Anna
Dolore e bagnato. Non sapevo da quanto tempo ero rimasta sdraiata a combattere contro la morte sul parquet ammuffito di quella cosupola nel bosco. Come ci ero finita? Perchè ero in una pozza di sangue, se gli infetti non si erano neanche avvicinati a me? Li sentivo sbattere contro la porta sbarrata alla meno peggio. Non sentivo quasi più niente. Non sapevo più niente. Oltre che la porta stava cedendo, e che io sarei morta. forse dissanguata, forse divorata da quelle bestie. Una calda lacrima mi scese per le guance, cadendo nella pozza rossa sotto di me. Sentì degli spari. Poi, qualcuno aprì la porta, sradicandola dai cardini troppo deboli, e gridò il mio nome. Vidi del rosso, un guizzo. Poi svenni, e pensai che quel rosso fosse stato del mio sangue, o la persona che, pensando fossi uno zombie, mi avesse sparato. In qualunque cosa, io ero morta. Avevo ritrovato la pace.
Non vedevo assolutamente niente. Buio. Non la chiara luce paradisiaca che mi aspettavo, o di cui si parlava nei libri. Il niente più puro. Non potevo essere all'inferno, ero stata fin troppo brava. Però perchè tutto faceva così male? Il fianco era un dolore continuo e forte. Sentivo un leggero bippertio, come di una macchina. -Sai quanto ci costerà questa?- disse una voce arrabbiata. -Si, signor generale. Me ne occuperò io personalmente...-rispose un'altra voce. Una voce familiare. -NON SIGNIFICA NIENTE. LE RISORSE NON CRESCONO SUGLI ALBERI SOLDATO.- gridò la prima voce, tagliando la frase dell'altra persona. Silenzio. -Sappi, che hai un debito con me- la prima voce parlò di nuovo. -Sisignor generale, signore- la seconda sembrava rigida quasi forzata. Poi, svenni di nuovo.
Una mano calda e dolce mi accarezzò la fronte. Cercai di aprire gli occhi. Vidi un viso. Il suo viso. Sorrisi. Ero morta, e lo avevo ritrovato. Ettore. Finalmente. Cercai di parlare, ma l'aria mi si bloccò in gola, come se le mie corde vocali si fossero atrofizzate. Uscì un gracchio disgustoso. -Shh... stai tranquilla. Ecco- la sua dolce voce colmava il silenzio che riempiva l'aria da giorni. Poi, un ondata di fresco mi si riversò in gola. Bevvi. Da quanto tempo non bevevo? -Hey. Con calma. Non strozzarti, non lo sopporterei- sorrise lui. Mi guardai intorno. Ero in una tenda verde scuro, probabilmente militare. -Sono.. sono morta?- chiesi finalmente. -No, ma ci sei andata incredibilmente vicina-, disse una voce lontana. La stessa che aveva gridato il mio nome nella casupola. Rosso... -Nicola?- girai un pelo la testa. -Il solo e unico- sorrise. Aveva il camice sporco e i pantaloni strappati. I capelli di solito rosso brillante, erano del colore del sangue. Però il suo fascino da amico sexy c'era sempre. I nostri soliti ruoli erano sempre gli stessi, anche durante la fine del mondo. Lui era il sexy, io la tipa del capo, che in realtà aveva più neironi di tutto il gruppo insieme, e ettore il capo responsabile e avventuriero. -Siete... siete vivi- non riuscivo a crederci. Eravamo vivi. Ed eravamo tutti insieme. -Cos'è successo agli altri? Voi... sapete se sono vivi anche loro?-. I due ragazzi si scambiavano uno sguardo preoccupato. -Io ho incontrato solo te.- disse Nicola dopo una piccola pausa. -O meglio, non ricordo di aver incontrato nessuno.- Ribadì. Ettore rimase in silenzio. -Tu ettore? hai notizie?- chiese Nicola. -Stefano e Mario erano con me. Ma...- i suoi occhi si rabbuioarono. Capimmo all'istante. La tenda militare si riempì di un silenzio pesante. -Voi ricordate qualcos'altro?- chiese. Per quanto fossi stanca, cercai di pensare. Niente. Non ricordavo niente. Neanche Nicola. Ettore sembrava quasi sollevato. -Amore, ora riposati- lui mi strinse la mano -Domani, vi racconterò-. Nicola uscì, e lo sentì gridare -Via, un po di privacy per il due dolci innamorati.- noi ridacchiammo, e il fianco mi lanciò uno scossa. Guaiai dal dolore. -Hey. Shh. Dormi tesoro, ne hai bisogno- lui mi baciò la fronte e poi io ripiombai nel buio del sonno con Ettore che mi accarezzava la mano dolcemente e sorrideva.
