CAPITOLO DICIANNOVESIMO-2

1683 Parole
Un tempo Gopher Prairie era stata una stazione di smistamento. La tettoia e le officine di riparazione non c’erano più, ma due capistazione vi risiedevano ancora ed erano persone distinte, gente che viaggiava e parlava coi forestieri, indossava uniformi con bottoni dorati e sapeva tutto dei sotterfugi dei contrabbandieri. Formavano una casta speciale, non al di sopra né al dì sotto degli Haydock, ma a sé, artisti e avventurieri. Il telegrafista notturno della stazione era il personaggio più melodrammatico della città: desto alle tre del mattino, in una stanza frenetica del ticchettio del telegrafo. Tutta notte egli « parlava » ad altri telegrafisti, venti, cinquanta, cento miglia lontano. C’era sempre da temere che fosse assalito dai banditi. Non lo era mai, eppure intorno a lui aleggiava una suggestione di visi mascherati alla finestra, di revolver spianati, di corde per legarlo alla sedia, di sforzi disperati per strisciare fino all’apparecchio prima di svenire... Del resto, durante le tempeste di neve tutto era melodrammatico, alla stazione. V’erano giorni in cui la città era completamente tagliata dal resto del mondo, non riceveva né posta né espressi né carne fresca né giornali. Finalmente arrivava lo spazzaneve che ammucchiava la neve da una parte e dall’altra lanciando in aria un geyser di spruzzi e la via per il mondo esterno era libera di nuovo. I guardiafreni in guantoni e berretti di pelliccia correvano sul tetto dei vagoni coperti di neve; i macchinisti grattavano il ghiaccio dai finestrini e guardavano fuori, imperscrutabili, padroni di sé, piloti del mare della prateria; rappresentavano per Carol l’eroismo e l’avventura in un mondo di droghieri e di sermoni Per i ragazzetti la stazione era un campo di gioco familiare. Si arrampicavano per le scalette di ferro ai lati dei vagoni merci, accendevano i fuochi dietro le pile di binari rotti, salutavano con la mano i macchinisti preferiti. Ma per Carol era una magia. Elia stava in macchina con Kennicott; l’auto sobbalzava nel buio, i fanali rivelavano pozzanghere fangose ed erbacce ingiallite lungo la strada. Un treno in arrivo! Un veloce ciuk-e-ciuk, ciuk-e-cluk, ciuk-e-ciuk, e passava come un bolide il Pacific Flyer, freccia d’oro fiammeggiante. Il riflesso della caldaia illuminava la parte sottostante delle volute di fumo. In un attimo la visione era scomparsa. Carol ricadeva nell’immensa tenebra: e Kennicott le dava la spiegazione personale di quella luce e aggiungeva: — Numero 19. Deve essere in ritardo di quasi dieci minuti. In città; ella udiva dal letto il direttissimo che fischiava un miglio a settentrione, fievole, nervoso, distratto, squillo dei liberi cavalieri della notte lanciati verso le alte città dove erano risa e stendardi e squillar di campane: — Uuuuh! Uuuuh! — il mondo che passava: — uuuh! — più fievole, più malinconico... silenzio. Laggiù non c’erano treni. Là pace era grandissima. La prateria circondava il lago, si stendeva tutt’intorno a lei, primitiva, polverosa, pesante. Solo il treno poteva traversarla. Un giorno o l’altro anche lei avrebbe preso un treno: e sarebbe stata una grande impresa. Si aggrappò al Chautauqua come si era aggrappata al Circolo Filodrammatico, al comitato della Biblioteca. Oltre alla permanente Mamma Chautauqua di Nuova York, ci sono in tutti gli Stati, compagnie di Chautauqua commerciali che mandano in tutte le cittadine e fin nei piccoli paesi truppe di conferenzieri e di artisti specializzati per offrire una settimana di cultura sotto la tenda. Quando abitava a Minneapolis Carol non si era mai imbattuta nella Chautauqua ambulante, e l’annuncio che arrivava a Gopher Prairie la fece