Capitolo 2-2

1817 Parole
"No." Korum sorrise. "Sono naturale al cento percento." "Beh, sei venuto perfetto lo stesso" disse Mia, studiandone i lineamenti magnificamente mascolini. Non riusciva a immaginare che potesse essere più bello. Con sua sorpresa, Korum scosse la testa. "No, in realtà non è così. Ho una piccola deformità." "Che cosa?" Mia lo fissò, scioccata. Quell’uomo meraviglioso aveva una deformità? Dove l’aveva nascosta per tutto quel tempo? Sorrise e indicò la fossetta sulla guancia sinistra. "Sì, proprio lì. Vedi?" Mia lo guardò, incredula. "La fossetta? Davvero?" Annuì, con gli occhi che brillarono dal divertimento. "È considerata una deformità tra i miei simili. Ma ho imparato a conviverci. A quanto pare, ad alcune donne piace, però." Che cosa? A Mia faceva impazzire, e glielo disse, facendo ridere lui e i suoi genitori. "Forse dovremmo andare" disse Korum dopo un po’. "È ora di cena, e Mia ha bisogno di dormire un po’, perché deve alzarsi presto per andare al lavoro domani." "Certo." Riani le rivolse un’occhiata carica di comprensione. "So che gli umani si stancano più facilmente..." La ragazza aprì la bocca per protestare, ma poi cambiò idea. Era vero, anche se non era particolarmente stanca in quel momento. Così, disse: "È stato un vero piacere conoscervi, Riani—e Chiaren. Mi è piaciuto molto parlare con tutti e due." "Lo stesso vale per noi, cara." Riani le toccò di nuovo la guancia con dolcezza. "Speriamo di rivederti presto." Mia sorrise e annuì. "Certo. Non vedo l’ora." "È stato un piacere conoscerti, Mia" disse il padre di Korum, sorridendole. Poi, rivolgendosi a Korum, aggiunse: "Ed è stato bello rivedere te, figlio mio." Korum inclinò la testa. "Ci vediamo la prossima volta." E il mondo si offuscò di nuovo intorno a loro, facendo chiudere gli occhi a Mia. Quando li riaprì, erano nuovamente nella casa di Korum a Lenkarda. "Mi piacciono i tuoi genitori" disse Mia a cena. "Sono molto simpatici." "Oh, è così" disse Korum, masticando un pezzo di jicama al melograno. "Riani è favolosa. Anche Chiaren, sebbene non sempre siamo d’accordo su alcune cose." "Perché no?" Si strinse nelle spalle. "Non lo so. È sempre stato così. In un certo senso, siamo troppo simili, ma in altri aspetti siamo completamente diversi. Non ha mai capito perché passassi tutto il tempo a costruire la mia azienda invece di godermi la vita e trovarmi una compagna, come faceva lui. E non mi ha mai davvero perdonato per aver lasciato Krina e aver privato Riani del loro unico figlio, anche se vado a trovarli spesso nel mondo virtuale." Mia sorrise, vedendo alcune similitudini con la sua famiglia in quella dinamica. Era stato abbastanza difficile per i suoi genitori, quando era andata al college a New York; non riusciva a immaginare come si sarebbero sentiti, se fosse scomparsa in un’altra galassia. Non poteva davvero biasimare il padre di Korum per essere arrabbiato, soprattutto se non capiva o non apprezzava l’ambizione del figlio. Continuando a pensare alla famiglia di Korum, Mia mangiò lentamente il suo stufato, gustandone la soddisfacente combinazione di radici e verdure di Krina riccamente aromatizzate. All’improvviso, le venne in mente un pensiero inquietante, che le fece mettere giù la posata e guardare verso Korum. "Hai mai voglia di tornare su Krina?" gli chiese, sollevando un sopracciglio. "Devono mancarti i genitori, e sembra così bello il tuo pianeta..." Esitò per un paio di secondi. "Un giorno, forse" disse infine, guardandola con un’espressione indecifrabile. "Ma probabilmente non succederà molto presto." Mia sentì il petto stringersi un po’. "E io?" "Tu verresti con me, naturalmente" disse con fare indifferente, bevendo un sorso d’acqua. Respirò profondamente, cercando di mantenere la calma. "Su un altro pianeta? Lasciando tutto e tutti?" Socchiuse leggermente gli occhi. "Non ho detto che partiremo prossimamente, Mia. Forse nemmeno durante la vita della tua