CAPITOLO IMi preparo per il gran galà
Entro col casquet come la Carrà
Questo club sembra il Maracanà
Pietrifico cachet come Jerry Calà
Salmo, La festa è finita
9 agosto 2019
Il 9 agosto, Genova è mezza vuota. La domenica sera quelli che ancora sono in città hanno queste alternative di svago: gelato a Boccadasse e/o Spianata Castelletto. Concerto al Porto Antico, caos. Appe al Santa Chiara sulla zattera con i piedi a bagno.
I ricchi, il 9 agosto non sono a Genova, ma si fermano nelle ville alle porte della città: a Levante fino a Recco, a Ponente fino ad Arenzano. Se qualcuno dei ricchi ancora lavora il 9 agosto, domenica sera comincia il rientro in città poco prima di mezzanotte. Ma i ricchi, il 9 agosto in genere sono via. Molti vanno in Val d’Aosta perché a differenza del Trentino, è una valle da genovesi e da torinesi. È riuscita a mantenere una parvenza di sobrietà, nonostante l’assalto dei parvenu. I genovesi e i torinesi sono poco propensi all’espansività. Restia alla conoscenza senza motivi validi. La frase di rito è: “Chi sono quelli? Che cosa fa lui? E lei lavora? Ma va’?…”
La Valle d’Aosta dei valdostani è sempre piaciuta ai genovesi. Fisicamente è chiusa come loro, profonda e aspra, lievemente diffidente, ma solida e rocciosa. Una città di mare, ma alpina. O una città alpina con il mare. I genovesi sono un po’ alpini perché dietro alla loro città non ci sono colline, ma montagne anche se arrivano a poche centinaia di metri di altezza. Che vuol dire che se abiti al Righi stai in montagna. Loro le colline di Genova le chiamano monti. E per girare si sale e si scende. Ma sembrano di più le salite che partono dai moli e s’arrampicano lassù sui monti dove ci sono i forti di Napoleone e del maledetto generale Massena. Le discese sono veloci e indifferenti.
In Val d’Aosta esistono due colonie genovesi: Cogne e Courmayeur. Così le famiglie oligarchiche, armatori e petrolieri, costruttori e solidi bottegai, si sono equamente divisi in queste due riserve. Sono abbastanza vicine, ma non si parlano. Come alcuni genovesi che da decenni s’incontrano tutte le mattine nello stesso posto, caffè, incrocio, attraversamento e non si salutano. E quando uno non si incontra più si pensa che sia morto e basta. Senza lasciargli altre chance di salvezza.
Tutto questo polpettone perché? Perché il neo primo dirigente della Polizia di Stato, dottor Ferruccio Falsopepe da Ceglie Messapica provincia di Brindisi, da qui a poco avrà bisogno di spiegazioni sul tessuto sociale della Val d’Aosta e in particolare su Courmayeur e schiacciato dalla sua innaturale curiosità storica, chiederà lumi, come ormai fa dal 2001, all’amico professore di liceo in pensione.
La sera del 9 agosto 2019 a Genova, nella trattoria di Gino in piazza Sarzano a fianco alla chiesa di San Salvatore, davanti a una bella tavola imbandita ci sono insieme al neo primo dirigente la moglie Anna, insegnante di inglese al liceo classico, i figli Salvatore arrivato da Boston dove frequenta un master di Ingegneria navale, Michela all’ultimo anno di Economia con il fidanzato. E ci sono gli amici dei Falsopepe. Quelli che nel 2001 li accolsero, quando il commissario arrivò alla Questura di Genova per dare una mano durante il summit del G8. Finito male, con feroci scontri tra poliziotti e Black Bloc distruttori, ma anche con un mattatoio costruito per l’occasione da alcuni agenti e dirigenti per dare “una gran bella lezione” ai manifestanti.
