Capitolo 2

1614 Parole
Capitolo Due L’accento, in realtà, è russo: tutti sanno quel poco del nostro CEO solitario. Inoltre, il suo luogo di nascita potrebbe essere il motivo per cui si è rivolto a me in modo così formale; ho letto che, in Russia, spesso usano il plurale voi e il patronimico, sia come segno di rispetto, sia per distinguere gli amici intimi dagli sconosciuti. Ms. Pack è un discreto equivalente inglese, tranne che mi fa sembrare la signora Pac-Man: rotonda e affamata di ciambelle. E, detto tra noi: quel gioco non avrebbe dovuto chiamarsi Pac-Woman, o Signora Pac? Ripensandoci, grazie al cielo non si chiamava Signora Pac; sarebbe stato troppo simile al mio nome (e venivo già presa in giro a sufficienza per il fatto di chiamarmi Fanny Pack, che in inglese significa “marsupio”). Poi, il sangue abbandona il mio viso. Lui potrebbe aver sentito la mia conversazione con Ava. Qual era l’ultima cosa che… Mi rendo conto che, all’improvviso, incombe su di me, con la mano tesa, come Nosferatu. Deve aver usato la velocità soprannaturale da vampiro per saltare fuori da dietro la scrivania e fiondarsi verso di me, prima che il mio cervello potesse elaborare la cosa. Merda! Da quanto tempo me ne sto qui, impalata, ignorando quella mano? E come diavolo è successo? Com’è possibile che Vlad l’Impalatore sia Mr. Schianto Tenebroso? Tutte le voci su quest’uomo hanno tralasciato un dettaglio fondamentale: quanto sia straordinariamente attraente. “Vi sentite bene?” mi chiede l’Impalatore, con accento più marcato. Uh, adesso lo sto fissando. E sto ancora ignorando la sua mano. Chiamando a raccolta il mio coraggio, protendo il braccio e afferro il suo palmo di gran lunga più grande del mio. Santi estrogeni! Il mio battito cardiaco accelera, e una scossa di energia orgasmica si diffonde in tutto il mio corpo, fulminando un nido di farfalle arrabbiate nel mio stomaco, prima di stabilirsi da qualche parte in basso nel mio ventre. Per quante ore è socialmente appropriato stringere una mano in questo modo? Con riluttanza, stacco le dita dalle sue. Lui mi guarda dall’alto, con espressione completamente illeggibile. O è un eccezionale giocatore di poker, o questa stretta di mano non gli ha fatto alcun effetto. “Accomodatevi.” Indica la sedia di fronte alla sua scrivania e, quando mi siedo, lui è già nella sua. Si tratta di una Embody di Herman Miller, la stessa sedia che ho a casa, solo che la mia è blu, mentre la sua è nera. Abbassa il volume della musica con un piccolo telecomando. “Avete un’ottima reputazione alla Binary Birch, signorina Pack.” Davvero? Questa è una novità. Anche se fosse vero, lui come fa a saperlo? Non oso chiederglielo, perché potrebbe essere una mossa suicida, quanto replicare dicendogli che la sua reputazione non è altrettanto stellare. “Grazie” farfuglio, prima che il silenzio si addentri in un territorio scomodo. “Adoro lavorare qui.” E per adoro, intendo tollero. Ma che cos’è una piccola bugia innocente tra un mostro e la sua preda? Lui mi fissa, e io mi sento come se potessi annegare nelle profondità lapislazzuli dei suoi occhi. “Il progetto che vi sto affidando è estremamente importante.” Scuoto la testa su e giù così vigorosamente, che quasi mi viene un colpo di frusta. “Il cliente, la Belka, avrà l’occasione di fare una dimostrazione del prodotto finale ai redattori della rivista Cosmopolitan tra due settimane.” Mi scruta come per verificare che io sappia cos’è Cosmo, perciò arrossisco e annuisco, per ogni evenienza. “Questa è una grande opportunità.” Le sue sopracciglia scure si aggrottano leggermente, quando conclude con: “Non possiamo deludere la Belka.” “Sì, signore.” Gli faccio il saluto militare. Un momento, cosa? Perché l’ho fatto? Non c’è traccia di divertimento sul suo viso. Dev’essere abituato a questi gesti, fin da quando ha partecipato alle guerre napoleoniche e chissà cos’altro. Unisce la punta delle dita. “Sono sicuro che abbiate in mente il piano di testing più accurato.” In realtà, al momento, ho in mente il desiderio di succhiare quelle lunghe dita maschili, ma lo tengo per me. “Spero che mi permetterete di arricchire il vostro piano con alcuni casi di test supplementari, che potrebbero già sovrapporsi ai vostri.” Apre un cassetto della scrivania e tira fuori un paio di fogli di carta graffettati. Solo ora mi rendo conto che, in pratica, mi sta dicendo come fare il mio lavoro (che sarebbe come se io insegnassi a lui a bere il sangue nel modo giusto). Maniaco del controllo? Quando prendo i fogli, le nostre dita si sfiorano per un secondo, mandando un’altra dozzina di joule di elettricità nelle mie parti intime. Arrossendo, do un’occhiata a quello che ho in mano. Mmm. Carta rosa. Un vago sentore di profumo. Un grazioso corsivo, con i cuoricini a punteggiare le “i” occasionali. Deve