Uno

1322 Words
Ci dividiamo una volta arrivati a metà corridoio, perché in prima ora abbiamo tutti lezioni diverse. Arrivo in aula quasi per prima, e mi siedo tranquillamente in penultima fila. Di solito sto sempre tra i primi banchi, ma questa notte tanto per cambiare non sono riuscita quasi a chiudere occhio quindi ho bisogno di potermi distrarre. Sblocco il cellulare e trovo vari messaggi non letti da parte di mia mamma, quindi decido di guardarli velocemente sapendo come reagisce se non rispondo in fretta. Da: Mamma Ciao amore sei arrivata a scuola? Da: Mamma Forse alla fine io e papà torniamo tra qualche altro giorno, non riusciamo a liberarci prima Da: Mamma Scrivimi quando sei a casa ricordati. E se hai bisogno di qualcosa chiama nonna. Le rispondo velocemente che sono arrivata, per niente stupita dal fatto che non ci sarà ancora per un po'. Da qualche anno a questa parte è diventata molto più apprensiva nei miei confronti, all'inizio delle superiori ha notato il mio radicale cambiamento di personalità e non si è mai riuscita a dare una spiegazione. Se solo gliel'avessi raccontato, le sarebbe tutto molto più chiaro. «Quello è il mio posto» Una voce mi distrae dai miei pensieri, e quando alzo la testa dal cellulare per rivolgere l'attenzione alla persona che ha parlato, non sono poi così stupita nel trovarmi di fronte Damiano. Io e lui non ci siamo praticamente mai rivolto parola in cinque anni, sappiamo l'uno l'esistenza dell'altro solo per l'odio reciproco che c'è tra i nostri gruppi. «Non so se lo sai, ma non usiamo i banchi assegnati da almeno tre anni.» Gli ricordo, siccome è già da molto tempo che i professori si sono arresi e ci hanno dato carta bianca almeno sullo scegliere i propri posti giorno per giorno. «Te dico che è mio» Senza lasciarmi scuotere minimamente dal suo tono autoritario, con fare scettico comincio ad esaminare ogni angolo del banco in modo plateale. Poi una volta finito torno a rivolgermi la mia attenzione, alzando le spalle e sfoggiando la mia migliore espressione ingenua. «Non mi sembra ci sia scritto il tuo nome sopra» Lo so, è una frase da elementari. Ma anche venire a fare i capricci per un banco è infantile, quindi sono stata praticamente obbligata. «Alzate» Mi impone, incrociando le braccia al petto e guardandomi dall'alto con fare intimidatorio. «No» Rispondo, semplicemente, più per una questione di principio che perché mi interessa effettivamente rimanere qui. Se pensa di fare lo sbruffone con me ha sbagliato di grosso. «M'hai già rotto er cazzo Biancaneve vedi de alzatte» Alzo gli occhi al cielo per il soprannome per nulla originale che mi viene affibbiato da quando sono piccola per colpa della mia carnagione chiarissima in contrasto con i capelli color pece e le labbra quasi rosse. «Scusa ma tu chi pensi di essere?» Gli domando con tutta la calma del mondo, alzando un sopracciglio ed incrociando tranquillamente le braccia sul banco. Lui resta zitto per un secondo in fase riflessiva, poi alza gli occhi al cielo mettendo in mostra la mandibola fortemente marcata e si avvicina a me di un altro passo. «So' quello che adesso te fa alzà» E in tutta risposta alla mia occhiata interrogativa, prende di peso la mia sedia con me seduta sopra e la solleva senza mostrare segno di particolare sforzo, con l'intenzione di scaricarmi il più lontana possibile dal suo banco. «Lasciami subito razza di cavernicolo!» Gli urlo, dimenandomi sulla sedia e dando spettacolo davanti a tutti. Non appena mi poggia a terra la porta sbatte, e io sono troppo infuriata per accorgermene. «Sei un maleducato, incivile e..» «David, Rossetti, ma si può sapere cosa diavolo sta succedendo?!» Urla il professore di latino non appena mette piede in classe, facendomi gelare il sangue prima ribollente nelle vene. «Stiamo facendo il gioco della sedia» Fulmino con lo sguardo Damiano, che non ci ha pensato due volte a rispondere con la sua solita strafottenza affossandoci ancora di più nelle sabbie mobili in cui ci ritroviamo. «Dal