CAPITOLO QUATTRO

2160 Parole
CAPITOLO QUATTRO Sogna come se dovessi vivere per sempre, vivi come se dovessi morire domani. James Dean Ridacchiando, correva a piedi nudi per la casa per sfuggire al suo inseguitore. «Papà!» gridò, girando dietro un angolo. La sua luce brillava come una stella. «Controllala, Zeno! O ti farò il solletico finché non ci vedrai più!» disse lui ridendo e correndole dietro. Il vestitino le fluttuava intorno alle caviglie mentre fuggiva verso uno dei servitori, che le sorrise portando il dito sulle labbra. Si intrufolò nel magazzino delle farine e dei tessuti, si nascose dietro il grande cesto di vimini delle sementi e si accucciò più che poteva, cercando di far sparire la sua luce nella stanza buia. Quando non rimase altro che il bagliore degli occhi, li chiuse e rimase in attesa. Non sentiva arrivare il suo papà e stava quasi per correre fuori dal nascondiglio gridando vittoria, quando delle forti braccia la afferrarono e la tirarono su. La sua luce esplose di nuovo, mentre lui la soffocava di baci e solletico ai fianchi e lei squittiva tra le sue braccia. «Non è giusto, papà! Ci sono riuscita, ci sono riuscita!» ridacchiava. Sua madre portò una mano alla bocca per nascondere un sorriso. «Sei stata brava, amelserru. Molto brava», la lodò, abbracciandola forte. Lei gli mise le piccole braccia intorno al collo e lui la avvolse con le sue ali. «È il momento di sognare, piccola. Mi prometti che condividerai sempre i sogni con il tuo papà?» «Sì, papà, sempre.» Sbadigliò e chiuse gli occhi, il tepore delle braccia e delle ali che la avvolgevano improvvisamente la fecero sentire molto assonnata. Già in volo nei cieli, a malapena percepiva i rumori che animavano la casa. * * * Oceano Atlantico - L’Isola degli Immortali Quando aprì gli occhi, la luce del sole filtrava attraverso una porta a vetri che conduceva su un balcone. La notte precedente, quando lui aveva acceso le candele, non l’aveva notata. Era grata di non avere più quella forte emicrania. I sogni in cui stava con l’Angelo erano così reali, così come l’affetto che provava per lui. Davvero si chiamava Zenobia? Era tutto molto confuso, eppure percepiva la preoccupazione e l’amore di quella creatura, soprattutto nei sogni. Ma si svolgevano in un passato antico e lei sapeva di non appartenere a quell’epoca. Forse si era reincarnata? Possibile? Sentì di nuovo una fitta alla testa e decise di non rimuginare più e di concentrarsi sul presente. Le braci nel camino si erano spente, ma le ceneri continuavano a emanare calore. Si mise seduta e scostò la coperta. Indossava ancora l’abito bianco drappeggiato su una spalla che le arrivava fino alle caviglie. Sulla spalla aveva un fermaglio di bronzo a forma di stella, due triangoli perfettamente sovrapposti formavano le punte. Le ricordò la simmetria delle piastrelle nel grande salone. L’aria fredda le pizzicava la pelle e le fece notare la vestaglia ai piedi del letto. Dopo averla infilata, si avvicinò alla porta del balcone e la aprì. Fuori, l’aria era fredda, ma non stava nevicando come la notte precedente. Si strinse nella vestaglia e desiderò che i suoi piedi non fossero nudi, e improvvisamente si ritrovò a indossare delle pantofole in seta foderate di pelliccia. Rimase a bocca aperta. Stava ancora sognando? D’ora in poi, come avrebbe fatto a distinguere realtà e immaginazione? In ogni caso, ancora più sconvolgente delle pantofole, era la vista che le si apriva davanti. Si trovava a migliaia di metri di altezza e una catena di montagne ghiacciate si estendeva fin dove arrivava lo sguardo. Sotto, un paradiso. Prati verdi, fiori di cui non conosceva il nome, un lago che brillava come un diamante sotto il sole, e piccole costruzioni che la incuriosivano molto erano disseminate nella valle. Non ne era certa, ma non le sembrava di aver mai visto un posto tanto bello. All’orizzonte si intravedeva il blu del mare. Un suono soffocato la richiamò dai suoi pensieri. Domandandosi da dove provenisse, si affacciò oltre la ringhiera di pietra decorata con gemme preziose e osservò il mondo sotto di lei. Zaqar era in ginocchio, le mani giunte. Davanti a un tempio, o a un santuario, parlava con se stesso e le lacrime gli rigavano il viso. Le si spezzò il cuore. Non sapeva se lui le avesse detto la verità, ma ogni sogno che faceva la avvicinava sempre più a quella creatura. Le parole che lui pronunciava giunsero fino alle sue orecchie. «Myrrine, amore mio, lei è a