«Accidenti a te!» e il giovane bruno sputò. «Ecco, cinque settimane fa ero come voi» fece rivolto al principe, «ero scappato dalla mia casa paterna, da Pskov, con un fagottino come unico bagaglio, per andare da mia zia, e là mi sono messo a letto con la febbre alta, e lui è morto senza di me. Ha avuto un colpo. Memoria sempiterna al defunto, però una volta mi ha quasi ammazzato a furia di botte! Credete, principe, quant'è vero Iddio! Se quella volta non fossi scappato m'avrebbe davvero ammazzato.»
«Voi l'avevate in qualche maniera fatto arrabbiare?» gli fece eco il principe che osservava con particolare curiosità quel milionario in tulup. Ma benché vi potesse essere qualcosa di davvero interessante nel milione e nell'eredità, c'era dell'altro che destava la sorpresa e l'interesse del principe; lo stesso Rogožin, del resto, aveva scelto con particolare piacere il principe quale suo interlocutore, anche se il suo bisogno di conversare con qualcuno pareva essere più meccanico che dettato da un impulso dell'anima; era come se lo facesse più per distrazione che per semplicità di cuore, per paura, per ansia, tanto per guardare in faccia qualcuno e menar la lingua su qualche argomento. Pareva che fosse ancora in delirio, o per lo meno che avesse la febbre. Quanto al funzionario, pendeva dalle labbra di Rogožin, non osava respirare, afferrava e soppesava ogni sua parola quasi cercasse un brillante.
«Per essere arrabbiato, lo era, e forse aveva ragione» rispose Rogožin, «ma è stato soprattutto mio fratello a darmi addosso. Di mia madre è inutile parlare, è una donna vecchia, che legge il martirologio e sta sempre insieme alle vecchie, e come dice mio fratello Sen'ka, così ha da essere. Ma lui, perché a suo tempo non mi ha fatto sapere nulla? Pensa un po'! È vero che a quel tempo ero in stato d'incoscienza. Dicono anche che mi è stato mandato un telegramma, ma il telegramma è arrivato alla zia. Quella poi è vedova da trent'anni e sta in compagnia di santoni dalla mattina alla sera. Non è proprio una monaca, ma è ancora peggio. A vedere il telegramma s'è spaventata, e senza aprirlo l'ha portato alla sezione di polizia, e là è rimasto fino ad ora. Soltanto Konev, Vasilij Vasil'iè, mi ha dato una mano, informandomi di tutto. Di notte mio fratello ha tagliato le nappine fuse in oro del drappo funebre che era sulla bara di mio padre: “Sai” dice, “valgono un sacco di soldi”. Però basterebbe questo fatto per mandarlo in Siberia, se volessi, perché è un sacrilegio. Ehi tu, spaventapasseri” fece rivolto al funzionario, «cosa dice la legge, è un sacrilegio?»
«Sacrilegio, sacrilegio» annuì prontamente il funzionario.
«E per questo mandano in Siberia?»
«In Siberia, in Siberia! Subito in Siberia!»
«Credono che io sia ancora malato» continuò Rogožin rivolto al principe, «ma io, senza dire una parola, alla chetichella, ancora malato sono salito su un treno, ed eccomi in viaggio; spalanca le porte, fratellino Semën Semënyè! Sparlava di me con mio padre buonanima, lo so. Che io allora abbia veramente fatto arrabbiare mio padre per quella faccenda di Nastas'ja Filippovna è vero. Lì era solo colpa mia. Sono stato indotto in peccato.»
«La faccenda di Nastas'ja Filippovna?» fece servilmente il funzionario, come se stesse riflettendo su qualcosa.
«Ma se non la conosci!» gli gridò Rogožin spazientito.
«E invece la conosco!» gli rispose trionfante il funzionario.
«Ma via! Come se ce ne fossero poche di Nastas'ie Filippovne! Sei una carogna sfrontata, te lo dico io! Lo sapevo che una qualche carogna del genere mi si sarebbe subito attaccata addosso!» continuò rivolto al principe.
«Ma forse la conosco davvero!» insistette il funzionario con aria trionfante. «Lebedev la conosce! Voi, vostra grazia, vi compiacete di rimproverarmi, ma che direste se ve lo dimostrassi? Non è forse quella stessa Nastas'ja Filippovna per la quale il vostro genitore voleva correggervi col bastone? E questa Nastas'ja Filippovna non si chiama Baraškova, ed è per così dire una dama di qualità, nel suo genere anche una principessa, ed è in relazione con un certo Tockij, con Afanasij Ivanoviè, ed esclusivamente con lui, proprietario e gran capitalista, membro di varie compagnie e società, e che proprio per questo è in grande amicizia col generale Epanèin...»
«Ehi, ma guarda un po'» si meravigliò davvero, finalmente, Rogožin. «Toh, al diavolo, questo sa davvero tutto.»