sperare che altri potessero ottenere le vaghe cose che ella aveva inutilmente tentato. Immaginava un’università condensata, portata al popolo. La mattina, tornando dal lago con Kennicott, vide affissi a tutte le vetrine dei negozi, e, appesi a una corda tesa traverso la Via Principale, una fila di pennoni su cui era scritto a parole alterne: « Arriva la Chautauqua di Boland! », e: « Una settimana intera di pensiero e di divertimento! ». Ma il programma la deluse. Non sembrava un’università in pillole, non sembrava, anzi, un’università di nessun genere, ma una combinazione di spettacoli di varietà, dì conferenze dell’Y. M. C. A. e dell’esame di diploma d’una classe di declamazione. Confidò quei dubbi a suo marito, ma questi insistè: — Ebbene, forse non sarà una cosa tanto intellettuale come piacerebbe a te e a me, ma nell’insieme è molto meglio di niente. Vida aggiunse: — Hanno dei magnifici oratori. Anche se non imparano molto, sentono parlare d’una quantità d’idee nuove e questo è quel che conta. Carol assistè a tre riunioni serali, a due riunioni pomeridiane e ad una mattutina. Fu molto colpita dal pubblico: le donne pallide, in gonna e camicetta, ansiose dell’occasione di imparare a pensare, gli uomini in panciotti e maniche di camicia, ansiosi dell’occasione di ridere, i ragazzini irrequieti, ansiosi di scappar via. Le piacquero le semplici panche, il palcoscenico smontabile sotto il baldacchino rosso e su tutto la grande tenda che di notte splendeva di file di lampadine, e di giorno gettava un riflesso ambrato sulla folla paziente. L’odore della polvere, dell’erba calpestata e del legno caldo di sole la faceva pensare alle carovane della Siria; ella dimenticava gli oratori per ascoltare i rumori di fuori: le grosse voci di due agricoltori che parlavano, lo scricchiolio d’un carro per la Via Principale, il canto di un gallo. Era contenta, ma della contentezza di un cacciatore smarrito che si ferma per riposare. Dalla Chautauqua vera e propria, infatti, non trasse che un’impressione di retorica, di nullità, di grosse risate: le risate dei villani alle vecchie facezie, un rumore primitivo e senza letizia come quello degli animali da cortile. In quella università condensata in sette giorni v’erano parecchi istruttori. Nove conferenzieri (quattro erano ex ministri evangelici e un altro un ex congressista) sciorinarono « discorsi ispiratori ». I soli fatti o le sole impressioni che Carol ricevette furono: che Lincoln fu un celebre presidente degli Stati Uniti, ma in gioventù era estremamente povero; che James J. Hill fu il più famoso promotore delle ferrovie del West, ma in gioventù era estremamente povero; che l’onestà e la cortesia negli affari erano preferibili alla disonestà e alla sgarberia, ma questo non andava preso come un affronto personale, essendo notorio che tutti a Gopher Prairie erano onesti e cortesi; che Londra era una grande città e che una volta un distinto uomo politico insegnò alla scuola domenicale. Quattro attori raccontarono storielle ebree, storielle irlandesi, storielle tedesche, storielle cinesi e storielle di montanari del Tennessee, gran parte delle quali erano già note a Carol. Una « declamatrice » recitò Kipling e si produsse in un’imitazione di bambini. Un conferenziere rievocò un’esplorazione nelle Ande con proiezioni; eccellenti fotografie e un’esposizione sconnessa. Tre orchestre d’ottoni, una compagnia di sei cantanti d’opera, un sestetto hawaiano e quattro giovanotti che suonavano sassofoni e chitarre camuffate da batterie da cucina eseguirono pezzi vari; i più applauditi furono quelli, come l’inevitabile Lucia, che il pubblico aveva udito più spesso. Il sovrintendente rimase sul posto tutta la