CAPITOLO SEI
L’amore è un’anima sola che dimora in due corpi.
Aristotele
Oceano Pacifico – Isola degli Immortali
Calò l’oscurità ma lei si sentiva al sicuro. Lui la avvolse con le braccia calde, avvicinò le labbra al suo viso, alla pelle sensibile della clavicola, al lobo dell’orecchio. La baciò e lei gemette aggrappandosi con forza ai ricci che gli scendevano sulla nuca. Lui era solo un’immagine sfocata, ma i gemiti che emetteva, mentre si faceva strada verso il suo seno, erano incredibilmente familiari.
Si lasciò travolgere da quel fuoco. Sentì il capezzolo inturgidirsi sotto la sua lingua e poi sparire nella sua bocca calda. Strinse con i denti. Ma non le fece male. Iniziò ad accarezzare i suoi muscoli tesi. Fu scossa da un fremito quando avvertì che stava per penetrarla. Gettò la testa all’indietro per vederlo nel buio, ma non era che un’ombra. Solo i suoi occhi brillavano, simili a argento fuso. Le loro labbra si incontrarono di nuovo e il piacere fu incontenibile. Si spinse dentro di lei gemendo nella sua bocca. Lo desiderava con ogni centimetro del suo corpo.
«Amore mio…» sussurrò lui spingendo.
Lei gli graffiò la schiena e sollevò i fianchi. E lasciò che le loro lingue danzassero insieme in perfetta sintonia con i loro corpi.
«Amore eterno…»
Madida di sudore, balzò a sedere sul letto e si guardò intorno. Un sogno, solo un sogno. La luce del sole illuminava ancora la stanza attraverso la grande porta finestra che dava sul terrazzo. Gli eventi dei giorni precedenti si riaffacciarono alla sua mente. Oddio, sono caduta dal balcone!
Ricordò la strana conversazione tra Zaqar e la donna e si ributtò sul letto con gli occhi chiusi. Era possibile svegliarsi da un sogno nel sogno? Era così confusa. E chi era l’uomo che aveva appena sognato? Ancora una volta sembrava un ricordo, come gli altri sogni che aveva fatto in quello strano castello. Il dolore dietro gli occhi si acuì di nuovo e lei smise subito di sforzarsi. Non voleva certo riprovare la peggiore emicrania della storia. Nemmeno le onde di piacere di Zaqar e l’Advil l’avevano fatta sparire del tutto.
Dalla porta si udì la sua voce. «Zeno?»
Lei aprì gli occhi e lo guardò. Dio, era bellissimo, e le ricordava la sua immagine nello specchio.
Zaqar sorrise e lei fece del suo meglio per ricambiare.
«Grazie per avermi presa, Zaqar», fu la prima cosa che le venne in mente di dire.
«Ma come hai fatto a cadere?» le chiese lui senza avvicinarsi. Si appoggiò allo stipite della porta e incrociò le braccia al petto.
«Non lo so. Mi sono sporta troppo in avanti e sono scivolata. Le pantofole sono apparse dal nulla perché avevo i piedi freddi. Come è potuto succedere? Questo posto è magico?»
Zaqar rispose con un sorriso luminoso che la fece sentire improvvisamente felice. Pensò che non sorrideva spesso ma era stato sempre gentile. Forse, se si fosse comportata abbastanza bene, le avrebbe restituito i suoi ricordi? Sapeva che non le avrebbe fatto del male.
«Questo è uno dei posti più magici mai creati sul tuo piano di esistenza, Zenobia. Moltissimi secoli fa era il Paradiso degli Autentici. La loro casa. Qui l’aria è densa di energia e i tuoi poteri fioriranno. Stavi sognando, vero?»
Lei arrossì e abbassò lo sguardo. «Sì, stavo sognando. Dov’è tua sorella Timetrius?» chiese, cercando immediatamente di cambiare discorso.
«Non è mai lontana. Tra qualche ora si unirà a noi per cena e allora riavrai i tuoi poteri. Vieni con me, arriveremo al lago e risponderò alle tue domande.»