Falsopepe, dopo il G8, aveva anche meditato di lasciare la Polizia. Lui non era un rivoluzionario né comunista né di sinistra. Era un vero uomo d’ordine del Sud. Ma il suo concetto di ordine non prevedeva le botte alle famiglie che sfilavano per le strade di Genova chiedendo pace e difesa dell’ambiente. Il dottor Falsopepe la Polizia l’amava. E gli amori per finire devono essere sempre massacrati dall’uno, dall’altra o da qualcosa. Il massacro a Genova c’era stato, così il commissario aveva vissuto settimane di angoscia, tormentato dal pensiero di non riuscire più a servire quello Stato dove c’era chi picchiava a casaccio.
L’aiuto della famiglia e di Anna, eccezionale donna della Valle d’Itria, la vicinanza sincera degli amici che li avevano accolti lo convinse a non mollare. Così, lentamente e silenziosamente, cercava di diventare genovese. Piano piano, con garbo e cautela.
Falsopepe aveva guidato la Omicidi quasi vent’anni. Un record con molti successi e molte delusioni, ma soprattutto tanti scontri con i vertici che non comprendevano il suo originale metodo di indagini: lunghi silenzi e lunghe camminate per la città, dentro e fuori dalle vecchie chiese gonfie di tesori d’arte e a flaneggiare per i caruggi del centro storico a capire la storia della Repubblica.
(“Ci sono i caruggi anche a Ceglie, ma sono bianchi. Qui invece sono grigi). E a chiedersi perché un poeta aveva scritto questo sonetto:
“Scorretta Plebe, Nobiltà insolente
Di trame e furberie ricchi Mercanti
Meta di ladri e non cercar più avanti
Usuraij assassini e miscredenti
Strade anguste cantoni ouzzole ti
Case al ciel, all’inferno gli abitanti,
Giovani guasti e donne marcie affatto
Di Sbirri immensità e Ufficiali tanti
E di sangue innocente vil mercato
Cospirazioni di pensieri insani
Traditori, bugiardi, instabil Stato
Forman Genova madre a tanti Giani”
Il vecchio Questore Zanfrondo da Solopaca provincia di Benevento, per esempio, gli rompeva le scatole. “Sempre in giro, sempre sotto gli altari… per fortuna che i santi e le madonne a cui rende omaggio l’assistono nelle indagini!”
Zanfrondo lo rimproverava, ma riconosceva il suo talento investigativo. Mentre da due anni aveva a che fare con quel Manrico Zecca, questore sovranista uomo di lago, soprannominato la Carpa per la sua viscidezza, in carriera senza meriti, ma possessore di un’antica tessera del partito che ormai governava, e che anche nelle questure aveva messo le prime solide radici.
Con lo Zecca proprio non c’è storia. Quello lo minaccia lamentosamente di contribuire al suo trasferimento a Macomer nel profondo della Sardegna. Zecca ha l’incubo di Macomer, mentre Falsopepe non teme questa eventuale destinazione perché in quel posto c’è già stato alcuni mesi a sostituire un collega ferito. Macomer ha il monte Sant’Antonio, i nuraghi, i boschi e la chiesa di San Pantaleo con uno splendido portale a timpano e la vista fino al Campidano. Lui quei tre mesi a Macomer, a seicento metri sul mare c’è stato benissimo e ha anche amoreggiato con una ragazza carina. Una scappatella senza sesso di cui Anna non è stata mai informata.
Lo Zecca non ha potuto astenersi dall’elogiarlo nell’ultima indagine che grazie a Falsopepe e alla dottoressa Silvia Conti, responsabile della Direzione regionale antimafia, ha portato all’intercettazione del boss ’ndranghetista Leone Lanzese conosciuto come il Granchio, U’Caure. Lanzese è stato ucciso in uno scontro a fuoco nel quale Falsopepe ha riportato serie ferite. Così per lui, con l’uscita dall’ospedale, è arrivata anche la promozione a primo dirigente, destinato alla Direzione centrale anti-crimine di Roma. Voluta espressamente dal ministro dell’Interno, il sovranista veneto Firmian di nome Gaspare che non si è fatto una questione politica nell’elogiarlo a più ripetizioni dopo lo smantellamento definitivo della feroce cosca tarantina.
Verso la fine di luglio arriva dal Viminale la notizia e la destinazione. Non una Questura, ma un ruolo operativo alla Direzione centrale.
Sede, Roma. Accettata con la solita disponibilità intelligente anche da Anna.