preside, Ora!» «Signor Colombo io non c'entro niente!» «Non voglio sentire scuse, fuori! Ora!» Urla di nuovo, indicandoci la porta con le sopracciglia aggrottate e il viso paffuto che diventa subito rosso per lo sforzo. Rivolgo lo sguardo a Damiano, inviperita, mentre lui si mette le mani in tasca ed esce dalla classe senza considerarmi minimamente, come se non fosse successo niente di che. Mi alzo come una furia e lo seguo, affrettando il passo per affiancarlo e possibilmente dirgliene quattro. «Non ci posso credere! In cinque anni non ho mai avuto una nota, figurati se sono mai andata dal preside! E adesso per colpa tua la mia vita è rovinata!» Dopo l'ultima frase Damiano arresta la sua camminata per un istante, girandosi a guardarmi con sufficienza e alzando un sopracciglio. «Okay, forse questo era troppo, ma non sai che conseguenze potrebbe avere sulla mia carriera!» Tornando a disinteressarsi completamente del mio discorso il moro riprende la sua marcia conoscendo evidentemente a memoria il punto in cui si trovano gli uffici del preside. Quando arriviamo davanti alla sua porta io sono un fascio di nervi, mentre il ragazzo al mio fianco sembra essere più tranquillo che mai. Bussa con sicurezza, e quando entriamo io vorrei morire per lo sguardo giudicante dell'uomo sulla sessantina che ci accoglie. Ci sediamo sulle sedie di fronte alla sua scrivania e io sto per sciogliermi dall'imbarazzo, non sapendo né cosa dire né come comportarmi. «Signorina Rossetti, questa è la sua prima macchia su un curriculum impeccabile» Osserva, con serietà, intrecciando le dita sulla scrivania dopo essersi sistemato gli occhiali rettangolari sul naso. «Le giuro che è stato tutto un malinteso, insomma...» «Il signor David l'ha incastrata? Non mi stupirebbe» Di fronte a quella domanda mi blocco. Aspettavo che me la facesse fino ad una manciata di secondi fa, ma ora che me l'ha posta non so se me la sento di scaricare tutta la colpa su di lui. Maledetta coscienza. Che poi alla fine farei la cosa giusta perché è stato davvero lui a fare tutto, eppure c'è qualcosa dentro di me che mi dice di non farlo. «È stata colpa di entrambi» Cedo alla fine, sbuffando, e la sedia di Damiano cigola da quanto si sposta violentemente per guardarmi con fare sconvolto. Eppure non credo di avere una faccia da stronza. «Capisco. In questo caso siete entrambi in punizione. Verrete qui ogni Venerdì per due ore dopo scuola» Sentenzia, trascrivendolo da qualche parte con la penna. È oggi venerdì. Per un momento mi viene voglia di protestare e di tirare indietro tutto quello che ho detto, ma poi mi arrendo e mi abbandono allo schienale della sedia girevole, con espressione disperata. «Potete andare.» Damiano si alza seguito a ruota da me, ma prima che possiamo fare un passo veniamo interrotti nuovamente dal preside. «Signorina India, posso chiamarla così vero?» Dice il vecchio uomo, e io tentenno per qualche istante in preda al panico. Deglutisco lentamente nel sentire quel nome con cui non mi chiama quasi nessuno, osservando con la coda dell'occhio Damiano che fortunatamente non sembra granché interessato. «Certo» «Bene. India, non si condanni troppo. È solo qualche giorno di punizione, accade a tutti» Annuisco, sistemandomi dietro all'orecchio una ciocca dei miei lunghi capelli corvini. Mi ha un po' rincuorata, anche se l'unica cosa che mi farebbe davvero stare meglio è uscire al più presto da questo ufficio. Ci congeda una seconda volta e a questo punto ce ne andiamo, mettendoci a ripercorrere al contrario la strada fatta qualche minuto fa. «Mi hai davvero parato il culo?» Mi chiede il modo dopo un po', e io lo guardo alzando un sopracciglio. «È così strano?» «Beh, io non l'avrei mai fatto per te» Viva la sincerità insomma. «Non l'ho fatto perché sei tu, l'ho fatto solo perché sono una persona decente» Chiarisco, prima di aumentare il passo e lasciarlo indietro, non volendo tornare in classe assieme a lui.
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