3Sogno a occhi aperti
Passarono tre giorni, dall’incontro con il consigliere del Re, quando i due fratelli Vindaci giunsero davanti alle mura interne del regno, che proteggevano il palazzo reale e le case dei nobili dividendole dalle abitazioni comuni. Arrivarono dunque di fronte al portone principale, sorvegliato dalle guardie reali; e, per poter accedere all’interno, dovettero mostrare ai gendarmi la convocazione da parte di Ein. Le guardie, una volta accertatesi dell’autenticità del documento, si apprestarono ad aprire il pesante portone, concedendo così la possibilità di varcare la soglia delle mura ai due fratelli.
Lasciata alle spalle l’entrata, si trovarono ad ammirare uno spettacolo inusuale, come se ci fosse un’altra città celata in quella che erano soliti vivere; un’altra realtà, completamente diversa da quella a cui erano abituati: le costruzioni non erano sorrette da palafitte ma erano costruite direttamente su terreno stabile, lo stesso su cui stavano posando i piedi in quel momento, e rimasero parecchio stupiti di constatare che era solido: non fangoso, imbevuto d’acqua e completamente paludoso come si erano ormai abituati a sopportare da quando erano nati, ma un’ampia distesa di erba, senza pozzanghere né arbusti o zone incolte. Sembrava un enorme tappeto verde punteggiato da qualche elegante abitazione qua e là, nulla a che vedere con il paesaggio del regno che erano abituati a vedere, caratterizzato da una moltitudine di case costruite su pali, intervallate da risaie e qualche bosco disposto attorno alle abitazioni, quasi a definire dei confini tra i vari villaggi. In lontananza, come fosse all’orizzonte di quell’incantevole paesaggio, si intravedeva il palazzo reale in tutta la sua magnificenza.
Il grande palazzo era ornato da quattro torri affusolate alle sue estremità, che ricordavano i gocciolanti castelli di sabbia dei bambini. Le torri erano coronate da cuspidi d’aspetto geometrico, rivestite di ceramiche dai colori vivaci, mentre molte sculture in marmo bianco adornavano le pareti che avevano, invece, una sfumatura rosacea, creando un meraviglioso gioco di colori.
I due fratelli rimasero estasiati da tanta bellezza, e la meraviglia era chiaramente leggibile nei loro volti. Entrambi tornarono con la mente ai racconti del loro nonno, quando, ancora bambini, li prendeva sulle sue ginocchia e raccontava loro bellissime storie di quando era giovane. La vista di quei paesaggi, fino a quel momento soltanto immaginati, ricordò loro alcuni dei luoghi in cui nonno Oleandro diceva di essere stato e dove aveva vissuto le splendide avventure che spesso raccontava.
Superato lo stupore, procedettero verso il palazzo. Giunti presso l’entrata, vi trovarono Ein in attesa di riceverli, e pronto a far da cicerone mentre li avrebbe accompagnati alla sala del trono, dove sarebbero stati ricevuti dal re.
Scambiati i convenevoli con il consigliere, i tre attraversarono il portone del palazzo ed entrarono nel giardino reale. Un giardino immenso e bellissimo; e la vista sarebbe stata ancora migliore, se avessero potuto apprezzarla dall’alto, poiché chi l’aveva concepito gli aveva dato la forma di una stella a otto punte.
Al centro del giardino, si trovava una fontana in marmo bianco tutta tempestata di pietre preziose, doni del Regno di Dolina, che, alla luce splendente di Saulè unita agli zampilli dell’acqua cristallina della fontana, creavano dei fantastici giochi di riverberi, colori, scintillii e baleni.
A decorare il giardino, c’era una moltitudine di cespugli verdi e fioriti; ognuno aveva una forma diversa: a volte rappresentavano degli animali, a volte delle figure umane. Il consigliere, vedendo i due fratelli estasiati, colse l’occasione per raccontare loro la storia del giardino reale: «Il giardino era il luogo prediletto dell’ormai scomparsa regina, la quale passava molte ore in questo paradiso; il re, alla sua, morte ordinò che il giardino venisse sempre curato al meglio, così da onorare il ricordo della propria sposa. A volte, lui stesso passa intere ore solo a passeggiare tra i cespugli e nei pressi della fontana con aria malinconica. In quei frangenti, la sua espressione riprende vivacità soltanto quando la principessa lo raggiunge: forse perché, data la somiglianza, gli ricorda la sua adorata sposa… Ma ora bando alle ciance, eccoci arrivati alla vera entrata del palazzo reale!».