Scese dal letto mentre lui si incamminava verso il balcone, la tunica bianca fluttuante e le ali che quasi sfioravano il pavimento. Ogni volta che lo guardava doveva celare lo stupore. Un Angelo… mio padre? Com’è possibile?
A piedi nudi lo seguì fino al balcone e ancora una volta rimase sbalordita dalla vastità del paesaggio.
Zaqar la prese tra le braccia come se fosse una bambina – questa volta senza proteste – e la sollevò in aria. Lei gli si aggrappò al collo, lasciando che il vento le accarezzasse il viso e il tepore del sole la riscaldasse, mentre l’Angelo prendeva il volo verso il lago. Avrebbe avuto le vertigini? Se fosse stata sua figlia, avrebbe dovuto possedere anche lei un paio di ali? Qualcosa in quel luogo magico le suggeriva strani pensieri e d’un tratto il mal di testa scomparve come i suoi ricordi. Mentre volavano, si appoggiò a lui e si sentì in pace. Le aveva detto che la stava proteggendo, che altrimenti i suoi ricordi l’avrebbero tormentata… se erano così terribili, forse era meglio non riaverli indietro. In fondo stare lì non era male.
Zaqar la guardò negli occhi. Il sole alle sue spalle lo faceva apparire grandioso e potente, un alone di luce gli circondava la testa e le ali. Toccarono il terreno e lui la mise giù di fronte al lago scintillante. Staccò da un albero uno strano frutto e glielo porse. «Mangia, Zeno, ti piacerà.»
Lei lo prese e osservò il suo strano colore, viola a puntini rossi. Quasi ci si poteva guardare attraverso. Lo sollevò alla luce del sole e riuscì a vedere delle venature rosse nella polpa trasparente. «Cos’è?» chiese, nonostante la fame.
«Molto tempo fa lo chiamavamo frutto del paradiso. Cresce soltanto qui, Zenobia, ed è il frutto più dolce del mondo. Assaggialo.» Sorridendo, ne staccò un altro dall’albero e lo morse.
Lei seguì il suo esempio e, non appena i denti affondarono nella buccia, il succo zuccherino le riempì la bocca, facendola gemere di piacere. Quell’esplosione dolce sconvolse le sue papille gustative e le sembrò di gustare il sapore del sole. Era certa di non aver mai assaggiato nulla di simile.
«Wow…» fu tutto quello che riuscì a dire.
La risata dell’Angelo la richiamò dai suoi sogni a occhi aperti. «Sì, è il frutto più divino che esista. Mangiane quanto desideri. Questo mondo è completamente a tua disposizione e puoi esplorarlo liberamente. Ma non saltare giù dai balconi finché Timetrius non ti avrà restituito i tuoi poteri.»
Era il suo primo tentativo di fare una battuta e lei avrebbe riso, se non fosse stato per l’ultima parte della frase. «Dunque non era un sogno. Cosa mi farà?»
Zaqar le prese la mano e si avvicinò alla riva del lago. Con il pollice asciugò il succo che le era scivolato lungo il mento. «Zenobia, ti ho perso tanto tempo fa. E pensavo che soffrire fino alla fine dei giorni fosse la mia punizione per aver vendicato tua madre.» Girò lo sguardo e lo fissò sul lago. «Tu mi hai chiamato, il tuo sangue mi ha chiamato. Mi hai chiamato perché ti proteggessi. Era troppo tardi per salvarti dalle sofferenze che hai patito, ma non era troppo tardi per salvarti la vita. Non questa volta. Ti devo mostrare molte cose. Posso restituirti i ricordi della tua e della mia vita?»
Lei socchiuse un po’ gli occhi. «C’è di più che nei miei sogni?»
«Oh sì, amelserru… molto di più. Ho bisogno del tuo perdono. Lo aspetto da così tanto tempo. Posso?»
Lei annuì, guardandolo negli occhi. «Farà male?»
«Non fisicamente.»
«Okay.» Ebbe un attimo di esitazione, ma voleva sapere. Per poter comprendere le sue intenzioni. E, forse, fare luce sulla propria vita.
