Capitolo II-1

2067 Words
Capitolo II Il generale Epanèin abitava in una casa di sua proprietà un po' discosta dalla Litejnaja, verso la chiesa della Trasfigurazione. Oltre a questa casa (splendida), di cui i cinque sesti venivano dati in affitto, il generale Epanèin possedeva anche una casa enorme sulla Sadovaja, che gli dava anch'essa un reddito straordinario. Oltre a queste due case possedeva, proprio nei pressi di Pietroburgo, una tenuta assai redditizia e importante, e aveva anche nel distretto di Pietroburgo una certa fabbrica. In tempi passati il generale Epanèin, come è noto a tutti, aveva partecipato ad appalti. Al presente aveva una parte, e voce in capitolo, in alcune solide società per azioni. Veniva considerato un uomo con molti soldi, importanti occupazioni e grandi aderenze. In alcuni posti era riuscito a rendersi assolutamente indispensabile, e tra l'altro anche nel suo servizio. Nel frattempo era pure noto che Ivan Fëdoroviè Epanèin era un uomo senza istruzione che veniva dalla gavetta. Quest'ultima cosa, senza dubbio, non poteva che andare a suo onore, ma il generale, anche se era una persona intelligente, non era esente da piccole debolezze del tutto perdonabili, e non amava certe allusioni. Ma un uomo intelligente e abile lo era senza dubbio. Per esempio teneva per regola di non mettersi in mostra là dove era necessario passare inosservati, e molti lo apprezzavano proprio per la sua semplicità, proprio perché sapeva sempre stare al suo posto. Eppure, se soltanto questi giudici avessero potuto vedere che cosa accadeva talvolta nell'animo di Ivan Fedoroviè, che sapeva stare così bene al suo posto! Benché avesse realmente pratica ed esperienza nelle cose della vita, e alcune capacità davvero notevoli, amava apparire più come un esecutore di idee altrui che un uomo con idee proprie, una persona “devota senza adulazione” e - dove mai ci porterà il nostro secolo - persino russo e cordiale. A proposito di quest'ultima cosa, gli erano accaduti anche alcuni fatterelli divertenti, ma il generale non si perdeva mai d'animo, nemmeno di fronte ai fatti più divertenti. Inoltre aveva fortuna, persino alle carte, e giocava straordinariamente forte, e di proposito anzi non soltanto non voleva nascondere questa sua piccola per così dire debolezza verso le carte, che in tante occasioni gli era tornata davvero utile, ma anzi la metteva in mostra. Frequentava una società mista, ma s'intende, in ogni caso, “pezzi grossi”. Ma tutto era ancora da venire, c'era tempo, c'era sempre tempo, tutto avrebbe dovuto arrivare col tempo e al momento opportuno. Quanto all'età, poi, il generale era ancora, come si suol dire, nel fiore degli anni, cioè aveva cinquantasei anni e nulla di più, il che è in ogni caso il fiore dell'età, l'età in cui comincia realmente la vera vita. La salute, il colorito del viso, i denti forti anche se neri, la struttura tarchiata e vigorosa, l'espressione preoccupata al mattino in servizio e allegra la sera quando giocava a carte, o in casa di Sua Grazia, tutto contribuiva ai suoi successi presenti e futuri e cospargeva di rose la vita di Sua Eccellenza. Il generale aveva una famiglia fiorente. A dire il vero, qui non erano tutte rose, ma c'erano anche molte cose su cui da tempo ormai avevano cominciato a concentrarsi seriamente e amorevolmente le più grandi speranze e ambizioni di Sua Eccellenza. E del resto quale scopo nella vita è più importante e più sacro di quello di genitori? A che attaccarsi se non alla famiglia? La famiglia del generale consisteva della consorte e di tre figlie adulte. Il generale s'era sposato molto tempo addietro, quando aveva ancora il grado di tenente, con una ragazza che aveva quasi la sua stessa età, e non possedeva né bellezza né istruzione, per la quale egli aveva ottenuto in dote soltanto cinquanta anime, che, a dire il vero, erano servite da base alla sua ulteriore fortuna. Ma il generale non s'era mai lagnato in seguito del suo precoce matrimonio, non l'aveva mai considerato come un errore sconsiderato della giovinezza, e a tal punto stimava la propria consorte, a tal punto a volte la temeva, che persino l'amava. La generalessa era della stirpe dei principi Myškin, stirpe antichissima anche se non brillante, e grazie alla sua origine aveva un'alta opinione di sé. Un certo personaggio influente di allora, uno di quei protettori la cui protezione del resto non costa nulla, aveva acconsentito a interessarsi del matrimonio della giovane principessa. Questi aveva dischiuso una porticina al giovane ufficiale e gli aveva dato una