casa. E presto ci raggiungerai anche tu. Sapevo che Dio non mi avrebbe lasciato soffrire in eterno. Saremo di nuovo una famiglia e dimenticheremo il passato.» Zaqar si alzò e il suo viso tornò impassibile, senza più alcuna traccia di lacrime. «Timetrius, io ti invoco, come tuo fratello, sangue del tuo sangue. E tu mi risponderai!» Una figura comparve dal nulla, lasciandola a bocca aperta. Una donna vestita in modo casual, che indossava pantaloni marrone chiaro con una grossa cintura e un top bianco senza maniche. Sembrava uscita da un catalogo di viaggi tropicali. Era piena di gioielli d’oro e i folti capelli scuri erano avvolti in un drappo di seta bianca. La pelle di Zaqar era chiarissima, mentre questa donna aveva un colorito abbronzato. Da quello che riusciva a vedere, il viso era privo di imperfezioni e non sembrava troppo contenta di quella chiamata. La donna incrociò le braccia al petto e fissò Zaqar. A quel punto si sporse un po’ troppo in avanti per vedere meglio e perse l’equilibrio. Emise un urlo mentre le pantofole di seta scivolavano sulla pietra. Una sferzata d’aria gelida le fece chiudere gli occhi. Ma, prima che colpisse il terreno, delle braccia forti – le stesse del sogno – la trassero in salvo. Con il cuore in gola, aprì gli occhi e vide Zaqar che muoveva piano le ali. Il suo volto era inespressivo, ma gli occhi cerchiati di rosso rivelavano che aveva pianto. La mise giù accanto alla donna dagli occhi dorati e quella si limitò a sollevare le sopracciglia. «Zenobia, tu non hai ali come il tuo papà; non ancora. Presto anche il mio prezioso angelo avrà le sue ali, ma fino ad allora non provare a volare, amelserru. Zenobia, ti prego saluta Timetrius, mia sorella.» Lei poggiò a terra le gambe tremanti e guardò la donna. «Ehm…salve, Timetrius.» Guardandoli pensò che di sicuro non potevano essere parenti, ma non osò contraddire un Angelo e una donna bella quasi da far male. Il suo potere era così forte che si intravedeva sotto quella meravigliosa pelle scura. «Zaqar, questa non è…» «Silenzio! Non proseguire la frase se tieni alla tua vita. Lei è Zenobia…e ho bisogno che tu la aiuti. Ovviamente è troppo fragile nel suo stato attuale.» Fragile? Io non sono fragile. Non so chi sono, ma non penso di essere fragile! «È una Mortale, fratello. Non posso fare nulla.» «Oh, sì che puoi. Dopo che la mia discendenza è stata spazzata via, ho dormito a lungo, Timetrius. Avrei continuato a dormire fino alla fine dei giorni se lei non mi avesse chiamato. Ma lo ha fatto. Durante il mio lungo sonno, ho viaggiato e ho imparato molte cose. Toccala e poi dimmi se è soltanto una Mortale.» Timetrius piegò la testa da un lato in modo curioso, poi rivolse verso di lei gli occhi dorati. «Sono un Utu, non un Dio, Zaqar. I miei poteri sono limitati. Ma ti accontenterò, la toccherò.» Timetrius fece un passo avanti e con una mano sfiorò i capelli biondi di Zenobia. Le posò un dito sulla fronte e le altre sulla testa, infine chiuse gli occhi dorati. «No… non può essere. I Cacciatori si vantavano di averle uccise in ogni continente. Non è possibile…» Zaqar la interruppe ringhiando. «Sì, so dei Cacciatori che hanno cercato di sterminare la mia discendenza, li ho visti. Ma ci sono due sette. Una è al servizio della Luce, l’altra dell’Oscurità. Distruggerò i servitori degli Dei Oscuri, e la morte di coloro che hanno fatto del male alle mie bambine e alla mia Predestinata sarà molto, molto dolorosa. Ma non ti ho visto tra loro, Timetrius; per questo ti ho chiamata. Perché non hai preso parte alla vendetta?» «Perché ho visto quanta distruzione comporta. Vivo tranquilla e felice con la mia famiglia, Zaqar, e desidero continuare a farlo. Non so in che modo potrei aiutare questa Mortale, anche se tra voi c’è un legame di sangue.» «Io non posso farlo, perché ho ucciso degli innocenti e sono dannato. Ma tu non lo sei, Timetrius. Tu compirai un rituale e lei vivrà per sempre: l’ho visto fare nei miei sogni. I nostri falsi Dei, quelli con cui ci hanno ingannato quando eravamo bambini, sono solo menzogne. Abbiamo sempre avuto poteri illimitati, o quasi, ma non lo sapevamo. Non conoscevamo le leggi, ma ho dovuto pagare per averle infrante. Adesso non la perderò di nuovo, non dopo averla vista morire tante volte nel corso dei secoli, senza mai riuscire a trovarla prima di loro. Quando avrò riavuto indietro la mia Predestinata e le mie figlie, allora non ti cercherò più. Te lo giuro.» «Proprio di recente