famiglia. Ma un giorno, sì, potrei aver bisogno di visitare Krina e vorrei che tu venissi con me." Mia sbatté le palpebre e distolse lo sguardo, con il cuore che si strinse al ricordo della disparità esistente tra lei e il resto dell’umanità. Grazie ai nanociti che le circolavano nel corpo, non sarebbe mai invecchiata, né morta—ma sarebbe vissuta molto più a lungo rispetto ai propri cari. Il fatto che i Krinar avessero i mezzi per estendere indefinitamente la durata della vita umana, ma avevano deciso di non farlo, la infastidiva molto, facendola sentire in colpa ogni volta che pensava a questa cosa. "Mia..." Korum si allungò sul tavolo e le prese la mano. "Ascoltami. Ti avevo detto che avrei fatto una petizione agli Anziani a favore della tua famiglia, e ho iniziato la procedura. Ma non posso prometterti nulla. Non ho mai sentito parlare di un’eccezione concessa a chi non sia considerato un charl." "Ma perché?" chiese Mia dalla frustrazione. "Perché non condividere la vostra conoscenza, la tecnologia con noi? Perché i vostri Anziani si preoccupano tanto di questo problema?" Korum sospirò, accarezzandole il palmo con il pollice. "Nessuno di noi lo sa esattamente, ma ha qualcosa a che vedere con il fatto che siete ancora molto imperfetti come specie, e gli Anziani vogliono che abbiate più tempo per evolvere..." "Siamo imperfetti?" Mia lo fissò, incredula. "Che cosa significa? Stai dicendo che siamo difettosi? Come la parte di una macchina che non funziona correttamente?" "No, non come la parte di una macchina" spiegò pazientemente, stringendo le dita, quando lei cercò di tirare via la mano. "La vostra specie è molto giovane, tutto qui. La vostra società e la vostra cultura si stanno evolvendo a un ritmo rapido, e l’alto tasso di natalità e la breve durata della vita probabilmente hanno qualcosa a che vedere con questo. Se vi donassimo la nostra tecnologia ora, se ogni essere umano potesse vivere migliaia di anni, il vostro pianeta potrebbe diventare sovrappopolato molto rapidamente... a meno che non facessimo anche qualcosa per il tasso di natalità. Vedi, Mia, o tutto o niente: o controlliamo tutto o vi lasciamo per lo più così come siete. Non c’è una via di mezzo, dolcezza." Mia cominciò a digrignare i denti. "Allora, perché non lasciare questa scelta alla gente?" chiese, arrabbiata per l’intera faccenda. "Perché non lasciar decidere se vogliono vivere a lungo o se preferiscono avere figli? Sono sicura che molti opterebbero per la prima opzione, invece di affrontare la morte e la malattia—" "Non è così semplice, Mia" disse Korum, guardandola. "Vedi, la sovrappopolazione non è l’unica preoccupazione degli Anziani. Ogni generazione porta qualcosa di nuovo nella società, cambiandola in meglio. Meno di duecento anni fa gli umani del tuo Paese non si facevano scrupoli sugli schiavi. E ora trovano quel pensiero aberrante—perché le generazioni sono passate e i valori sono cambiati. Pensi che avreste potuto eliminare la schiavitù, se le stesse persone che un tempo possedevano gli schiavi fossero ancora in vita oggi? I progressi della vostra società rallenterebbero moltissimo, se estendessimo in modo uniforme la durata della vita—e non è quello che vogliono gli Anziani a questo punto." "Quindi, siamo solo un esperimento" disse Mia, non riuscendo a trattenere l’amarezza. "Volete solo vedere cosa ci succede, e non vi importa di quanti umani soffrano nel frattempo—" "Gli umani non sarebbero qui a soffrire, se non fosse per i Krinar, dolcezza" la interruppe, sembrando vagamente divertito dalla sua esplosione. "Ti dimentichi molto opportunamente di questo fatto." "Giusto, ci avete creati, e ora potete giocare a essere Dio." Poté sentire il vecchio risentimento riaffiorare, facendole venir voglia di sottolineare l’ingiustizia di tutto ciò. Per quanto amasse Korum, a volte la sua arroganza la innervosiva. Sorrise, per niente turbato dalla sua rabbia. Allentò la stretta