Il giorno dopo come promesso fummo a cena con i Davis, la signora Davis mi guardava con pietà. Sapeva a cosa andavo incontro? Non lo so.
Ma iniziò a frequentare casa nostra per preparare il matrimonio, fino a quando un giorno non restammo solo io, mia madre e lei in casa.
La donna mi passò una busta, non sapevo cosa conteneva. Furono però le sue parole a sorprendimi. "Mio figlio ha seguito gli insegnamenti di mio marito, si è cercato un buon partito per i suoi affari. Ma non sono bravi, né mio marito a tenere i conti, né Andrew a investire su ciò che ha. Ciò che prenderà da te avrà valore immobiliare e non solo, sei una nobile. Ciò che posso consigliarti è di vivere la tua gioventù finché non sarai sua moglie.
In quella busta avrai qualcosa con cui vivere, quando lo finirai tornerai per sposarti, sta a tua madre inventare una scusa plausibile per la tua scomparsa." Disse la donna con distacco. "Non è giusto che tu paghi per i debiti di gioco di tuo padre, ma spesso e volentieri si riservano sempre sui figli e me ne dispiace. Quando sarai sposata comportati bene con Andrew e dopo aver avuto il tuo corpo fresco ti farò vedere che si stancherà e ti lascerà in pace." Concluse mettendosi il girocollo di pelliccia intorno al collo. "Ci rivediamo alle pubblicazioni del matrimonio allora, buon viaggio."
Gelai, non riuscii neanche a ringraziarla. Debiti di gioco? Era così che tutta la nostra eredità era andata via? Per dei debiti di gioco? E io dovevo sacrificarmi?
Mia madre aveva chiuso la porta e mi stava guardando. "Dirò a tuo padre e a Andrew che raggiungi mia zia nel Sussex. Tu vai via per un po', hai ragione quando dici che sei giovane e meriti di amare, trova il tuo amore quindi. Se riuscirai a trovare un lavoro, potrai vivere lì fuori per molto più tempo di ciò che pensa Elisabeth Davis."
"Perché resti con lui... ti ha portato in rovina?" Le chiesi.
"Perché nonostante tutto lo amo ancora." Mi rispose. "Ha detto si farà aiutare, andremo da uno psicologo, vedremo come muoverci." Concluse.
Piansi, scossi la testa e una volta in camera mia ancora piansi. Preparai la mia borsa con poche cose, tanto per la primavera sarei dovuta rientrare, e mi addormentai. Quanto avevo di libertà? Era inizio dicembre, sarei dovuta tornare per marzo. Per la prima volta aprii la busta che mi aveva lasciato Mrs Davis, al suo interno c'erano mille sterline, nella mia borsa avevo almeno cento sterline personal. Avrei potuto farcela con un lavoro,i, perché effettivamente preferivo essere povera che farmi toccare da lui, il suo sguardo mi aveva già schifato abbastanza.
Il giorno dopo andai via al mattino presto, non ebbi il coraggio di guardare in viso mio padre. Non dopo avere scoperto ciò che egli aveva fatto alla nostra famiglia.
Sarebbe stato il caso di cercarmi un posto dove stare, sicuro non nei pressi della zona antica di Londra. Probabilmente se mi fossi inserita nella city avrei potuto trovare un lavoro.
Ci pensai fino a quando non arrivai, la metropolitana mi portò nel cuore pulsante dell'economia del nostro paese. Donne e uomini in completi firmati e valigette in pelle trafficavano sui marciapiedi.
In confronto, nonostante i miei abiti di buona fattura, ero un insetto. Non avrei trovato un lavoro lì, non senza una laurea. Sconsolata mi sedetti ad un tavolino del primo bar che adocchiai e poggiando la valigia ai miei piedi sbuffai.
"Nessuna bella ragazza che si siede qui può sbuffare." La voce di una ragazza attirò la mia attenzione. Era molto carina, il viso a cuore la rendeva adorabile, come i capelli rossi portati corri e gli occhi azzurri. Dovevamo avere la stessa età, indossava una camicia bianca, dei pantaloni a sigaretta neri e un grembiule nero appoggiato sui fianchi col logo del bar. "Cosa ti porto cara?"
Feci una smorfia. "Qualcosa di economico e un lavoro." Ironizzai divertita. "Scusa, un bicchiere d'acqua va bene."
La cameriere mi fissò. "L'acqua la offro io, prendi qualcosa da mangiare no? Per il lavoro invece so che al book and coffee più avanti cercano personale."
Ricambiai il suo sguardo. "Veramente?" Estasiata sospirai. "Prendo un panino al prosciutto e mi chiamo Sapphire." Le dissi presentandomi.
"Io sono Ebony piacere Saph. Se inizierai a lavorare qui ci incontreremo spesso. Vado a prendere il tuo panino."
"Grazie." Le dissi prendendo dalla borsa una banconota per pagare.
Quando Ebony ritornò col panino e l'acqua mi indicò il locale. "Il capo offre il panino, dice che sei carina e che puoi provare anche adesso a lavorare per loro. Tra un ora usciranno dagli uffici e come sempre ci sarà il pienone." Mi spiegò.
"Lavorare qui?" Chiesi sorpresa. Guardai lei e poi me. "Ho un jeans nero, può andare bene lo stesso?" Le chiesi indicandole la valigia.
Lei mi sorrise. "Mangia, avverto il capo nel frattempo e dopo ti faccio vedere il ripostiglio dove cambiarti."
Iniziai così. "Dopo il panino mi infilai i jeans, rimisi le mie scarpe da ginnastica e una camicia bianca e col grembiule datomi da Ebony iniziai a lavorare. Imparai presto, tutto stava nel prendere gli ordini e portali a tavola, sempre con un sorriso sulle labbra e una filosofia: il cliente ha sempre ragione. Il tempo di ridare e imparai subito e velocemente. Feci tutto il turno con Ebony e quando andò via chiesi al capo se potevo restare per il secondo turno. In realtà non sapevo dove andare e quello per ora era l'unico tetto che conoscevo.
Lui ovviamente non si fece pregare, così ripresi a lavorare.
Alle diciassette ci fu il secondo boom della giornata. I dipendenti degli uffici stavano lasciando le sedi e si riservavano per una cena veloce prima di tornare a casa. E fu così che conobbi Thomas.