«Tutto sa! Lebedev sa tutto! Io, vostra grazia, sono stato in giro due mesi con Lichaèev Aleksaška, anche lui dopo la morte del padre, e so tutto, vale a dire vita morte e miracoli, e si è arrivati al punto che senza Lebedev non faceva un passo. Oggi è in prigione per debiti, ma allora ebbe occasione di conoscere Armance e Coralie, e la principessa Packaja e Nastas'ja Filippovna, e quante cose ebbe occasione di apprendere!»
«Nastas'ja Filippovna? C'era forse qualcosa fra lei e Lichaèev?...» E Rogožin lo guardò con odio, mentre le labbra gli sbiancavano e si mettevano a tremare.
«N-nulla! N-n-nulla! Assolutamente nulla!» si riprese in gran fretta il funzionario, «cioè voglio dire che Lichaèev non è riuscito a spuntarla con nessuna somma! No, non è come con Armance. Lei non ha che Tockij. E la sera se ne sta al Gran teatro o al teatro francese nel suo palco privato. Gli ufficiali hanno poco da chiacchierare fra loro, nemmeno loro possono dimostrar nulla. Ecco, dicono, quella è quella certa Nastas'ja Filippovna. E basta. Più oltre non possono andare, per nulla, perché non c'è proprio nulla!»
«È proprio così» confermò Rogožin cupo e accigliato, «anche Zalëžev me lo aveva detto quella volta. Quella volta, principe, io attraversavo di corsa il Nevskij con una palandrana di mio padre vecchia di tre anni, e lei usciva da un negozio, e la vedo salire in carrozza. Mi sentii bruciare. Incontro Zalëžev. Quello non aveva proprio nulla a che vedere con me, era tutto agghindato come un commesso che esca dal parrucchiere, con il monocolo all'occhio, mentre noi in casa nostra ci distinguiamo per gli stivali unti di grasso e per la minestra di cavoli. Questa, dice, non è roba per te. Questa è una principessa. Si chiama Nastas'ja Filippovna, di cognome Baraškova, e vive con Tockij, ma Tockij adesso non sa come fare per liberarsene, perché ormai ha cinquantacinque anni suonati e vuole sposare la prima bellezza di Pietroburgo. Qui mi lasciò intendere che quel giorno stesso avrei potuto vedere Nastas'ja Filippovna al Gran teatro, al balletto, nel suo palco. Da noi, a casa di mio padre, se qualcuno si fosse provato ad andare al balletto c'era una sola punizione: t'avrebbe ammazzato! Io tuttavia vi feci una scappatina per un'oretta e vidi di nuovo Nastas'ja Filippovna. Non dormii per tutta quella notte. La mattina dopo il buon'anima mi dà due titoli al cinque per cento da cinquemila l'uno e mi dice: vai a venderli per settemilacinquecento rubli all'ufficio di Andreev, paga e poi senza andare in giro riportami il resto dei diecimila rubli. Ti aspetterò. Io vendetti i titoli, presi i soldi ma non passai dall'agenzia di Andreev e me ne andai difilato nel negozio inglese, dove spesi tutto per un paio di pendenti, ciascuno con un brillante grosso quasi quanto una noce, e restai anche in debito di quattrocento rubli, ma dissi il mio nome e mi fecero credito. Con gli orecchini me ne andai da Zalëžev: le cose stanno così e così, fratello, andiamo da Nastas'ja Filippovna. Ci avviammo. Di quello che avevo sotto i piedi, davanti e ai lati non so e non ricordo nulla. Entrammo direttamente nel suo salotto, e ci venne incontro lei stessa. Io allora non mi presentai, cioè non dissi chi ero io, ma Zalëžev dice: questo è da parte di Parfën Rogožin, in ricordo dell'incontro di ieri; degnatevi di accettarli. Lei aprì l'astuccio, vi dette un'occhiata, sorrise. Ringraziate, disse, il vostro amico signor Rogožin per la cortese attenzione. Fece un inchino e se ne andò. Bene, perché non sono morto in quell'istante? Infatti se c'ero andato, era perché pensavo: tanto, non tornerò vivo! Ma la cosa che mi parve più umiliante fu che quella bestia di Zalëžev si prese tutto il merito. Io sono piccolo di statura, ed ero vestito come un servo, e me ne stavo zitto con gli occhi sgranati su di lei perché avevo vergogna, mentre lui era vestito all'ultima moda, impomatato e con i capelli arricciati, roseo, la cravatta a quadretti, tutto complimenti e inchini, cosicché lei di sicuro l'ha preso per me! Be', dissi non appena fummo usciti, non osare nemmeno pensarci, hai capito? Si mise a ridere: ma tu ora come farai a render conto a Semën Parfënyè? Io, a dire il vero, avevo voglia di buttarmi subito in acqua, senza nemmeno passar da casa, ma poi pensai: tanto fa lo stesso! E come un maledetto tornai a casa.»
«Eh! Uh!» fece il funzionario contorcendosi, e si sentì persino rabbrividire, «vedete, il defunto non per diecimila, ma anche solo per dieci rubli era capace di mandarti all'altro mondo!» e fece un cenno col capo al principe. Il principe osservò con curiosità Rogožin. Pareva che in quel momento egli fosse impallidito ancor di più.
