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2281 Words
2 Il risveglio non fu certo uno dei migliori. Le girava la testa, la tempia le faceva un male d’inferno e la nausea minacciava di farla vomitare ogni volta che respirava. Tentò di toccarsi il punto dolorante, solo per rendersi conto che non avrebbe potuto farlo con le mani legate saldamente sopra il suo capo. “Oh… merda….” borbottò, stando bene attenta a non fare movimenti bruschi. Aprì lentamente gli occhi cercando di valutare la situazione, tentando di capire quanto in realtà fosse finita nei guai. Beh… lo era davvero. Ci mise pochi secondi a capire che si trovava legata sopra un tavolo e che, se sentiva freddo, era per il fatto che era stata spogliata di tutto. “Bene, bene. Vedo che ti sei ripresa, finalmente.” Voltò la testa nella direzione da cui proveniva la voce, trovando Occhi Porcini ad attenderla. “Liberami subito! Idiota!” Alzò di poco la testa per insultarlo meglio, ma lo sforzo le provocò un eccesso di tosse ed il resto delle imprecazioni venne soffocato dai singulti. L’uomo le si avvicinò con aria preoccupata, arrivando a sostenerle il capo per evitare che finisse strozzata dalla propria saliva. “Piano, dolcezza. Calmati.” Carrie prese respiro più volte prima di riuscire a riavere un minimo di controllo. “Liberami” ordinò perentoria. L’uomo la riadagiò con cautela e sorrise. “Dolcezza… non ci penso proprio.” “Non chiamarmi dolcezza!” Lei lo guardò di traverso e mentre questi si allontanava, cercò di seguirlo con lo sguardo. Lo vide avvicinarsi ad un tavolo appoggiato contro una parete spoglia ed in parte scrostata. L’unica luce effettiva era quella che era stata accesa sopra il tavolo dov’era stata legata; il resto della stanza, che sembrava enorme, era però immerso in una tenebra inquietante. E quel tavolo, il cui contorno si scorgeva nella penombra, pareva luccicare grazie agli strumenti adagiati sopra di esso: una serie di oggetti dall’aspetto bizzarro e per niente rassicurante, tra i quali Carrie riconobbe delle lame che brillavano sotto le luci impietose dei neon, riflettendo con luccichii sinistri la perfetta pulizia dell’acciaio. “Beh? Cosa sono quelli? I tuoi giocattoli?” Carrie lo vide esitare e quindi sollevare uno dei coltelli, osservandone affascinato il bagliore. Lo accarezzò con un amore inaudito, lasciando intendere l’attenzione maniacale che riservava ai suoi attrezzi. “I miei giocattoli? Oh sì… questi sono i miei amori.” Sussurrò con tono reverenziale, quasi si stesse rivolgendo ad una reliquia sacra. “Ecco! Appunto! E tu vorresti dirmi che hai intenzione di usarli su di me? Suvvia! Non puoi sprecare un oggetto così prezioso per una come me!” L’uomo si voltò sorridendo beato, come se avesse appena assistito ad un miracolo. “Cosa te lo fa pensare?” “Ma mi pigli per scema? Vuoi forse dirmi che mi hai legata come un salame solo per farmi il solletico? Ma andiamo!” Carrie sapeva bene che essere sfrontata non l’avrebbe affatto sottratta dalle attenzioni del maniaco, ma doveva prendere tempo. L’uomo riabbassò la lama, appoggiandola con la stessa cura con cui aveva riadagiato il capo di lei dopo l’eccesso di tosse. Mosse un paio di passi verso una porta sul fondo della stanza, ma parve ripensarci e tornò indietro, fermandosi proprio vicino al tavolo. “Vado a prepararmi, dolcezza, per noi questa sarà una lunga notte.” Le accarezzò il volto quasi con affetto, soffermandosi sulla curva della mandibola. “Prepararti? E cosa devi fare? La ceretta? Strapparti le sopracciglia? Rimetterti lo smalto alle unghie? Suvvia tesoro, con tutta la migliore volontà di questo mondo, non diventerai mai una bellezza!” Lo schiaffo la colpì all’improvviso, ma non poté dire che fosse del tutto inaspettato. Con tutto quel provocare, un manrovescio era decisamente il minimo che si sarebbe dovuta aspettare. “Cagna! Sei solo una cagna schifosa! Una