Parte prima-2

2057 Parole
«Hai bisogno di nulla?... Vuoi che ti dia una mano?... Come sta la mia figlioccia?... Che ha lasciato detto il cugino?...» «Non so... Ha ordinato a Baldassarre il da fare...» Baldassarre, infatti, andava su e giù, mandando ancora messi, ricevendo quelli che tornavano dall'aver eseguito le ambasciate. Tutti i parenti, ormai, erano avvertiti: soltanto il famiglio mandato ai Benedettini venne a dire che Padre don Lodovico stava per arrivare, ma che Padre don Blasco non era nel convento. «Va' dalla Sigaraia... a quest'ora sarà da lei... Corri, digli che è morta sua cognata...» Don Lodovico arrivò con la carrozza di San Nicola; e nella Sala Gialla tutti s'alzarono all'apparire del Priore. Chiara e Lucrezia gli andarono incontro, gli presero ciascuna una mano, e la marchesa, cadendo in ginocchio, proruppe: «Lodovico!... Lodovico!... La nostra povera mamma!» Tacevano tutti, guardando quel gruppo: la cugina, con gli occhi rossi, mormorava: «È una cosa che strazia l'anima!» Il Priore, chinatosi sulla sorella, la rialzò senza guardarla in viso, e nel silenzio generale, rotto da brevi singhiozzi repressi, disse, alzando gli occhi asciutti al cielo: «Il Signore l'ha chiamata a sé... Chiniamo la fronte ai decreti della Provvidenza divina...» e poiché Chiara voleva baciargli la mano, egli si schermì: «No, no, sorella mia...» e la strinse al petto, baciandola in fronte. «Perché si nasce!...» esclamò dolorosamente don Giacinto all'orecchio di don Mariano; ma questi, scrollando il capo, si fece innanzi con piglio risoluto: «Basta adesso, signori miei! I morti son morti, e il pianto non li risuscita... Pensate alla vostra salute, adesso, che è l'importante...» «Coraggio, poveretti!» confermò la cugina Graziella, prendendo per mano le cugine, costringendole amorosamente a sedere; mentre il marchese baciava sua moglie in fronte, le asciugava gli occhi, le parlava all'orecchio, e donna Ferdinanda, poco portata alle scene patetiche, si metteva il principino sulle ginocchia. Il biglietto del signor Marco passava di mano in mano; il Priore manifestava anch'egli l'intenzione di partire per il Belvedere, ma i lavapiatti protestarono. «Per far che cosa?... Angustiarsi per niente?... Se si potesse dar aiuto...» «Partirei io!» soggiunse la cugina. «Aspettiamo, piuttosto,» propose il marchese. «Giacomo manderà certo a dire qualcosa...» L'arrivo di un'altra carrozza fece infatti supporre che venisse qualcuno dal Belvedere. Era invece la duchessa Radalì. Poiché ella aveva il marito impazzato e non faceva visite a nessuno, il suo pronto accorrere intenerì più che mai la cugina, che la chiamava zia, quantunque non ci fosse parentela tra loro; ma il ritorno di donna Vincenza da San Placido segnò il colmo della commozione. La cameriera non trovava parole per esprimere il dolore della monaca, giungeva le mani dalla pietà: «Figlia mia! Povera figlia!... Come una pazza, fa come una pazza!... E chiama: "Sorelle mie! Sorelle mie!..."» Lucrezia piangeva anch'ella, adesso; Chiara disse tra i singhiozzi: «Io vado alla badìa...» «Vostra Eccellenza farà un'opera santa... Anche la Madre Badessa piangeva: "Povera principessa!... Degna serva di Dio!"» La cugina s'offerse d'accompagnarla; ma poi, visto che la principessa non sapeva dove dar del capo: «Resto piuttosto ad aiutar Margherita,» disse a Chiara; e questa s'alzò, mentre le raccomandavano: «Baciala per me... e per me... Dille che domani andrò a trovarla...» E don Giacinto chiamava: «Marchese, marchese!... accompagnate vostra moglie...» In mezzo alla confusione, mentre la marchesa andava via col marito, spuntò finalmente don Blasco, col faccione sudato che luceva e il tricorno in capo. Entrò senza salutar nessuno, esclamando: «L'avevo