piccola spinta, ma quello non aveva bisogno di una spinta, gli bastava forse anche solo uno sguardo, che non si sarebbe perduto invano! Salvo alcune eccezioni, i due coniugi erano andati d'accordo per tutta la durata della loro lunga unione. Ancora giovanissima, la generalessa era riuscita a trovarsi, in quanto principessa di nascita e ultima della sua stirpe, e forse anche per qualità personali, alcune protettrici molto influenti. In seguito, data la ricchezza e la posizione sociale del consorte, aveva cominciato anche a sentirsi abbastanza a suo agio in quell'ambiente molto elevato. Negli ultimi anni erano cresciute e maturate tutt'e tre le figlie del generale, Aleksandra, Adelaida e Aglaja. A dire il vero, tutt'e tre erano soltanto Epanèin, ma principesse da parte di madre, con una dote non piccola, con un padre che poteva aspirare in seguito, forse, ad un'altissima carica, e, pure abbastanza importante, erano tutt'e tre notevolmente belle, non esclusa la maggiore, Aleksandra, che aveva ormai venticinque anni compiuti. La seconda aveva ventitré anni e la minore, Aglaja, ne aveva appena compiuti venti. Quest'ultima era anzi una vera bellezza, e in società cominciava ad attirare su di sé una grande attenzione. Ma questo non era ancora tutto. Tutt'e tre si distinguevano per istruzione, intelligenza e doti naturali. Era notorio che si volevano un gran bene, e si sostenevano l'un l'altra. Si ricordavano persino certi sacrifici compiuti dalle due maggiori a favore della minore, che in casa era l'idolo di tutti. In società non soltanto non amavano mettersi in mostra, ma erano persino troppo modeste. Nessuna poteva rimproverarle d'esser superbe e arroganti, e fra l'altro si sapeva che erano orgogliose e consapevoli di quanto valevano. La maggiore era musicista, la seconda una notevole pittrice, ma quasi nessuno ne aveva saputo nulla per molti anni, e lo si era scoperto solo negli ultimi tempi e per caso. In una parola, di loro si facevano elogi straordinari. Ma c'erano anche le persone malevole. Si parlava con spavento del fatto che avevano letto tanti libri. Non avevano fretta di maritarsi; apprezzavano un certo ambiente sociale, ma non troppo, e ciò era tanto più notevole in quanto tutti sapevano le tendenze, il carattere, le ambizioni e i desideri del loro genitore. Erano già circa le undici quando il principe suonò alla casa del generale. Il generale viveva al secondo piano, e occupava un appartamentino modestissimo, anche se proporzionato alla sua importanza. Un servitore in livrea aprì la porta al principe che dovette dare lunghe spiegazioni a quest'uomo, che fin dall'inizio aveva osservato con sospetto lui e il suo fagottino. Finalmente, dopo reiterate e precise dichiarazioni che egli era davvero il principe Myškin e doveva assolutamente vedere il generale per un affare urgente, il servo titubante lo accompagnò in una piccola anticamera lì accanto, davanti alla sala di ricevimento e attigua allo studio, e lo lasciò nelle mani di un altro servitore che era di servizio la mattina in quell'anticamera, il cui compito era di annunciare i visitatori al generale. Quest'altro domestico era in marsina, aveva più di quarant'anni e un'espressione preoccupata, ed era addetto particolare al gabinetto di Sua Eccellenza e suo annunciatore, e di conseguenza era conscio della propria importanza. «Aspettate in sala di ricevimento, e lasciate qui il fagottino» disse mettendosi a sedere senza fretta e con sussiego nella sua poltrona, e lanciando occhiate severe e stupite al principe, che si era accomodato su una sedia accanto a lui, col suo fagottino in mano. «Se permettete» disse il principe, «preferirei aspettare con voi. Che farei là da solo?» «Voi non potete stare in anticamera, perché siete un visitatore, o un ospite, se preferite. Voi volete parlare proprio col generale?» Il lacchè, evidentemente, non poteva rassegnarsi al pensiero di far entrare un tale visitatore, e decise di interrogarlo ancora. «Sì, ho un certo affare» stava per cominciare il principe. «Io non vi chiedo di che affare si tratti precisamente. Il mio compito è soltanto di annunciarvi. Ma in assenza del segretario, ve l'ho già detto, non vi annuncerò.» La diffidenza di quell'individuo pareva aumentare sempre più. Il principe si discostava troppo dalla categoria degli abituali visitatori, e anche se il generale abbastanza spesso, se non ogni giorno, a una determinata ora riceveva, soprattutto per affari, visitatori a volte anche i più diversi, il domestico, nonostante l'esperienza e le istruzioni ricevute, che gli lasciavano