“Resteremo a Genova dove ormai si è radicata la nostra vita” spiega alle amiche e soprattutto alla terribile vedova Bonello, terzo piano interno 6 di piazza Manzoni, appartamento sotto quello dei Falsopepe, controllore attento dei movimenti e delle vicende nel condominio. Archivio ambulante di pettegolezzi da asporto.
In pochi giorni il primo dirigente ha trovato un appartamentino in affitto alle pendici dell’Aventino, tra gli alberi, via di Porta Lavernale, zona tranquilla, ma davanti ai fermenti culturali del Testaccio. In particolare a un tiro di schioppo dalla storica rosticceria Volpetti dove tutte le volte che era a Roma, il dottor Falsopepe non rinunciava a trascorrere qualche decina di minuti, in ambascia se optare per un tradizionale guanciale da gricia1 o qualcosa di più complesso.
Cerca consenso dalla moglie. “Siamo a metà strada tra Genova e Ceglie. Cinquecento chilometri per Genova, poco meno per il nostro trullo… voli giornalieri, il treno. Comodissimo, non credi?”
La risposta di Anna è rasserenante.
Succede che, avuto l’importante incarico romano, sistemato al suo posto genovese il suo fedele vice Pietro Acquafresca, Falsopepe decide di riunire tutti gli amici genovesi e la sua squadra per una cena proprio da Gino, dove la squadra si raduna almeno una volta alla settimana per fare il punto sulle indagini più difficili. Li raggiungono al tavolo: il libraio Alberto Serravalle e il professor Ottobrino Malinconico di cui vi diremo fra breve.
La squadra c’è tutta. Gneddu arriva con Di Natale, la Cordivioli e il vice Acquafresca. Poco dopo anche Bucinnà.
Manca solo la dottoressa Conti. Un ritardo di pochi minuti. Appare splendente, ancora più bella da quando ha sposato il libraio e da quel giorno manifesta anche una fase di ammorbidimento di carattere che Gino spiega a suo modo: “Trombare fa bene anche allo spirito e alla giustizia”.
Sono arrivati da Parigi anche i coniugi Bellechasse (un po’ come i Pardon amici dei Maigret…). Etienne Bellechasse ha frequentato con Falsopepe i corsi dell’Interpol e ora siede al Quai des Orfèvres proprio alla scrivania dietro la quale è stato per oltre cento romanzi il celebre commissario.
“Trofie al pesto con patate e fagiolini per tutti? Propone dalla cucina la mamma di Gino.
Solo la Cordivioli perennemente a dieta opta per un’insalata.
Falsopepe osserva i suoi ragazzi con l’atteggiamento di un padre. “Gran bella squadra” si compiace. “Speriamo che non me la demoliscano.”
“Demoliscano cosa?” chiede la Cordivioli. La frase smozzicata del primo dirigente è stata captata. Lui fa un gesto con la mano, come a dire: “Lascia perdere.”
Ci pensa Gino a rimettere in ordine le carte sul tavolo.
“Bianchetta e Barbera, minerale gassata e per cominciare vi dividete una bella fritturina alla genovese con le trippe e il latte dolce?”
Nessuno fa obiezioni.
Sorride il festeggiato. La lavagnetta vicina alla porta d’ingresso gli mancherà. Gino ci segna tutte le mattine i piatti del giorno e i consigli delle cuoche, la mamma e la zia. Trofie al pesto, corzetti2 al ragù di cabannina3, minestrone freddo e spesso, Pasqualina, uccelletto di vitello, stokke4 in umido, brandacujun5, grixella6 per dessert. In fondo sempre una scritta che apparentemente non ha nulla a che fare con il resto, tipica cucina genovese: pot-au-feu.
È nient’altro che un ammiccamento gastronomico nei confronti del libraio Serravalle che a pochi metri dall’osteria, in salita della Fava greca, all’ombra dell’immenso bagolaro, guida da anni la storica libreria Maigret, tempio del giallo e delle mirabilia dedicate a Georges Simenon.