mi è giunta voce delle menzogne che ci hanno raccontato, e ancora non siamo in grado di capire la profondità dell’inganno. Per migliaia di anni abbiamo studiato le profezie del Grande Padre e della Grande Madre che gli Autentici ci hanno tramandato. Tu sapevi che erano menzogne già da allora? Ricordo cosa mi dicesti quel giorno, migliaia di anni fa. Le tue parole furono smettila di insegnare falsità ai bambini, cerca la verità o qualcosa di simile.» Aggrottò la fronte e continuò a parlare. «Anche la mia famiglia è stata sterminata dalla tua furia omicida, Zaqar, e noi non c’entriamo nulla con la morte delle tue donne. Non cercasti l’aiuto di un Utu qualsiasi, tu chiedesti a Inias che è una discendente di Za e non ti avrebbe potuto aiutare a prescindere. Ti servivano guaritori, non discendenti degli Angeli del Destino. Tutti noi ancora paghiamo per il suo rifiuto e ormai la tua anima è dannata. Perché mai dovrei aiutarti?» Per un attimo, Zenobia vide nei suoi occhi una profonda tristezza, forse anche pentimento. «Io sapevo, ma fui costretto a tacere. Provai a parlare con Inias, ma lei non volle ascoltarmi. La mia Predestinata stava morendo. Non avrei potuto portare nessuno senza allertare le guardie e rischiare la morte della mia famiglia. Inias non avrebbe dovuto far altro che portare un Utu nella nostra casa, ma lei non volle aiutare Myrrine. Se lo avesse fatto, avrei mostrato loro i sogni di mia figlia, e avrebbero constatato la purezza del suo sangue. Lei non era maledetta come ci avevano indotto a credere, le mie bambine erano entrambe benedette. Ma Myrrine era una Mortale, e non avrei potuto salvarla senza l’intervento di un Utu.» Per un attimo rivolse altrove lo sguardo e un lampo rosso balenò nei suoi occhi. «Mi dispiace per la tua famiglia, Timetrius; mi dispiace per tutto il sangue innocente che ho versato quel giorno e sconterò la mia pena per l’eternità. No, non sapevo tutto, ma conoscevo alcune verità, e non doveva finire in quel modo… per nessuno. Ti prego, Timetrius, adesso aiutami, perché tu puoi farlo. Mi devi la vita, ma il tuo debito sarà ripagato se farai ciò che ti chiedo.» Timetrius sospirò e scrollò le spalle con fare rassegnato. «Ti devo la vita, Zaqar, è vero. In quel tragico giorno mi hai permesso di continuare a respirare. Ma se ti aiutassi saremmo pari. Non sarei più in debito con te. Sei d’accordo? E cosa sai dei miei poteri che io ignoro?» «Sono d’accordo, ma mi devi due favori, non uno. So che tu hai il potere di impartire l’immortalità a mia figlia; a entrambe le mie figlie, quando troverò anche Zenovia. Se fossero delle semplici Mortali, non potresti. Ma loro discendono dal mio sangue; anche se diluito, nelle loro vene scorre il sangue degli Autentici. Quando troveremo Myrrine, mi presenterò davanti al Consiglio e porterò le mie suppliche. Ma alle mie figlie puoi fare facilmente questo dono.» Timetrius era sconvolta. «In che modo, Zaqar? Immortali si nasce, non si diventa.» Lui accennò un sorriso. «No, sorella, ancora menzogne. So come fare, l’ho visto nei mondi che ho visitato nei miei sogni. Anche i Mortali possono ricevere l’Immortalità, se il Consiglio è d’accordo. E, se discendono dal nostro sangue, attraverso l’unione con un Mortale, o se si trovano in uno dei piani del Paradiso, come quest’isola, l’intervento del Consiglio non è necessario. Io potrei tenere Zeno qui con me anche senza il tuo aiuto, e lei non morirebbe mai. Non vogliono che scopriamo di possedere tale potere e i Mortali devono servire solamente a nutrirci. Ci hanno fatto credere che fossero una fonte di cibo per quelli di noi che sono maledetti, Timetrius. Dimmi, tu hai amici mortali?» Timetrius spalancò gli occhi. «Sì, certo.» «Sono il tuo cibo?» Lei sbuffò. «No, Zaqar, io non sono maledetta, lo sai. Ma no, in ogni caso io non considero cibo i miei amici.» Zaqar accennò un sorriso e si girò verso di lei. Cosa? Immortalità? Morire un’infinità di volte? Dunque mi sono reincarnata? Esistono altri mondi? Mangiano le persone? L’aria che respirava si fece pesante e sentì la testa esploderle mentre cercava di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa l’aiutasse a fidarsi di quella creatura. Premette le dita sulle tempie per alleviare il dolore lancinante e una voce le tornò in mente. Mio amante. Il sangue che le uscì dal naso fu l’ultima cosa che vide prima di collassare sul pavimento tinto di rosso.
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