puttana!” La follia brillava in quegli occhi porcini, diventando sempre più evidente ad ogni respiro. “Ehi, vacci piano con le parole! Ok? Va bene, ho esagerato. Chiedo scusa.” Cercò di usare un tono convincente, mantenendo la concentrazione dell’uomo su di sé. Aveva bisogno di tempo. Tutto il tempo che fosse riuscita a recuperare, per dare modo a Reese di passare all’azione. Quell’idiota non si era ancora fatto vivo. Che cosa aspettava? Che quel pazzo la facesse a fette? Cosa stava facendo quell’altro idiota? Lavorava a maglia preparandosi una bella sciarpetta per l’inverno? Non appena lo avesse beccato, gliel’avrebbe stretta intorno al collo, la sciarpetta, e lo avrebbe impiccato con quella! L’irritazione crebbe, ma tentò di soffocarla per non dar modo all’uomo di colpirla ancora. Il demente aveva le mani pesanti ed un altro colpo le avrebbe mandato in tilt il cervello, arrivando a completare l’opera del bastone con cui era stata aggredita all’inizio della serata. “Siamo partiti con il piede sbagliato, amico. Io mi chiamo Carrie, e tu chi sei?” Vide l’uomo strabuzzare gli occhi, evidentemente sorpreso dal cambio di tono e di atteggiamento. Tuttavia quella nuova remissività parve calmarlo, dandogli un falso senso di trionfo. Le accarezzò di nuovo il viso con particolare delicatezza, soffermandosi con la punta delle dita sul punto in cui l’aveva colpita e che si andava già gonfiando. Un altro livido… Carrie fece uno sforzo notevole per non girare la testa e sottrarsi in questo modo al tocco. Fece uno sforzo per non dargli ulteriori soddisfazioni e per non fargli capire quanto la turbasse anche quel lieve contatto. Non voleva avere paura, ma non poteva farne a meno. Non poteva ricacciare nelle profondità del proprio animo gli anni terribili che aveva vissuto nella sua adolescenza quando, terrorizzata, aspettava l’arrivo a casa del patrigno. In quelle notti si era aggrappata all’errata convinzione che esistesse una giustizia divina, un qualcosa che, al di là del sole e delle nuvole, potesse intervenire a suo favore, sottraendola in questo modo all’alito alcoolico del patrigno. Alle sue mani sudaticce ed alla sua violenza di essere privo di coscienza e moralità. Ma il porco non era mai stato fulminato da una saetta divina. Non era mai rimasto annichilito da un qualche potere sovrannaturale… ed era stata lei alla fine a dover ricorrere ai propri mezzi per garantirsi la sopravvivenza. Non rimpiangeva affatto di averlo colpito con il ferro da stiro, né tanto meno di avergli spaccato la testa, rimpiangeva soltanto di non averlo fatto prima. Occhi Porcini la richiamò al tempo presente, facendole ricordare la propria presenza con una carezza che le percorse il corpo nudo. Rabbrividì, ma non di piacere. “Che fai? Ti prendi gli anticipi?” “Mi prenderò molto di più, dolcezza, ma più tardi, non adesso.” “E che cosa farai? Giocherai al dottore?” si pentì subito per il tono di scherno che aveva usato, ma nonostante l’evidente irritazione, l’uomo non reagì, le sorrise freddamente ritirando la mano. “Hai la lingua lunga, dolcezza, ma vedremo quanto voglia ti rimarrà di scherzare, una volta che inizierò a divertirmi con te.” Girò su se stesso facendo l’atto di andarsene, ma Carrie lo fermò, richiamandolo indietro. “Aspetta! Non mi hai ancora detto come ti chiami!” “Chiamami Fred.” “Ok Fred, perché lo fai?” Che razza di domanda! Perché è pazzo ed è fuori come un balcone svizzero con tanto di gerani pendenti!! Ecco perché lo fa! Carrie avrebbe voluto schiaffeggiarsi da sola, ma l’uomo tornò indietro riposizionandosi nuovamente vicino a lei. “Perché lo faccio?” “Già… perché sei costretto a legare una donna sopra un tavolo per eccitarti? Cos’è andato storto nella tua vita? Perché nella mia, tutto è andato di traverso. Se non fossi stata un rifiuto umano, non avresti avuto la fortuna di trovarmi su un marciapiede.” L’uomo parve