Tutto quello che sa di Parigi permea i muri della libreria, si infila tra gli scaffali di ciliegio profumato, attraversa lo spessore di migliaia di libri, nuovi e vecchi, intonsi e consumati da mani e occhi avidi di emozionarsi sulle parole del commissario, godendo dei suoi ragionamenti e di una logica che ogni tanto si fa abbattere dai sentimenti: la pietà per esempio. L’amore.
Alberto Serravalle agli occhi dell’oste Gino è uno straordinario intellettuale che dà lustro al rione.
Il bollito è uno dei piatti amati dal commissario Maigret, che la signora Louise prepara la sera per il marito stanco e affamato. Così Maigret entra nella casa di Avenue Richard Lenoir, apre la porta, e accalappiato dagli aromi delle carni che bollono da ore, si fionda in cucina per il rito dell’innalzamento dei coperchi e del vasto naso abbandonato a sognare ondeggiando sui vapori.
Gino asseconda il libraio intellettuale trasformando il bollito inpotau-feu, assieme alla genovese testina che diventava una tête de veau da accompagnare con una sauce gribiche7. Povero Gino, lui che non è mai stato a Parigi!
La vita sulla piazza di Sarzano si è addormentata dopo che gli studenti della Facoltà di Architettura sono andati in vacanza e gli Erasmus sono ritornati nelle loro città.
C’è qualche turista giapponese che risale dall’Acquario e spera di entrare nel Museo della Scultura chiuso di notte.
“’Sti giappuneisgi du belin!” commenta Gino. “Mangian pescetti crui e travaggian tutto l’annu. Belinuin…”
“Niente monumento funebre di Margherita di Brabante” risponde pedante Falsopepe sfoggiando la sua erudizione storico artistica. “Quello sì che era amore… l’imperatore Arrigo, marito innamorato, nel segno di una eterna fedeltà per la moglie morta giovane di peste...”
“Basta papà, stasera non rompere con la storia!” protesta Michela sbaciucchiando il fidanzato per fare innervosire il gelosissimo padre.
Falsopepe finisce di sfasciare i pacchi dei regali.
Un video della squadra con frammenti di immagini di indagini condotte dal commissario nei vent’anni genovesi e un magnifico orologio da polso con incisi sul retro i nomi di tutto il gruppo. Da Serravalle e dalla Conti un bellissimo disegno di Lele Luzzati8 con Genova a fare da sfondo. Dal professor Malinconico un’antica guida della città e un manuale sull’arte di candire della fine del Settecento. Dai Bellechasse una confezione di prodotti di Fauchon tempio della gastronomia francese.
Gli amici conoscono i gusti del poliziotto. Gusti? Manie, ormai soltanto manie. “Deviazioni da senescenza” come le definiscono i figli. Ma Ferruccio Falsopepe non ha ancora sessant’anni!
È una di quelle occasioni che sono un misto di gioia per chi è promosso e avanza in carriera e di malinconia per dovere interrompere un tran tran che si dava per scontato fosse destinato all’eternità.
Macché. Succede sempre qualche cosa che si infila nell’ingranaggio delle abitudini acquisite della vita e lo blocca. Il comodo, l’abituale s’inceppa e l’imprevisto dà fastidio.
C’è anche il discorso. Ci sono l’applauso e lo champagne “francese!” fa notare Serravalle, offerto da Gino e dalla sua famiglia, compreso il selvatico padre pescatore.
C’è, tra il caffè e l’amaro, la telefonata del prefetto Cattaneo.
Una telefonata destinata a rallentare i programmi studiati nei minimi particolari dell’imminente trasferimento del primo dirigente da Genova a Roma, Aventino. O Testaccio?
Questa estate del 2019.
“Le chiedo scusa dottor Falsopepe…”
Il prefetto Cattaneo sistemato a Genova ancora dal vecchio governo scaduto, è un uomo dotato di una signorilità innata. Non l’ha mai sentito alzare la voce, né lamentarsi di qualche cosa, né parlare male di un collega. Nemmeno della Carpa, che pure ne avrebbe buoni motivi. Cattaneo, di Nizza Monferrato, adora il conte di Cavour, se ne sente in qualche modo erede non politicamente, ma stilisticamente. Cerca da anni una Contessa di Castiglione che condivida il suo stile anche tra le lenzuola, ma la caccia ha dato finora scarsi risultati.