averglielo redatto una donna, ma non Sandra (il cui profumo ricorda più che altro il cavolo bollito). Inoltre, Sandra è ossessionata dalla comunicazione elettronica, a giudicare da tutta la costante propaganda di “Salva un albero” nella firma delle sue email. La fitta di gelosia che provo improvvisamente è tanto inopportuna quanto folle. Per evitare di soffermarmici, sfoglio il contenuto delle pagine (e, mentre lo faccio, sento la vampata di calore estendersi alle orecchie e al petto, facendoli diventare rosso peperone). Ci sono voci come: “è stato raggiunto l’orgasmo?” e “quante volte?” Ho già annoverato la prima domanda nel mio piano di test, ma non la seconda (il che, ovviamente, non è la fonte del mio scombussolamento). È solo che leggere la parola orgasmo in sua presenza sembra sbagliato. E sconcio. E, in un certo senso, sexy, tutto nello stesso tempo. È meglio che io esca da qui con quello che resta della mia dignità. “Mi assicurerò di, ehm… utilizzare questi” dico, facendomi aria con i fogli, “nei miei test.” Lui allunga la mano sotto la scrivania, tira fuori qualcosa e lo piazza sul tavolo tra di noi. Resto a bocca aperta. Tecnicamente, è una valigetta, ma solo nella misura in cui una palla da discoteca è una sfera. È ricoperta di frivoli pois e ingioiellata con talmente tante pietre di colori diversi, da far pensare che un unicorno che scoreggia arcobaleni ci abbia eiaculato sopra. Guardando più da vicino, mi accorgo che molti dei disegni non sono pois, ma minuscoli peni e vagine multicolori, che qualcuno ha accuratamente disegnato a mano. Almeno, spero che sia stato fatto a mano. Le mie guance oltrepassano i confini del rosso dello spettro visibile, irradiando tanti infrarossi quanto una fiamma ossidrica. Fastidiosamente, il volto di Vlad mostra solo la professionalità neutrale che ha dimostrato durante l’intero incontro. Forse, è uno dei vampiri di Anne Rice: quelli più vecchi, col passare del tempo, diventano come fatti di pietra. “L’hardware è all’interno” mi dice. Mi sfugge un ibrido tra un singhiozzo e una risatina. Ha appena definito una collezione di dildo hardware, e probabilmente non per scherzo. “Ricevuto.” Balzo in piedi e sto per afferrare la valigetta, proprio mentre lui la fa scivolare in avanti. Le nostre dita si sfiorano, generando una quantità di quella scossa elettrica, sufficiente ad alimentare i s*x toys per una settimana. Deglutisco e tiro giù la valigetta dalla scrivania. È pesante. Deve contenere più di qualche dildo, e chissà cos’altro. Spero che la v****a di Dominika riesca a gestire il tutto. Per non parlare del fatto che spedire questo “hardware” nella Repubblica Ceca costerà una piccola fortuna. Spero vivamente che nessuno all’ufficio della DHL mi domandi che cosa c’è dentro. A dirla tutta, prego anche che nessuno qui in ufficio mi chieda: “Che cosa c’è nella valigetta?” mentre mi fiondo verso l’ascensore. “È stato un piacere conoscerla” dico a Vlad, e mi preparo a scattare. “Ci vediamo alla riunione mensile tra cinque minuti?” mi chiede. Per poco non faccio cadere il bagaglio decorato con i genitali. In teoria, tutti dovrebbero partecipare alla riunione mensile. Il suo scopo è che ci formiamo un’idea di quello a cui sta lavorando il resto della Binary Birch, troviamo opportunità di sinergia, e altri blablabla di gergo aziendale. In pratica, siccome lavoro da casa, di solito mi collego a questa riunione dal cellulare, poi tolgo prontamente il volume per la maggior parte del tempo, mentre svolgo il mio vero lavoro di testing. Una cosa la so: l’Impalatore è famoso per non partecipare mai di persona a questi incontri (e lui non ha la scusa del lavoro da casa). Si limita a connettersi senza mai dire una parola, anche se certe persone sostengono di ricevere sue email a proposito di alcuni argomenti discussi durante la riunione, lasciando intendere che ascolti davvero (ecco perché tutti si comportano sempre al meglio, durante l’incontro). Eppure, mi ha detto “ci vediamo”, non “ci sentiamo”; quindi, la tradizione sta per essere spezzata per qualche motivo. Naturalmente, ora sono costretta a partecipare alla riunione. Con questa valigetta. Sparatemi adesso! “Affermativo” rispondo tardivamente, combattendo un altro impulso di fargli il saluto militare. “A tra poco.” In modo poco elegante, mi giro e mi dirigo verso la porta, impaziente di fuggire da quel covo e dal suo vampiresco occupante. La sua voce mi ferma, mentre afferro la maniglia della porta. “A proposito, signorina Pack…” dice alle mie spalle (e, per la prima volta, percepisco un accenno di emozione nel suo tono). “Dovreste sapere una cosa. Non impalo le mie dipendenti.”
Lettura gratuita per i nuovi utenti
Scansiona per scaricare l'app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Scrittore
  • chap_listIndice
  • likeAGGIUNGI