I fratelli Vindaci, agitati, spaesati, sorpresi e stupefatti dalla bellezza della città alta, quasi si erano dimenticati del perché fossero lì, e dell’ansia che li aveva accompagnati lungo il tragitto.
Infatti, Ein, durante il loro primo incontro, era stato molto vago riguardo al motivo per il quale era andato a cercare J.B., e riguardo al fatto che era ansioso di avere i due fratelli alla corte del re il prima possibile. Tale impazienza aveva un po’ allarmato i Vindaci: per questo motivo J.B. e Maurice, nei tre giorni precedenti, avevano ipotizzato molte teorie sul perché fossero stati convocati; ma nessuna di quelle da loro vagliate, al momento, sembrava avere un senso.
Varcata la soglia, all’interno del palazzo percorsero un lungo corridoio, il cui pavimento era decorato da un ricco mosaico formante dei dodecaedri intrecciati fra loro, alternati a piastrelle bianche e nere, mentre la navata centrale che portava alla sala del trono era fiancheggiata da enormi colonne di granito. Sulle pareti, oltre le colonne, vi erano grandi rosoni che permettevano alla luce di filtrare e illuminare l’ambiente. Lì, ad aspettarli, seduto sul proprio trono, vi era Re Daugì.
Avanzando verso la sala del trono, Ein si accorse che l’attenzione di J.B. era attratta dalle numerose porte laterali presenti lungo il corridoio. J.B. pensava fossero altre entrate e il dubbio gli fu subito tolto dal consigliere, che spiegò al ragazzo la funzione di ogni porta, indicandole una per una: la biblioteca sulla destra; poco più avanti si poteva scorgere l’accesso ai sotterranei, dove si trovava il mausoleo con la porta d’oro, ormai sigillato da secoli; sulla sinistra, invece, c’era l’accesso all’ala delle stanze della servitù, mentre più avanti quello delle stanze private dei reali.
In pochi minuti, raggiunsero la sala del trono, posizionata strategicamente al centro del palazzo. Aveva una forma circolare e il mosaico del pavimento aveva lo stesso motivo di quello della navata centrale, ma si differenziava da quest’ultimo per la molteplicità dei colori; il soffitto era chiuso da una cupola interamente fatta di vetri colorati con forme irregolari, che permetteva alla sala del trono di risplendere, con effetto quasi psichedelico.
All’interno della sala del trono, un’altra persona si trovava in stato di agitazione. Questi era proprio re Daugì, ansioso di conoscere l’aspetto e il carattere dell’uomo che era stato in grado di uccidere un obbrobrio tutto da solo. E pensando a ciò, in cuor suo aveva la speranza che costui accettasse di partire per la delicata missione per la quale lo aveva convocato a palazzo; altrimenti avrebbe dovuto escogitare un modo per convincerlo o, se non ci fosse riuscito, trovare un altro candidato, anche se ben pochi abitanti del regno avevano il requisito di essere in grado di uccidere un Ghrome.
Giunti dinnanzi al portone che li separava dalla sala del trono, l’ingresso si spalancò permettendo ai tre di arrivare al cospetto del sovrano. A questo punto, il consigliere Ein, dopo un plateale inchino, si rivolse al proprio re presentando i due fratelli.
«Mio signore, le presento i fratelli Vindaci, J.B. e Maurice!»
Non fece in tempo ad aggiungere altro, che il re era intento a stringere con vigore la mano di Maurice.
«Mi congratulo per l’impresa, mai avrei creduto che un semplice uomo potesse essere in grado di uccidere uno degli obbrobri che infestano i confini del mio regno. Se avessi saputo dell’esistenza di un uomo talmente forte e coraggioso, lo avrei senza dubbio promosso a guardia del palazzo e lo avrei ricoperto di ogni genere di ricchezza! Insomma, sono felice di poter stringere la mano di colui che viene chiamato il Cacciatore di Ghrome! Me lo lasci dire: la fama la precede…»
Al che, rosso in viso, Maurice rivolse lo sguardo dapprima verso J.B., che dal canto suo non sembrava per nulla infastidito dallo scambio di persona – anzi, sembrava che trovasse la cosa molto divertente – e successivamente verso il consigliere Ein, come in richiesta di aiuto.