“So che la sto disturbando in un momento di festa e me ne rammarico, ma c’è un problema.”
“Dica eccellenza…” Falsopepe si alza dal suo posto e col cellulare all’orecchio si allontana verso l’uscita della trattoria.
Anna sa che quando suo marito fa così, cioè lascia il gruppo e si apparta col telefonino, tira aria di rogne.
“L’hanno trovata poche ore fa. Era coricata su un prato vicino al fiume… lei conosce Courmayeur, dottore?”
Falsopepe ci era passato quattro volte. Andata e ritorno in auto a Parigi. E due indagini delicate. La caccia a un brigatista ricomparso dopo trent’anni dagli attentati commessi che era stato segnalato al di là del traforo in un paesino svizzero, Vallorcine. E, a Chamonix, il ritrovamento di un vecchio barone della medicina scomparso da Genova frastornato dall’Alzheimer.
“Più o meno eccellenza…”
“Seminuda, vestita fino alla vita e sotto niente. Via i calzoni e gli slip. Non sembra ci sia stata violenza ai primi riscontri. Il rossetto sulle labbra era ancora intatto. L’hanno uccisa con dieci coltellate. Un massacro dottore. Il guaio è che si tratta di Egle Presutti…”
“Parente del senatore?”
“La figlia.”
“Oddio…”
“C’è il finimondo a Roma e non le racconto che cosa sta succedendo qua.”
“Ce ne occupiamo noi?”
“No e il guaio numero due è proprio quello. Il caso è in mano ai carabinieri del luogo e stanno facendo casino. Hanno già fermato gli amici della morta e li stanno interrogando in caserma. La notizia si è sparsa e pare che siano già sul posto alcuni inviati e le televisioni. Sono partiti anche da Genova.”
“Capisco… ma il ministro?”
“Ha chiamato me. Firmian vuole che ce ne occupiamo noi. La ragazza è genovese, ma vagli a spiegare che il delitto non è stato commesso in Liguria. E poi il padre mi fa pena, piange e urla...”
“Ma io che cosa posso fare eccellenza? Fra poche settimane sarò a Roma come lei sa…”
“Lo so, lo so, ma Presutti è il braccio destro del ministro Firmian… lei sa che Firmian è stato quello che l’ha voluta a Roma. E ora vuole lei. Cioè vuole che lei vada a Courmayeur e controlli, magari facendo la sua indagine parallela… capisce?”
Eccome se Falsopepe ha capito.
“Almeno per qualche giorno, in assoluto incognito. Si tratta di capire come stanno veramente le cose. Se ci sono situazioni da tenere sotto stretto controllo. Povera ragazza finire così a ventiquattro anni. Povera fija…”
Cattaneo è un cuore tenero.
“Era sola?”
“Macché. Stava con un gruppo di amici. Lei lavora in una farmacia. Bravissima fija mi dicono, mai problemi. Ragazza d’oro. La madre è morta molti anni fa se lo ricorda?”
“Il problema è il padre…” scappa a Falsopepe.
Cattaneo tace.
“Dico al ministro che ci va lei?”
“Gli dica di sì. Parto subito, il tempo di andare a casa e riempire una valigetta…”
“Le abbiamo già trovato una camera… non è un granché, ma Courmayeur è piena, non si trova un posto… Pensione Dora nella frazione di Dolonne… conosce? È gestita da una vecchia famiglia di guide…”
No. Il primo dirigente dottor Falsopepe non conosce né la ridente frazione di Dolonne, alle pendici del Monte Chétif, né la Pensione Dora e l’antica famiglia di guide alpine.
“Abbiamo prenotato una camera matrimoniale così almeno potrà portare la sua signora se le fa piacere…”
La sera nella loro casa di piazza Manzoni con vista sul torrente Bisagno, quello che ogni tanto si incazza ed esonda combinando grandi casini, chiede ad Anna se ha voglia di accompagnarlo a Courmayeur.
Anna sorride. “Va’, va’ tranquillo e pensa che quella povera ragazza ha pochi anni meno di nostra figlia.”