detto, eh?... Doveva finire così!...» Non gli risposero. Il Priore, anzi, chinò gli occhi a terra quasi cercando qualcosa; donna Ferdinanda, per suo conto, pareva non essersi neppure accorta dell'arrivo del fratello. Il monaco si mise a passeggiare da un capo all'altro della sala, asciugandosi il sudore del collo e continuando a parlar solo: «Che testa!... Che testa!... Fino all'ultimo!... Andare a crepare in mano di quell'imbroglione!... Io l'avevo profetato, ah?... Dov'è?... Non è venuto?... È lui il padrone, qui dentro!» Poiché nessuno fiatava, la cugina credé d'osservare: «Zio, in questo momento...» «Che vuol dire, in questo momento?...» rispose il monaco, piccato. «È morta, Dio l'abbia in gloria!... Ma che s'ha da dire? Che ha fatto una gran cosa?... E Giacomo?... È andato?... È andato solo?... Perché non va nessun altro?... Ha proibito agli altri di andare?...» «No, Eccellenza...» rispose timidamente la principessa. «È partito appena saputa la notizia.» «Io volevo accompagnarlo...» disse Lucrezia; ma allora il Benedettino saltò su: «Tu? Per far che cosa? Sempre voialtre femmine tra i piedi? Vi pare che sappiate sole aggiustare il mondo?... Dov'è Ferdinando?... Non è venuto ancora?» Sopravvenivano in quel momento il cavaliere don Eugenio e don Cono Canalà, altro dei lavapiatti. Don Cono entrò in punta di piedi, quasi per paura di schiacciar qualcosa, e fermatosi dinanzi alla principessa esclamò, gestendo col braccio: «Immensa iattura!... Catastrofe immensurabile!... La parola spira sul labbro...» mentre il cavaliere leggeva il biglietto del signor Marco. Frattanto don Blasco, girando come un trottolone, soffermavasi dinanzi agli usci, guardava in fondo alla sfilata delle stanze, pareva fiutasse l'aria, borbottava: «Che fretta!... Che affezione!...» ed altre parole incomprensibili. Nel crocchio dei parenti, ciascuno adesso diceva la sua: il Priore, a bassa voce, accanto alla duchessa ed alla zia Ferdinanda, parlava della «dolorosa ostinazione» della madre; ma tratto tratto, quasi pavido di far male discutendo anche rispettosamente la volontà della morta, s'interrompeva, chinava il capo; la cugina era inquieta per la mancanza di notizie dal Belvedere: «Giacomo avrebbe potuto mandar qualcuno!...» Per questo don Eugenio offrivasi di salir lassù, se gli facevano attaccare una carrozza; ma allora la principessa, imbarazzata, confusa, non sapendo che fare, osservò all'orecchio della cugina: «Non so... forse può dispiacere a Giacomo...» E donna Graziella intervenne: «Aspettiamo un altro poco; forse il cugino tornerà egli stesso.» Il Priore e la duchessa tornarono a domandare: «Ferdinando? Non viene più?» I lavapiatti corsero a interrogar Baldassarre; il maestro di casa rispose: «Non ho mandato nessuno dal cavaliere, perché il signor principe m'ha detto che passava lui a chiamarlo.» «Sarà andato anch'egli al Belvedere... Se no a quest'ora sarebbe qui.» Per arrivare dalla Pietra dell'Ovo ci voleva a ogni modo del tempo; tornò infatti prima dalla badìa la marchesa, alla quale la sorella monaca aveva consegnato un abitino della Madonna perché lo mettessero indosso alla morta. «Toccante tratto di pietà filiale!» sussurrò don Cono a don Eugenio. Nessun altro parlava, in quei momenti di commozione; solamente la cugina, asciugandosi gli occhi rossi, propose all'orecchio della principessa: «Io vorrei profittare di questo momento per indurre lo zio Blasco a far pace con la zia Ferdinanda e con Lodovico. Che ne dici, Margherita?» «Come credi... se credi... fa' tu...» E la cugina andò in cerca del monaco. Non si trovava, era scomparso. Baldassarre, incaricato di rintracciarlo, lo scoperse in fondo alla casa, dinanzi all'uscio serrato che metteva nelle stanze della morta. Udendo