Ein riuscì a intromettersi nella divertente scenetta e, rivolgendosi al re con umiltà, lo informò: «Sire, il signor Maurice non è colui che ha sconfitto Adramelech! Il Cacciatore di Ghrome è suo fratello J.B.!». E spostandosi di lato, indicò J.B. con un ampio gesto del braccio.
Per nulla imbarazzato dalla gaffe appena commessa, il re ripeté la stessa scena con le stesse parole a J.B., dopodiché invitò entrambi ad accomodarsi su due sedie poste dinnanzi al trono. Egli prese il suo posto sul trono, dove si diresse con gesti solenni e movenze regali.
Di fianco a lui, alla sinistra e rigorosamente in piedi, si posizionò Ein, mentre sulla destra era seduta una giovane e bella donna che sembrava a suo agio in quello che pareva essere un abito cerimoniale, probabilmente quello che veniva indossato per le grandi occasioni. Il vestito copriva quasi interamente la figura della ragazza, ma lasciava intravvedere un corpo esile e slanciato, molto armonioso. La fanciulla portava i capelli sciolti sulle spalle, lunghi e corvini, che, unitamente alla candida pelle del viso, con le gote lievemente arrossate, facevano risaltare i suoi grandi occhi, che erano di un intenso blu e brillavano alla luce come fossero due zaffiri. Maurice e J.B., non appena incontrarono quello sguardo, ne rimasero abbagliati. Avevano sentito parlare della bellezza della principessa, ma trovarsela davanti era qualcosa a cui non avrebbero mai pensato: in poche ore, per i due Vindaci il mondo era completamente cambiato.
La principessa, dal canto suo, in un primo momento non fu molto colpita dai due nuovi arrivati, forse perché non si era fatta una buonissima idea dell’uomo che aveva ucciso il Ghrome: probabilmente lo immaginava come un personaggio violento, uno spaccone in cerca di fama e avventure, pertanto, anche se avesse messo le sue abilità al servizio del padre, non aveva nessuna intenzione di averci a che fare. Con il passare dei minuti, però, lo sguardo della principessa andò inevitabilmente a posarsi sui due fratelli, e in particolare si soffermò su J.B. Osservandolo meglio, la principessa si accorse che il Cacciatore di Ghrome non era proprio come se lo era immaginato: il suo volto e le sue braccia erano, sì, ricoperte da numerose cicatrici, che evidentemente, ipotizzava, doveva essersi procurato durante lo scontro; ma il suo aspetto pareva quasi nobile, il viso era caratterizzato da lineamenti gentili e il portamento sembrava quello di un principe. Infine, un altro particolare attirò la curiosità della principessa: il ciondolo che J.B. portava al collo.
Dopo la presentazione, seguirono alcuni istanti di silenzio, durante i quali il re sembrava riflettere su qualcosa. Poi, a un tratto, prima di rivolgersi ai fratelli Vindaci, accostò la sua bocca all’orecchio di Ein e, con espressione pensosa, gli disse sottovoce: «Mio fidato consigliere, perché ho ben due persone dinnanzi ai miei occhi e non solo l’uomo che ha ucciso Adramelech?».
«Sire, voi mi chiedeste di trovare quell’uomo, e io l’ho fatto! Ma, se ben ricordo, mi chiedeste altresì di trovare qualcuno in grado di costruire un mezzo capace di trasportare le nostre merci e quelle degli altri regni su qualunque tipo di terreno, nonché capace di attraversare il mondo intero! Ebbene, i due fratelli Vindaci, che lei ha qui di fronte oggi, sono le persone giuste! Infatti, se J.B. è il famoso guerriero che sconfisse Adramelech, a mio parere il contributo di Maurice alla buona riuscita della nostra missione non potrà essere da meno. Io stesso ho potuto vedere la sua ultima invenzione, da lui forgiata e assemblata grazie alla straordinaria abilità di fabbro-forgiatore, e credo proprio che possa creare il mezzo di trasporto più incredibile ed efficiente che potremmo sperare di avere a disposizione.»
Alle parole del consigliere, il re spalancò gli occhi in segno di stupore e, dopo un breve attimo di riflessione, si diresse nuovamente verso il trono. Riprendendo la propria posizione, si rivolse ai due giovani: «Signori, sicuramente vi starete chiedendo perché vi abbia convocato a palazzo. Dovete sapere che, qualche giorno fa, io, come gli altri sovrani dei regni conosciuti, abbiamo ricevuto una lettera dal sovrano del regno di Permafrost…»