«Fanculo. Ascolto buon country.» Si grattò il mento, coperto da una barba leggera. «E sono qui perché certe persone hanno insistito.» Inclinò la testa verso Colton, che stava a qualche metro di distanza e parlava con Laz e Gio.
«Ancora non hai imparato a dirgli di no, vero?» Joker rise nel vederlo spalancare gli occhi.
«È una persona terribile.»
Leo inclinò la testa, pensieroso. «Davvero?»
Oh, caro piccolo Leo. Così ingenuo. Ma era quello che lo rendeva speciale. Era come un coniglietto coccoloso, un coniglietto che però, grazie al suo cervello, era anche la persona più pericolosa in quella stanza. Persino suo padre, generale dell’esercito, lo aveva tenuto nascosto dai membri del governo per paura di quello che loro, o altri Stati, avrebbero fatto per mettergli le mani addosso. Se non fosse stato per King, ci sarebbero riusciti.
Gio era senza dubbio la persona preferita di Chip, che però proteggeva Leo come nessun’altro, soprattutto dagli estranei. Quasi sapesse che doveva essere tenuto al sicuro a ogni costo. A proposito…
Joker si girò verso il giovane. «Non pensavo che ti sarebbe piaciuto stare qui.» Al di fuori della loro famiglia, Leo di solito non si trovava bene in mezzo alla gente, figurarsi in un’arena con migliaia di altre persone. Era proprio l’opposto di ciò che lo faceva sentire a proprio agio.
L’altro distolse lo sguardo dai tizi che stavano spostando computer e attrezzature. Indicò in alto, dietro di loro, verso la zona riservata al proprietario.
«Guarderò da lassù. Per il resto, ma stai scherzando?» Gli occhi gli si fecero larghi e pieni di emozione. Oh-oh. Stava per avere uno dei suoi nerdorgasmi. «Hai idea di quanta tecnologia e programmazione serva per un concerto di Nia? Ha un team specializzato nel trasformare le sue idee in realtà grazie a computer e progettazione. Tutto perfettamente sincronizzato con musica e coreografia. I suoi ologrammi sono il non plus ultra! E la parte migliore è che Gio mi farà conoscere la sua squadra. Alcuni lavoravano per la NASA! Ho così tante domande.»
Joker annuì. «Immagino.»
«Ehi, ti ho portato una cosa da assaggiare.» Leo infilò una mano nella tasca della giacca e ne estrasse un pacchettino. Glielo porse con un gran sorriso. «Fettine di banana verde fritte. So che le hai già assaggiate, però queste sono più sottili e croccanti. Irresistibili. Non quanto i crackers Goldfish, naturalmente, ma questo è ovvio.»
Joker prese la confezione e gli fece l’occhiolino. «Grazie.» La mise in una delle tasche dei pantaloni mimetici scuri, poi un latrato attirò la sua attenzione. Chip, quel traditore, stava andando fuori di testa, come al solito. Perché, naturalmente, la persona che il suo cane adorava era proprio il tizio che lui voleva evitare.
«Anch’io sono felice di vederti,» chiocciò Gio mentre si avvicinava al cane ridendo e facendogli i complimenti; Chip intanto cercava di comunicare con lui in un miscuglio di latrati, guaiti e ululati. Tremava tutto di gioia e gli leccava qualunque parte arrivasse a tiro della sua lingua enorme. Se fossero stati a casa di Colton, o da qualche altra parte dove c’erano i suoi giocattoli, gliene avrebbe portato uno, perché lo amava alla follia. Stronzo.
Gio si fermò di fronte a Joker con un sorriso gentile. «Ciao, Sacha.»
«Giovanni,» mugugnò lui.
L’altro diede un’ultima grattatina dietro l’orecchio di Chip, poi il cane tornò a sedersi accanto a Joker. Gio aprì la bocca per dire qualcosa, ma apparvero Ace e Lucky per salutare tutti o, più probabilmente, perché non stavano bene se non respiravano la stessa aria dei loro compagni.
«Hai un bell’aspetto,» commentò Gio.
Lo guardò di sottecchi. «Mi hai già visto vestito così.» La solita maglietta nera con il logo della Four Kings Security sulla parte sinistra del petto e il nome della compagnia in bianco sulla schiena, pantaloni mimetici scuri e scarponi. «Ho la stessa uniforme di tutti gli altri.»
Gio si chinò in avanti e piegò appena le labbra in quel suo modo così malizioso. «Ma a nessuno sta bene come a te.» Il tono era basso e vellutato, non che lui stesse facendo attenzione alla sua voce roca.