«Sdraiati, bambina. Sarà molto… intenso.»
Si sedette strusciando a terra la tunica bianca e si sdraiò fino poggiare le spalle sull’erba calda. Il sole quasi la accecò, finché Zaqar non le fece ombra con il suo viso. Rimase a bocca aperta vedendo l’alone luminoso che lo circondava.
Lui sorrise e le sistemò dietro l’orecchio una ciocca di capelli ribelle. «Mi hai reso così orgoglioso, Zenobia. Vorrei tanto aver agito diversamente. Avresti avuto una vita migliore. Ma ora ho la possibilità di farmi perdonare per i miei errori. Chiudi gli occhi, Zeno.»
Con il cuore che le batteva forte nel petto, lei fece come ordinato. Sulla superficie dell’acqua iniziarono a susseguirsi le immagini. Per prima cosa apparve una sorgente dei tempi antichi, dove lei riconobbe la donna che nei suoi sogni chiamava mamma. Trascorsero i giorni e gli anni. Erano tempi felici e l’angelo che aveva davanti era così buono, così innamorato della sua compagna e di sua figlia Zenobia. Poi assistette al parto e alla tragedia. Ora non osservava i fatti dalla prospettiva di una bambina, come nei suoi sogni, ma attraverso gli occhi di lui. Vide la strage che aveva devastato l’isola e il mondo ghiacciato in cui Zaqar aveva vissuto dopo. E lo vide arrivare in ritardo ogni qualvolta la sua Predestinata e le sue figlie venivano uccise e la sua discendenza sterminata. Zenobia aveva avuto dei figli durante la sua vita, anche se non davvero suoi, ed erano stati tutti uccisi. Poi c’erano state le reincarnazioni. Non poté conoscere tutta la storia della propria vita, ma seppe abbastanza di lui. Il dolore esplose nel suo cuore, non riusciva a distinguere se per Zaqar o per se stessa. Sentì il tepore delle lacrime sul viso, mentre le scene continuavano a susseguirsi. Il suo confinamento volontario nella montagna ghiacciata dopo il massacro sull’isola, e i secoli di morte che erano seguiti. La sua solitudine e la sua ostinazione nel momento in cui lei lo aveva chiamato. L’ultima immagine fu l’angelo che attraversava i cieli alla sua ricerca.
A quel punto le staccò le mani dalle tempie e lei aprì gli occhi senza riuscire a parlare. Nella testa si affollavano centinaia di domande, ma non riuscì a formularne nemmeno una. Allora Zaqar le asciugò le lacrime e si sedette sull’erba accanto a lei tenendole la mano in silenzio.
«Dunque è questo ciò che sono… che ero tanto tempo fa.»
«La vita è molto più di quello che i Mortali possono comprendere, Zenobia. Sei mia figlia, sei sangue del mio sangue. Se non lo fossi, non avresti avuto quel nome né avresti potuto chiamarmi. Hai conosciuto le leggi come sono state scritte. Ti ho restituito tutto, nessun ricordo è stato alterato. Presto conoscerai il resto della tua vita mortale, ciò che è venuto dopo la tua infanzia.»
«E Timetrius era qui sull’isola. Perché non ti odia per ciò che hai fatto?»
«Una parte di lei probabilmente ancora mi odia, Zeno. Ma Timetrius è vecchia quanto me. È difficile mantenere vivo l’odio attraverso i millenni. Io stesso non smetterò mai di odiarmi per il male che ho compiuto. Inias meritava di morire per essersi rifiutata di portare un Utu. Ma non tutti gli altri.»
La tristezza oscurò i suoi occhi celesti. Lei guardò le ali ed ebbe timore di fare domande, poi la curiosità prese il sopravvento. «E le ali? Perché le usi se non ne hai bisogno?»
«Sì, che mi servono!» gridò Zaqar con un lampo d’ira sul viso. «Erano parte della mia famiglia e adesso sono parte della mia maledizione. Mi appartengono quanto le mie braccia e le mie gambe. Non affronteremo più questo discorso.»
Okay. Non parleremo più delle tue bellissime ali, pensò, dispiaciuta che una cosa tanto bella potesse essere causa di angoscia.