«Ti mandava all'altro mondo!» lo rimbeccò Rogožin. «Tu che ne sai? Subito» continuò rivolto al principe, «venne a sapere tutto. E del resto Zalëžev era andato a spifferare ogni cosa a tutti quelli che incontrava. Mio padre mi prese, mi chiuse a chiave al piano di sopra e mi dette una lezione che durò un'ora intera. “Questo - dice - è soltanto un assaggio. Ripasso a darti un altro saluto prima di notte”. Che cosa credi? Quell'uomo coi capelli bianchi andò da Nastas'ja Filippovna, si prosternò davanti a lei fino a terra, supplicò e pianse. Lei alla fine gli portò la scatoletta e gliela scaraventò. “Ecco - dice - vecchia barba, i tuoi orecchini. Adesso mi sono dieci volte più cari, se Parfën se li è procurati con tanto rischio. Saluta - dice - e ringrazia Parfën Semënyè.” Io, intanto, con la benedizione di mia madre mi ero procurato venti rubli da Serëžka Protušin, e m'ero diretto in treno verso Pskov dove arrivai febbricitante. Là le vecchie si misero a recitarmi le litanie dei santi mentre io ero ubriaco e poi me ne andai per bettole a spendere gli ultimi spiccioli e passai tutta la notte privo di sensi, steso per terra, e verso mattina mi venne il delirio, e nel frattempo durante la notte dei cani mi avevano anche morsicato. Ripresi conoscenza a stento.»
«Be', be', ora Nastas'ja Filippovna ci intonerà un'altra canzone» ridacchiò il funzionario fregandosi le mani, «ora, signore, altro che pendenti! Ora altro che orecchini...»
«Se dici ancora una parola su Nastas'ja Filippovna, guarda, com'è vero Iddio ti frusto, anche se sei andato in giro con Lichaèev!» gridò Rogožin afferrandolo forte per il braccio.
«Se mi frusti vuol dire che non mi scacci! Frustami! Se mi frusti mi lasci la tua impronta... Ma eccoci arrivati!»
Effettivamente stavano entrando in stazione. Anche se Rogožin diceva che era partito alla chetichella, c'erano alcune persone ad aspettarlo. Gridavano agitando i berretti verso di lui.
«Vedi, c'è anche Zalëžev!» borbottò Rogožin guardandoli con un sorriso di trionfo e anche quasi cattivo, e d'un tratto si rivolse al principe: «Principe, non so perché t'ho preso a benvolere, forse perché t'ho incontrato in un momento particolare. Però ho incontrato anche lui (e indicò Lebedev), ma non l'ho preso in simpatia. Vieni a trovarmi, principe. Ti togliamo queste ghette, ti vestirò con una pelliccia di martora di prima qualità, ti farò cucire una marsina di ottimo taglio e un panciotto bianco o come vorrai. Ti riempirò le tasche di soldi, e... andremo da Nastas'ja Filippovna! Verrai o no?»
«Prendetelo in considerazione, principe Lev Nikolaeviè!» saltò su Lebedev con aria ispirata e solenne. «Non lasciatevi scappare l'occasione, non lasciatevela scappare!...»
Il principe Myškin si alzò, tese cortesemente la mano a Rogožin e gli disse con gentilezza: «Verrò con grandissimo piacere. Vi ringrazio molto d'avermi preso a benvolere. Può anche darsi che venga oggi stesso se farò in tempo. Perché, ve lo dico sinceramente, anche voi mi siete piaciuto molto, in particolare quando avete raccontato dei pendenti di brillanti. Anzi mi siete piaciuto anche prima dell'episodio degli orecchini, anche se avete un viso cupo. Vi ringrazio anche per gli abiti e la pelliccia che mi avete promesso, perché effettivamente presto avrò bisogno di un abito e di una pelliccia. Quanto ai soldi, attualmente non ho quasi neanche una copeca.»
«I denari ci saranno, ci saranno prima di sera, vieni a trovarmi!»
«Ci saranno, ci saranno» confermò il funzionario, «ci saranno ancora prima del tramonto!»
«Ma voi, principe, siete gran cacciatore del genere femminile? Ditemelo prima!»
«Io, n-n-no! Io, vedete, voi forse non lo sapete, ma io a causa della mia malattia congenita, non conosco affatto le donne.»
«Be', se è così» esclamò Rogožin «tu, principe, sei davvero un santo, e Dio ama quelli come te!»
«Sì, il signore Iddio ama quelli così» confermò il funzionario.
«E tu seguimi, imbrattacarte» disse Rogožin a Lebedev, e tutti scesero dal treno.
Lebedev aveva finito per ottenere il suo scopo. Ben presto la rumorosa brigata si allontanò in direzione del Voznesenskij prospekt. Il principe doveva svoltare verso la Litejnaja. Il tempo era umido e piovoso. Il principe domandò ai passanti la distanza; avrebbe dovuto percorrere circa tre verste, e perciò decise di prendere una vettura di piazza.