delle dita sul palmo della ragazza, con il tocco che si fece morbido e rilassante. "Mi vengono in mente altre cose a cui preferirei giocare" mormorò, con gli occhi che iniziarono a riempirsi di un colore dorato. E mentre Mia lo osservava incredula, lui allontanò il tavolo fluttuante, rimuovendo la barriera tra loro. Continuando a stringerle la mano, la tirò a sé finché lei non ebbe altra scelta che sedersi sul suo grembo. "Pensi che il sesso renderà tutto migliore?" chiese, infastidita dalla risposta inevitabile del proprio corpo alla sua vicinanza. Nonostante fosse arrabbiata, le bastava che la guardasse in un certo modo per farla sciogliere in un mare di bisogno. "Mmm-mm..." Si era già chinato in avanti per baciarle il collo, con la bocca calda e umida sulla sua pelle nuda. "Il sesso rende sempre tutto migliore" sussurrò, mordicchiandole la delicata giunzione tra il collo e la spalla. E durante le ore successive, Mia non trovò alcun motivo per non essere d’accordo con quell’affermazione. Dopo il rumore e la folla di Shanghai, il paesaggio spoglio della tundra siberiana sembrava quasi rilassante. Se non fosse stato per il freddo, Saret avrebbe probabilmente gradito visitare questa remota regione settentrionale della Russia. Ma faceva freddo. La temperatura lì, appena sopra il Circolo Polare Artico, non era mai abbastanza calda per un Krinar, nemmeno il giorno più caldo dell’estate. Oggi, però, era sotto lo zero, e Saret si assicurò che ogni parte del corpo fosse coperta da indumenti termici prima di scendere dalla navicella. Il grande edificio grigio davanti a lui era uno dei più brutti esempi di architettura dell’era sovietica. Il filo spinato e le torri di guardia ad ogni angolo indicavano esattamente ciò che era—una prigione di massima sicurezza per i peggiori criminali della Russia. Poche persone erano a conoscenza dell’esistenza di quel luogo, motivo per cui Saret l’aveva scelto per il suo esperimento. Si avvicinò al cancello, senza preoccuparsi di essere visto da telecamere o satelliti. Per quell’uscita in pubblico, indossava un travestimento, uno di quelli che aveva sviluppato nel corso degli anni. Non solo gli cambiava l’aspetto, ma anche lo strato esterno del DNA, rendendo quasi impossibile scoprire la sua vera identità. Gli umani sapevano che era un Krinar, naturalmente, ma non sapevano nient’altro di lui. Man mano che si avvicinava, il cancello si spalancò, lasciandolo entrare. Saret si avviò rapidamente verso l’edificio, dove fu accolto dal guardiano—un panciuto umano di mezza età, che puzzava di alcol e sigarette. Senza dire una parola, il guardiano lo condusse nel suo ufficio e chiuse la porta. "Beh?" chiese Saret in russo non appena ebbero la privacy. "Hai i dati che ho richiesto?" "Sì" rispose lentamente il guardiano. "I risultati sono piuttosto... insoliti." "Insoliti? In che senso?" "Sono trascorse sei settimane dalla tua ultima visita" disse l’umano, giocando nervosamente con la penna. "Nel mese scorso, non abbiamo avuto un solo omicidio. Nelle ultime tre settimane, non ci sono state risse. Gestisco questo luogo da vent’anni e non ho mai visto niente del genere." Saret sorrise. "No, ne sono certo. Qual era il tasso di omicidi prima?" L’uomo aprì una cartelletta e tirò fuori un foglio di carta, consegnandolo a Saret. "Guarda. Di solito, ci sono due o tre omicidi al mese e una rissa al giorno. Non riusciamo a spiegarlo. È come se tutti avessero subito un trapianto di personalità." Il sorriso di Saret si allargò. Se solo l’umano avesse saputo la verità. Soddisfatto, piegò il foglio e lo infilò nella tasca dei pantaloni termici. "Riceverai l’ultimo pagamento entro domani" disse al guardiano, e uscì dalla stanza. Non vedeva l’ora di tornare sulla navicella, al riparo da quel freddo.
Lettura gratuita per i nuovi utenti
Scansiona per scaricare l'app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Scrittore
  • chap_listIndice
  • likeAGGIUNGI