ampia facoltà di scelta, era estremamente incerto; l'intervento del segretario per annunciare il principe era indispensabile. «Ma voi venite proprio... dall'estero?» chiese infine quasi controvoglia, però aveva sbagliato, perché forse voleva chiedere: «Ma siete davvero il principe Myškin?». «Sì, sono appena sceso dal treno. Mi pare che forse volevate chiedermi se sono davvero il principe Myškin, ma non l'avete chiesto per educazione.» «Mmm...» mugolò il lacchè meravigliato. «Vi assicuro che non vi ho mentito, e non dovrete rispondere per causa mia. E non c'è nulla da meravigliarsi che io sia in quest'arnese e con il fagotto; attualmente i miei affari non vanno tanto bene.» «Mmm. Vedete, non è questo che temo. Io sono obbligato ad annunciarvi, e il segretario verrà da voi, a meno che... Ecco, sì, c'è proprio un a meno che... Non è a motivo della vostra povertà che siete, se posso chiedere, venuto a sollecitare il generale?» «Oh no, di questo potete esser assolutamente certo. Ho un altro affare.» «Scusate, la domanda mi è venuta guardandovi. Aspettate il segretario. Adesso è occupato con un colonnello, ma poi verrà anche il segretario... quello della compagnia.» «Allora, se c'è molto da aspettare, vi chiederei: non c'è qui un posto dove fumare? Ho con me pipa e tabacco.» «Fu-ma-re?» fece il cameriere squadrandolo con perplessità mista a disprezzo, come se non credesse alle proprie orecchie, «fumare? No, qui non potete fumare. Il solo pensiero dovrebbe farvi vergognare. Eh!... che stravaganza!» «Oh, ma io non chiedevo di fumare in questa stanza. Lo so. Sarei andato da qualche parte, dove voi mi aveste indicato, perché mi ci sono abituato e sono già tre ore che non fumo. Comunque, come volete. Sapete, c'è un proverbio: nel convento altrui...» «Be', come vi devo annunciare?» borbottò quasi involontariamente il cameriere. «Per prima cosa non dovreste nemmeno aspettare qui, ma in sala di ricevimento, perché siete un visitatore, un ospite in altre parole, e potrebbero chiedermene conto... Ma avete intenzione di stabilirvi da noi?» aggiunse sbirciando ancora una volta il fagottino del principe, che evidentemente non gli dava pace. «No, non penso. Anche se mi invitassero non mi fermerei. Sono venuto solo per far conoscenza, e nient'altro.» «Come? Per far conoscenza?» chiese il cameriere stupefatto, con triplicata diffidenza. «Com'è che da principio avete detto d'esser venuto per un affare?» «Oh, quasi non è per un affare! Cioè, se volete, ce l'ho un affare, e sarebbe solo per chiedere un consiglio, ma soprattutto per presentarmi, perché io sono il principe Myškin, e anche la generalessa Epanèina è l'ultima delle principesse Myškin, e oltre a noi due non ci sono più altri Myškin.» «Allora siete anche un parente?» sussultò il lacchè ormai completamente spaventato. «Anche questo quasi non è vero. Del resto, se andiamo a cercare, naturalmente siamo parenti, ma così alla lontana che in realtà non si può nemmeno calcolare in che grado. Una volta, dall'estero, mi sono rivolto alla generalessa con una lettera, ma non mi ha risposto. Tuttavia io ho stimato necessario entrare in relazione con lei al mio ritorno. Io vi sto spiegando tutto questo perché non abbiate dubbi, perché vedo che siete ancora preoccupato. Annunciate il principe Myškin, e in quest'annuncio sarà già evidente il motivo della mia visita. Se mi riceveranno, bene, se non mi riceveranno, forse andrà benissimo ugualmente. Però credo che non potranno non ricevermi: la generalessa naturalmente vorrà vedere il più vecchio ed unico rappresentante della sua schiatta visto che, come ho sentito dire di lei in modo preciso, tiene molto alla sua stirpe.» La conversazione del principe pareva la più semplice del mondo, ma quanto più era semplice, tanto più, nel caso specifico, diventava assurda, e un cameriere esperto non poteva non accorgersi che c'era qualcosa che, se era perfettamente normale fra uomo e uomo, diventava assolutamente sconveniente fra un cameriere e un ospite. E poiché le persone di servizio sono assai più intelligenti di quanto normalmente credano i loro padroni, al cameriere venne in mente che c'erano due possibilità: o il principe era un vagabondo qualunque e veniva di sicuro a chieder soldi, oppure il principe era soltanto uno sciocco senza ambizione, perché un principe intelligente e ambizioso non sarebbe rimasto seduto in anticamera a parlare con un lacchè dei propri affari, e comunque, sia in un caso che nell'altro, non gli sarebbe poi toccato di risponderne?
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