rumor di passi, il monaco si voltò di botto: «Chi è là?» «Aspettano Vostra Paternità nella Sala Gialla.» Il Benedettino tornò indietro, soffiando, e come la cugina, andandogli incontro con aria di mistero: «Eccellenza,» gli disse, «venga ad abbracciare sua sorella... Lodovico le bacerà la mano...» egli le voltò le spalle, esclamando forte, in modo che lo udirono sino nella corte: «Non facciamo pulcinellate.» Donna Graziella si strinse nelle spalle, con un gesto di rassegnazione dolente. E il monaco, scorto il marchese che era tornato con la moglie dalla badìa, l'andò ad afferrare per un braccio e lo trascinò nella Galleria dei ritratti: «Che stai a far qui?... Perché non parti?... Quell'altro è scappato...» «Per far che cosa, Eccellenza?» «E sarai sempre minchione?... Quell'altro è scappato! A quest'ora fa scomparire ogni cosa!...» «Eccellenza!...» protestò il nipote, scandalizzato. Don Blasco lo guardò nel bianco degli occhi, quasi volesse mangiarselo. Ma, come passava in fretta e in furia Baldassarre, girò sui tacchi, tonando: «Ah, no? E andate un poco a farvi friggere, tutti quanti!...» Finito di dar ordini alla servitù, Baldassarre aveva adesso un altro gran da fare, poiché cominciavano a venire ambasciate dei parenti più lontani, degli amici, dei conoscenti che mandavano ad esprimere le loro condoglianze e a prender notizie dei superstiti. Il maestro di casa riceveva nell'anticamera dell'amministrazione le persone di riguardo, lasciando al portinaio i servitori; ma parecchi fra questi portavano i regali funebri: vassoi pieni di dolci, di forme di marmellata o di cioccolata, di frutta candite, di pan di Spagna, di bottiglie di moscato o di rosolio, e allora Baldassarre si faceva in quattro per riporre quella roba, e annunziare i doni ai padroni, e ringraziare i donatori, e dare udienza ai sopravvenienti. La cugina Graziella, con le chiavi delle credenze alla cintola, faceva da padrona di casa, per risparmiare la principessa; il cavaliere don Eugenio dava anch'egli una mano, e quantunque i lavapiatti che lavoravano come domestici protestassero: «Lasciate fare a noi», egli vuotava i vassoi da restituire, trasportava la roba nella sala da pranzo e tratto tratto si ficcava in tasca una manata di dolci. Per la duchessa Radalì che era andata via, non potendo lasciare a lungo il marito solo, dieci altre visite erano sopravvenute: il barone Vita, il principe di Roccasciano, i Giliforte, i Grazzeri, don Carlo Carvano, marito della cugina. Secondo che la giornata s'inoltrava, lettere e biglietti di condoglianza piovevano da tutte le parti: l'Intendente mandava a esprimere il suo dolore per il lutto d'una famiglia devota al Re ed alla buona causa; Monsignor Vescovo associavasi al dolore dei suoi cari figli; dall'Orfanotrofio Uzeda, dall'Ospizio dei Vecchi, dagli altri istituti di beneficenza che i Francalanza avevano fondato o sussidiato, venivano i rettori, i cappellani, una quantità di tonache nere, oppure i poveri ospitati; ma questi non eran lasciati salire ed esprimevano il loro rammarico al portinaio o al sotto-cocchiere. Il comandante della guarnigione, il presidente della Gran Corte, tutte le autorità, tutta la città si condoleva con la famiglia. Gruppi di mendicanti aspettavano, con la speranza che avrebbero distribuito elemosine; molte persone domandavano con insistenza del signor Marco: udendo che ancora non era sceso dal Belvedere, alcuni andavano via per tornare più tardi; altri si mettevano a passeggiare su e giù dinanzi alla casa, aspettando d'acchiapparlo al varco, pazientemente. I due cortili parevano una fiera, dalle tante carrozze allineate all'ombra: i cavalli, con le teste dentro le coffe, ruminavano raspando tratto tratto il selciato con l'unghia. Ad uno