vacillare. Carrie non capiva la ragione del suo turbamento, ma il modo in cui strinse quegli occhi suini, lo fece diventare improvvisamente ancora più pericoloso. Per un momento pensò di avere esagerato, di essersi addentrata in un territorio vietato. Forse non era stata proprio una buona idea ricordargli il passato e tentò di rimediare in qualche modo. “Scusa, non volevo impicciarmi dei fatti tuoi, ma penso che noi due siamo piuttosto simili: la vita non dev’essere stata clemente per nessuno dei due. Almeno, la mia non lo è stata affatto…” Carrie sentiva la propria voce salire di tono per il panico e le parole accavallarsi le une sulle altre, nel miserabile tentativo di riportare l’uomo nelle sue condizioni precedenti. “Andiamo, Fred. Non credi che potremmo intenderci, noi due? Non credi che potremmo sperimentare insieme un po’ di eccitazione, un po’ di gioia? Sono brava, sai? Sono una professionista, in fondo.” “Certamente tesoro. Lo faremo di sicuro.” L’uomo cancellò ogni proposito di andare a prepararsi per un evento che sarebbe dovuto avvenire successivamente e si diresse a passi decisi verso il tavolo con gli attrezzi. Agguantò una specie di pinza gigante, dai bordi evidentemente seghettati ed affilati. Carrie non voleva nemmeno sapere a che cosa gli sarebbe servita. Non era per nulla ansiosa di soddisfare una curiosità che nemmeno lontanamente provava. “Ehi… parliamone!” Ormai sudava e non per il caldo. Un movimento al limite del suo campo visivo attirò la sua attenzione. Si costrinse a non voltare la testa per verificare la realtà di quel lieve spostamento, cercando di non mettere in allarme il caro Fred. Piuttosto lo distrasse. “Parliamone. Cosa vuoi farne di quell’aggeggio? Mettilo via Fred, fai il bravo bambino. Potresti pentirti di non avermi dato retta!” “Taci, puttana! Ti strapperò la lingua con questa tenaglia, così non sarò più costretto ad ascoltare le tue stronzate!” Fred avanzava a passo lento, gustandosi la sua ansia evidente. Era sempre più vicino. Sempre più pericolosamente vicino. “Fred… guarda che è pericoloso giocare con certi attrezzi. Potresti farti tanto male…” Il tono suadente non servì ad ammansire l’uomo. “Coraggio, Fred… metti via quella cosa. Parliamo…” Lui allungò la mano con il palmo aperto, con il chiaro intento di percuoterla di nuovo. Carrie chiuse istintivamente gli occhi, preparandosi all’impatto inevitabile. Impatto che non giunse. Arrivò invece alle sue orecchie un suono soffocato che catturò la sua attenzione, costringendola a riaprire gli occhi. Reese torreggiava sull’uomo, sovrastandolo di venti centimetri buoni. E non era solo più alto, era decisamente più grosso. E mortalmente più cattivo. Come a voler confermare i suoi pensieri, Carrie vide Reese spezzare il collo di Fred, con una sola fulminea mossa delle sue grandi mani. Il c***k risuonò secco. Lo ruppe con la stessa facilità con cui lei avrebbe spezzato uno stuzzicadenti. Fred si afflosciò su se stesso rovinando al suolo con la sua mole, il suo ventre sporgente ed i suoi occhi porcini spalancati sul nulla. Reese rimase per qualche secondo in contemplazione del cadavere, poi volse lo sguardo su di lei. La percorse con un’unica occhiata, senza lasciare trapelare alcuna emozione o pensiero. Quando le rivolse la parola, la nota ironica risuonava nella sua profonda voce da tenore. “Sei comoda?” “Se sono comoda? Razza di imbecille, idiota, rimbambito! Ne hai messo di tempo! Che facevi mentre il pazzo minacciava di farmi a fette? La manicure? L’uncinetto? Lavoravi con i ferri del cinque? Sai dove te li metto, i ferri del cinque?” Carrie sbottò, buttando fuori tutta la tensione che aveva accumulato fino a quel momento. “Calma, sorella. Alla fine sono arrivato.” “Beh, potevi prendertela più comoda!” “Me ne ricorderò per la prossima volta.” Reese le sorrise, non accennando minimamente a liberarla. La contemplò con lo stesso