Joker lanciò un’occhiata verso il bordo del palco, dove c’era Saint, con i bicipiti che quasi facevano scoppiare le maniche della maglietta. Era alto più di un metro e ottanta, con due spalle enormi, cosce muscolose, perfetto come una statua. Aveva proprio l’aspetto da Navy SEAL, e in passato lo era stato. Anche Gio si girò per vedere cosa stesse osservando, poi riportò lo sguardo su di lui, con un sorriso da saputello.
«Confermo quello che ho detto.»
Joker sbuffò. «Ma certo.» Non aveva problemi con il suo corpo. Era muscoloso, magro, e aveva il doppio della resistenza di molti tipi della Four Kings Security, anche quelli più giovani. Poteva far mangiare la polvere a tutti loro. Era agile, sportivo, e aveva un talento naturale per la ginnastica. Forse, se l’universo non fosse stato così stronzo, avrebbe potuto dargli qualche centimetro in più di statura, ma vabbè.
«Tu e Chip ci sarete domani al barbecue a casa di Colton?»
Rispose senza pensare. «Certo. Ovvio.» Merda, un attimo…
«Perfetto! Allora ci vediamo là.»
Dannazione. Avrebbe dovuto immaginarlo. Fanculo. All’inizio aveva evitato ogni occasione a cui Gio avrebbe potuto essere presente, ma ben presto si era accorto che era inutile. Ormai era tornato e sarebbe stato parte delle loro vite che lui lo volesse o no, anche se davvero non capiva il perché del suo improvviso ritorno. Aveva viaggiato in giro per il mondo per anni a fare chissà cosa per beneficienza, e poi tutt’a un tratto, un giorno aveva chiamato Laz e gli aveva detto che sarebbe tornato per sempre? Perché?
«Sacha?» gli giunse la voce di Jack dall’auricolare.
Joker sospirò. Odiava essere chiamato con il suo vero nome, ma l’amico lo conosceva da decenni, da prima che uno dei loro commilitoni morti gli desse un soprannome. «Che c’è?»
«Uno degli addetti al palco ha colpito la camera tre con dell’attrezzatura che stava trasportando. Deve averle dato una bella botta. È tutta storta. Puoi andare a dare un’occhiata?»
«Certo.»
Oh, che peccato. «Devo andare. Il dovere chiama.»
«Sta’ attento,» disse Gio con un’espressione sincera.
Lui annuì e ignorò la leggera stretta al cuore. Nessuno dei suoi amici capiva perché facesse così lo stronzo con Gio, il che era divertente, dato che si comportava così praticamente sempre, ma qualcosa in quell’uomo gli faceva provare delle sensazioni, e la cosa lo faceva incazzare un sacco. Fin dalla prima volta in cui avevano parlato, Joker aveva avuto una reazione viscerale nei suoi confronti, e ne era molto seccato. Nessuno poteva avere così tanto controllo su di lui. Nessuno.
«Andiamo,» ordinò a Chip. Si diressero nel backstage, poi lui estrasse dalla tasca un piccolo tablet e entrò nel portale di sicurezza che Jack aveva creato per l’evento. Trovò la camera tre e aggrottò la fronte. Era appena fuori dal camerino di Nia. Ordinò subito a Chip di fare una ricognizione.
Avevano già controllato la zona più volte, però nelle ore successive avrebbero fatto altri giri di perlustrazione. L’auricolare si attivò di nuovo, e Joker sentì la voce bassa e roca di King.
«Ragazzi, attenzione. Nia e i suoi aiutanti stanno arrivando. Coordinatevi con la vostra squadra.»
«Ricevuto,» rispose lui, insieme a Ace, Lucky e Jack. Continuò a seguire Chip mentre il cane controllava attentamente ogni angolo. Joker si fermò di fronte alla camera tre posizionata davanti al camerino e si mise a osservarla. Era piegata fuori asse. «Cristo, ma con cosa l’hanno colpita, un mattone?» Si era appena infilato il tablet in tasca quando Chip emise un ringhio di avvertimento. Si girò e lo vide con il naso premuto contro la porta del camerino. Premette il pulsante dell’auricolare. «Jack, Nia è già qui fuori?»
«Non ancora, però dei membri del suo entourage hanno cominciato ad arrivare.»
«Ricevuto. Chip è disturbato da qualcosa nel suo camerino. Entro a controllare.»
«Fammi sapere se servono rinforzi.»
«Certo.» Joker mormorò un ordine in tedesco e Chip si mise subito al suo fianco. Si avvicinarono lentamente alla porta, spostandosi su un lato. Lui girò in silenzio la maniglia, ma era chiuso a chiave. Brutto segno. Bussò. «Sicurezza. Tutto bene lì dentro?» Nessuna risposta.
«Sicurezza!» Iniziò a colpire con forza l’uscio. «Rispondete, ora. È un ordine.» Ancora niente.