ad uno, poiché imbruniva, arrivavano i servitori dei parenti, aspettando i padroni; e la conversazione della servitù, animatissima, aggiravasi intorno all'avvenimento ed alle sue conseguenze. Le donne, vedendo quella gran confusione, quell'andirivieni di gente, quel succedersi d'ambasciate e di lettere, compiangevano vivamente la principessa nuora: «Povera signora! A quest'ora dev'essere sulle spine!...» Infatti, ella soffriva d'una specie di malattia nervosa per la quale non tollerava di star pigiata tra la gente, di toccar cose maneggiate da altri: fortunatamente la cugina era lì ad aiutarla. E alcuni facevano riflessioni filosofiche: «Se invece d'oggi la madre del principe fosse morta sei anni addietro, la cugina, adesso, invece di aiutar la padrona, sarebbe lei la padrona qui dentro.» Non era stato permesso dalla principessa vecchia, quel matrimonio, e il padrone aveva obbedito alla madre, sposando donna Margherita Grazzeri; però, bisognava dire la verità, la cugina s'era diportata benissimo: maritata col cavaliere Carvano, era rimasta affezionatissima alla zia che non l'aveva voluta per nuora, e aveva trattato come una vera sorella la moglie dell'antico suo innamorato. «E il principe? Forse che pare si rammenti d'averle voluto bene in un certo modo?...» Per tanto, molti lodavano l'opera della morta: ella aveva ben fatto ad opporsi a quel matrimonio, poiché i due antichi innamorati s'eran messo il cuore in pace. «Gran donna, la principessa! Basti dire che rifece la casa già fallita!» E tutti domandavano: «A chi lascerà?...» Ma come saperne nulla se non si era confidata mai con nessuno, neppure coi figli?... «Se ci fosse stato il contino Raimondo, però!...» Allora i partigiani del principe, senza tanti riguardi: «La roba dovrebbe andare al padrone, se quella pazza non ne avrà fatta un'altra delle sue!...» Infatti non aveva potuto soffrire il primogenito, prediligendo il contino Raimondo; e il contino, quantunque chiamato e richiamato dalla madre che sentiva vicina la propria fine, non s'era mosso da Firenze!... All'arrivo di fra' Carmelo, spedito dall'Abate di San Nicola per aver notizie di don Lodovico e di don Blasco, il discorso prese un'altra piega. Fra' Carmelo sapeva la via del palazzo dalle tante volte che ci aveva accompagnato don Lodovico novizio; e tutta la servitù lo conosceva e gli voleva bene, tant'era buono, con quel suo faccione che pareva scoppiare, grasso fin sulla nuca. «Povera principessa!... Che gran disgrazia!» Egli lodava la morta e rammentava i tempi del noviziato di Padre Lodovico, quando, conducendo a casa il ragazzo in permesso, le portava regalucci di frutta che la buona signora degnavasi di accettare. «Alla mano con tutti!... Affezionata con tutti!... Povero Padre Lodovico! Deve aver pianto!» Le donne esclamarono: «Figuriamoci! Un santo come lui!...» E fra' Carmelo: «Un vero santo! Non c'è monaci che gli possano stare a paragone. Non per nulla l'han fatto Priore a trent'anni!» «Suo zio don Blasco non gli somiglia?...» disse improvvisamente il cocchiere maggiore, con una strizzatina d'occhi. «È un'altra cosa. Tutti gli uomini possono esser formati a un modo?... Ma bravo anche lui!... Signore anche lui!...» E giusto il discorso era a quel punto, quando un lontano rumore di carrozza con le sonagliere fece tacer tutti. Giuseppe, guardando dallo sportello, spalancò il portone: il carrozzino della mattina entrò a rotta di collo e ne scesero il principe e il signor Marco che teneva una valigia in mano, mentre tutti si scoprivano e dalla loggia del piano nobile affacciavasi don Blasco.
Lettura gratuita per i nuovi utenti
Scansiona per scaricare l'app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Scrittore
  • chap_listIndice
  • likeAGGIUNGI