interesse tiepido con cui aveva osservato Fred; con la stessa curiosità appena accennata nei suoi occhi grigioverdi. Carrie non aveva mai visto nessuno con quella tonalità di verde nelle iridi, nessuno che riuscisse a renderlo così brillante e cupo nello stesso tempo. Forse erano quelle striature d’argento a renderli così intensi. Gli occhi di Reese parevano sempre illuminati da un faretto interno, come se la natura lo avesse fornito di un dispositivo illuminante, che gli rendeva lo sguardo particolarmente attraente. Le lunghe ciglia scure sottolineavano maggiormente l’effetto di quel colore incredibile, dando profondità allo sguardo e rendendolo, semmai fosse possibile, ancora più inquietante. Aveva un viso in sintonia con quei fari luminosi, un viso che sarebbe stato perfetto, se non ci fosse stata quella lunga cicatrice che lo percorreva dall’occhio sinistro fin sotto la mandibola, assottigliandosi all’altezza del collo. Tuttavia, nonostante l’evidente deturpazione, Reese non era affatto brutto, semmai possedeva un fascino innegabile, dovuto forse alla sua natura pericolosa, piuttosto che ad un’avvenenza fisica vera e propria. “Hai intenzione di liberarmi o vogliamo giocare a fare le belle statuine?” Lui sorrise nuovamente, parendo divertito dalla stizza che dimostrava. “Devi andare da qualche parte?” “Nooo! Ma che dici? Non vedi quanto mi diverto a stare qui, nuda, legata ed in compagnia di due cadaveri?” Una lieve contrazione distorse le labbra dell’uomo, trasformando il sorriso iniziale in qualcosa di più inquietante. Una promessa di morte. Tuttavia Carrie non si lasciò impressionare. “Non è ancora l’alba, vampiro. Quindi non sei ancora in procinto di trasformarti in una mummia imbalsamata. Non raggrinzire la faccia che ti vengono le rughe e liberami da queste cazzo di corde!” Reese si avvicinò al tavolo, continuando a fissarla negli occhi. “Sei maledettamente impertinente per essere solo una fragile mortale! Sai cosa potrei farti? Lo sai in che stato potrei ridurti? E non potresti fare proprio nulla per impedirmelo!” Il suo tono basso, con quelle tonalità profonde che avrebbero fatto felice qualunque donna che amasse il sesso telefonico, arrivò a sfiorarle i timpani, facendoli vibrare dolcemente. A Carrie sfuggì un sospiro. “Piantala… Che vuoi fare? Mordermi? Ma smettila! Lo sai che sono infetta!” A lui lo aveva detto. A lui non aveva mentito, fidandosi in modo del tutto irrazionale di uno sconosciuto. Forse perché con lui non era destinata a finire in posizione orizzontale e perché comunque l’aveva salvata da una fine orrenda. Forse perché era già morto. “Ed io ti ho già spiegato che delle tue infezioni non so cosa farmene. A parte il fatto che sono immune alla tua malattia, non mi attaccherei alla tua vena nemmeno se stessi morendo di fame!” “Bene! Perché nessuno ti ha offerto di farti una bevutina!” “Morirei piuttosto!” “Sei già morto!” Si guardarono con una certa irritazione, a pochi centimetri l’uno dal volto dell’altra, poi Reese si rialzò sfregandosi le mani soddisfatto. “Bene. Credo che sia proprio giunto il momento di far sparire il caro Fred.” “Liberami!” “Dopo, mia cara. Dopo.” “Dopo un corno! Liberami subito!” Lui parve non sentirla nemmeno, si caricò il cadavere in spalla come se non avesse avuto un proprio peso specifico e si avviò fischiettando verso la porta. “Reese! Maledetto succhiasangue! Guarda che se non mi liberi subito io…” “Che fai, Carrie? Mi picchi? Uuh… sai che paura! Mi trema la dentiera al solo pensiero!” “Reese, non scherzare! Non puoi lasciarmi qui!” Davvero non poteva crederci. Che voleva fare? Abbandonarla, forse? Lasciarla morire di fame e di freddo? “Reese!” Il suo richiamo si perse nel vuoto, lui se n’era già andato. Per qualche tempo nello scantinato risuonarono solo gli insulti ululati a gran voce di Carrie.
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