settimana, mentre gli altri datori di lumi al spostavano ad altre Chautauqua per le rappresentazioni giornaliere. Era una specie d’intellettuale mai nutrito che si dava gran da fare per suscitare un entusiasmo artificiale, e cercava di rallegrare gli ascoltatori dividendoli in squadre in competizione, e dicendo loro continuamente che erano molto intelligenti e che avevano un magnifico spirito municipale. Fu lui che tenne quasi tutte le conferenze della mattina, cianciando con la stessa sciagurata facilità sulla poesia, sulla Terrasanta e sull’ingiustizla di cui sono vittime i lavoratori in qualunque sistema capitalistico. Il numero di chiusura fu quello d’un uomo che non concionò, non ispirò, non fece ridere: un ometto modesto, con le mani in tasca. Tutti gli altri oratori avevano confessato: « Non posso fare a meno di dire agli abitanti di questa bellissima cittadina che nessuno degli illustri conferenzieri qui convenuti ha trovato mal un angolo più delizioso o una popolazione più ospitale e più ricca d’iniziativa»; l’ometto invece insinuò che l’architettura a Gopher Prairie era figlia del caso, e che era una sciocchezza lasciare invadere il bordo del lago dai mucchi di cenere della strada ferrata. Dopo di che il pubblico brontolò: « Può darsi che quello ci abbia azzeccato, ma a che serve vedere sempre il lato più brutto delle cose? Le idee nuove, d’accordo: ma perché tutto questo criticare? Ci sono già abbastanza guai nella vita! ». Tale fu la Chautauqua come la vide Carol. Ma la città si sentiva fiera e istruita. Due settimane dopo scoppiò in Europa la Grande Guerra. Per un mese Gopher Prairie ebbe la felicità di palpitare e rabbrividire; poi, quando la guerra si stabilizzò in un affare di trincea, nessuno ci pensò più. Quando Carol parlava dei Balcani e della probabilità d’una rivoluzione in Germania, Kennicott sbadigliava: — Oh, sì, è una vera pazzia, ma non ci riguarda. La gente, qui, ha troppo da fare a piantare il grano per trastullarsi in una stupida guerra in cui ci vogliono ficcare quei forestieri. Fu Miles Bjornstam che disse: — Non capisco. Io sono contrario alle guerre, eppure mi sembra che alla Germania bisognerebbe dargliele perché gli Junkers si oppongono al progresso. Era andata a far visita a Miles e Bea, al principio dell’autunno. Essi l’avevano accolta con grida di giubilo dandosi un gran da fare a spolverare sedie e a correre a prender l’acqua per il caffè. Miles, in piedi, le sorrideva raggiante. Ricadeva spesso, e lietamente, nella vecchia irriverenza verso i grandi di Gopher Prairie, ma subito aggiungeva - sia pure con una certa difficoltà - qualche commento decoroso e apprezzativo. — È venuta a trovarvi molta gente, vero? — si azzardò a chiedere Carol tastando terreno. — Be’... la cugina di Bea viene sempre, e anche il capo reparto del mulino e... Oh, ce la spassiamo moltissimo. Senta un po’, dia una guardatina a quella Bea! Non la prenderebbe per un canarino, a starla a sentire e a guardare quella sua testa di stoppa scandinava? Ma invece lo sa che cosa è? È una chioccia! Sempre ad affannarsi Intorno a me... gli fa perfino mettere la cravatta, al vecchio Miles! Non vorrei viziarla dicendolo davanti a lei, ma è una gran bella... una gran cara... Al diavolo! Che ce ne importa se nessuno di quegli sporchi snobs ci viene a trovare? Stiamo bene noi due insieme! Carol si addolorava delle loro difficoltà e delle loro lotte, ma in breve le dimenticò, assalita a sua volta da malesseri e da paure. Perché quell’autunno si accorse che si annunciava un bambino, e che la vita prometteva finalmente di diventare interessante a rischio e pericolo dì quel grande avvenimento.
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