Chip ringhiò di nuovo, il pelo ritto, e Joker fece un passo indietro.
«D’accordo. Se non rispondete o aprite, entrerò io. Avete cinque secondi. Cinque, quattro, tre…»
La porta si aprì appena, e un paio di occhi azzurri lo fissarono dallo spiraglio. «Che vuoi?»
Joker alzò un sopracciglio. «Chi sei?»
«Chi sei tu?» urlò il tizio. Un ringhio leggero risuonò accanto a Joker, e l’uomo abbassò lo sguardo su Chip. Spalancò gli occhi e deglutì rumorosamente. «Volevo dire, ehm, ciao, scusa. Posso aiutarti?»
Lui afferrò il battente della porta e sogghignò. «Sì, puoi dirmi chi sei e che ci fai lì dentro.»
«Sono Jiles, del reparto attrezzature.»
«Ancora non si spiega perché sei in quel camerino, Jiles.»
Il tipo aprì e si fece da parte, così che loro potessero entrare. Chip iniziò subito ad annusare dappertutto e Joker si mise a esaminare la stanza. C’erano due bagni con la porta aperta e anche le tende degli spogliatoi erano scostate. Era uno spazio pieno di luce, con decorazioni bianche e nere, e qua e là macchie di rosa acceso. Nella zona con le poltroncine erano posizionati anche diversi specchi e postazioni per il trucco.
Su quella più grande stava un vaso di fiori in cui lampeggiava una lucina rossa. Joker si avvicinò. Il cane non aveva dato segnali, quindi di sicuro non era niente di esplosivo. Allungò una mano tra i fiori e ne estrasse un aggeggio che sembrava una piccola videocamera. Si girò e la mostrò a Jiles, che impallidì così tanto da fargli pensare che stesse per svenire.
Non svenne. Invece scappò via di corsa, come se lo avessero sparato da un cannone.
«Cazzo!» Joker si infilò la camera in tasca e urlò un ordine a Chip, che partì all’inseguimento. Jiles si accorse del cane nero demoniaco che lo rincorreva, cacciò un grido talmente forte da frantumare il vetro e saltò attraverso le tende e sul palco.
Il suo primo errore era stato correre. Il secondo, anche più grosso, era stato di farlo in direzione di Leo, che era così concentrato sullo schermo del telefono da non prestare attenzione alle urla di Joker. Gio invece le sentì ed entrò in azione, facendo da scudo all’amico mentre Chip si lanciava su Jiles.
L’uomo si buttò addosso a Gio, facendogli perdere l’equilibrio e cadendo con lui sul palco. Il cane lo tirava per i pantaloni. Dove stesse pensando di scappare con un belga Malinois attaccato alla gamba era difficile da capire. Jiles squittì mentre Chip lo trascinava via dall’altro come se fosse un sacco di patate.
Molte persone li avevano raggiunti, quindi Joker ordinò al cane di mollare la presa e poi si girò verso Gio, ma lo trovò con Saint che gli teneva un braccio intorno alla vita e lo aiutava a rialzarsi.
«Merda, tutto bene?» domandò Saint, e gli appoggiò una mano sul petto.
Ma che cazzo? Gio non si era fatto male. Non c’era bisogno di abbracciarlo. E comunque ormai si era alzato, quindi poteva anche lasciarlo andare.
D’accordo, non era il momento. Joker si riscosse. Prima di tutto, chi cazzo se ne fregava se Saint toccava Gio? Era suo amico. Ma era anche etero.
«Sì, sto bene,» rispose Gio, passandosi una mano sui capelli. «Grazie mille.»
L’altro fece un gran sorriso, e il viso gli diventò… rosso. «Figurati.»
Non era mica così che un tizio etero sorrideva a un altro uomo. Un attimo, cosa? L’adrenalina doveva avergli dato alla testa, perché quello era stato il pensiero più ridicolo che avesse mai avuto. Sbuffò e si voltò di nuovo verso Jiles. Alle sue spalle, una sagoma imponente sbucò dall’ombra, e lui sorrise. King era salito sul palco, e sembrava incazzato nero.
Joker diede una pacca sulla spalla a Jiles. «Piacere di averti conosciuto.» Aspettò che King si avvicinasse a Leo e lo facesse spostare con delicatezza un po’ più in là per poter parlare in privato. Gli afferrò il mento e mormorò qualcosa. Leo annuì, le guance arrossate, e rispose a voce bassa. L’altro lo abbracciò forte. Una stretta veloce, ma sufficiente per quelli che lo conoscevano per capire che era scosso dal fatto che Leo avesse rischiato di farsi male. Poi si fermò accanto a Gio e gli mise una mano sulla spalla.