«Zaqar? Tu non sei in pericolo? Coloro che hanno sterminato la tua discendenza sono ancora vivi? Sono anch’io in pericolo?»
Lui annuì. «Se scoprissero che sei nata, ti verrebbero a cercare. Ma li ucciderò prima. Comunque non avrebbero il coraggio di venire fin qui a prenderti. Sanno che innaffierei il Paradiso con il loro sangue. Stai tranquilla, Zeno, con me sei al sicuro. Ucciderò chi non vuole lasciarsi alle spalle il passato. Conosco i responsabili, li ho visti nei miei sogni. Pagheranno per il dolore e la sofferenza che hanno causato. Presto, angelo mio, sarà tutto risolto. E tu sarai più forte, Zenobia, una volta che Timetrius avrà fatto ciò che mi ha promesso.»
«Ma quando finirà tutto questo, Zaqar? Hai sofferto così tanto. Non è possibile accordare una tregua?»
Zaqar scoppiò a ridere e la guardò con durezza. «Una tregua? No, bambina mia, l’unica strada è uccidere. I Cacciatori ti vogliono morta, quindi dovrò abbatterli per primo. Non c’è altro modo per conquistare la pace dopo una guerra così lunga.»
Non ebbe coraggio di fare altre domande. Zaqar non prendeva in considerazione tutto ciò che a lei sembrava logico. Gli Angeli erano estremamente diversi da come li aveva sempre immaginati, e di certo serbavano molto rancore.
«Quanti anni hai, Zaqar?»
Fece una pausa, lo sguardo rivolto lontano. «Non lo so con esattezza. Più di duemila, ma meno di tremila, se consideriamo gli anni dei Mortali, credo… non ne sono sicuro. Ho perso il conto dormendo così a lungo… sull’isola il tempo scorre in maniera molto differente e potrebbe essere anche molto di più.»
Lei aggrottò le sopracciglia nel tentativo di comprendere.
«E la tua anima, Zenobia, cercava di tornare da più di quindici secoli. Sei mia figlia e le tue vite mortali adesso non contano più, nessuna di esse. Ora so di essere maledetto, mentre alcuni di loro non lo sono, ma non i gemelli. E loro possono darti ciò che io avrei dovuto darti molto tempo fa. Il nostro mondo è stato fondato sulla menzogna e le nostre leggi non sono state tramandate da Dio.»
Si sentì sopraffatta da tutte quelle informazioni e dovette fermarsi un attimo a riflettere. «Zaqar?»
«Sì?»
«Se io accettassi di rimanere con te, mi restituiresti tutti i miei ricordi? Di tanto in tanto riaffiorano sotto forma di frammenti e mi fanno stare male. Non ti lascerò, te lo prometto.»
Lui le posò di nuovo le dita sulle tempie e un’onda di piacere l’attraversò. Improvvisamente si sentì così leggera e spensierata che dimenticò tutto ciò che stava dicendo.
«Stasera, amelserru, avrai tutti i poteri e i ricordi di cui hai bisogno. Sei la figlia di uno dei discendenti più nobili di questo mondo e stasera riacquisterai i tuoi diritti di nascita. Nient’altro ha importanza. Niente. Ricorderai la tua vita più importante. Ricorderai la Zenobia regina. La Zenobia mortale non conterà più nulla.»
Mentre sollevava una mano, per qualche ragione, pensò alle farfalle. Al modo in cui si svegliavano e venivano fuori dal bozzolo, al loro essere bruco prima di sviluppare le ali. Farfalle viola e gialle volarono via dalla sua mano e quella magia la fece sorridere. Si sentiva come una farfalla e forse il resto davvero non contava più. Si era addormentata e ora si sarebbe svegliata… e forse, come suo padre, anche lei avrebbe avuto le ali.
Sono Zenobia, figlia di Zaqar. Sono una regina su questa Terra.
Chiuse gli occhi e sentì i raggi del sole accarezzarle le spalle, una più nuda dell’altra.
Sorrise. Sì, è così che deve andare.