallone!”. “Chiedi un po’ a Manu se si è divertita sull’ottovolante”. “Imbecille!” esclama lei. “Manu, su che scherzavo”. “Bene, se allora saremo tutti e dieci” prosegue Angelo, “è chiaro che l’ultimo si chiamerà 10 limoni. Oh. A questo punto, si fa la conta per decidere chi deve iniziare il gioco. Mettiamo che comincio io che sono... toh, 3 limoni. Devo dire a voce alta prima il mio nome, 3 limoni, poi una parola d’ordine che devono dire tutti quando è il loro turno, che sarebbe mezzo limone, alla fine devo chiamare chi voglio io, ad esempio 4 limoni. Chi sbaglia deve scolarsi tutto il vino nel bicchiere, e poi si ricomincia da capo”. “Ma che cazzata è questa?” domanda schifato Federico. “Cazzata? Prova a dire di seguito 3 limoni, mezzo limone, 4 limoni senza sbagliare” risponde esperta Valeria. “Soprattutto, dopo aver bevuto un paio di bicchieri di vino. Il minimo che ti può capitare è di dire 2 miloni, mezzo...”. “Basta, basta, ho capito” la interrompe Federico. “Menomale! Allora, si va?”. “Con due macchine?” domanda Manuela. E senza attendere una risposta: “La mia c’è”. “Ok, la tua e la mia” dichiara Marco.“Io sono a posto, tu Manu devi fare benzina?”. “No, Marco” risponde candidamente Antonio. “Manu ha appena fatto il pieno!”. Ciao, Rimini.
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