Non ricordo molto dell'inizio. Ricordo il panico quando parlavano di questa nuova malattia, e i caos nella piccola cittadina. Le strade che prima mi ricordavano la mia infanzia, si erano tramutate nell'inferno. Ricordo le faccie preoccupate dei miei genitori.-Vai tesoro- aveva detto mia madre dolcemente mentre mi aiutava a preparare uno zaino.-Tu va e trova un posto sicuro-. Il papà aveva da poco contratto la malattia. Un sui vecchio amico si era avvicinato, e lo aveva morso. I miei genitori erano già anziani. Uscì dalla casa in lacrime.
Dopo quello buio. Solo alcune senzazioni. Paura, solitudine, dolore, rabbia, ansia. Ogni volta che provo a ricordare, la testa mi martella. Quindi, penso il meno possibile.
Ettore una sera di sedette. -Chiedetemi, mi sento pronto.- aveva detto. Ma già alla quinta domanda aveva iniziato a fingere di star morendo di sonno. Poi, sbadigliando, disse :-Scusatemi ragazzi. è stata una giornata pesante. Potrete farmene altre domani.- Poi, scappò via. Non mi tenne la mano fino a che non mi addormentavo come al solito. Non mi aveva baciato la fronte. Solo un veloce "notte", e un corsetta. -Anna, devi capire che sono stati dei mesi... se non anni traumatizzanti per lui. Ci ha provato per lo meno.- sospirò Nicola. Già, pensai, ma lui sa qualcosa. Qualcosa di pericoloso.
Dato che stavo un po' meglio, il generale, a capo del campo militare dove ero finita, aveva detto che Ettore e Nicola dovevano iniziare a fare delle missioni per recuperare le risorse che io avevo sfruttatato. Non so perchè, ma sembrava che facesse apposta per farmi scaldare. Mi mandava piccole frecciatine tramite i dottori o parlava con delle guardie. Io sentivo tutto. Ma non mi sentivo in colpa per essere stata guarita. Mi avrebbe potuto buttare fuori. È stata una sua scelta. Non sono una persona che si arrabbia facilmente, c'è ne vuole per farmi alzare la voce, anche perchè ero una delle uniche ragazze in un gruppo di ragazzi irrequieti. Oh, i miei amici. Come mi mancano. Spero che stiano bene... e che non si siano tramutati in quelle cose.
Così, passarono i giorni. Era stressante. Loro andavano in missione, io stavo inutile attaccata al monitor che fa bi-bip. Ogni volta volevo fare domande, e scommetto anche Nicola, ma la mia curiosità veniva rimpiazzata dalla gioia di vederli, dato che capitava che tornassero dopo intere giornate. Giornate che passavo a pregare. Imparai a conoscere le infermiere. C'era la signora Gioia che mi cambiava le bende. Mi accarezzava dolcemente i bordi della ferita. -Cosa ti è successo tesoro?- chiedeva con il suo tono dolce. Ogni volta le spiegavo della casupola, del panico e del vuoto che avevo un testa. Lei sorrideva, il rossetto marroncino che quasi le si screpolava sulla bocca. Poi c'era Angela. Lei era più anziana e gestiva i farmaci. -Sempre con questa storia... Gioia muoviti che stanno arrivando altri soldati!- urlava roca contro Gioia. Ma a Gioia non importava. Lei mi sentiva blaterare la stessa storiella all'infinito, e non si stancava. Poi c'era il dottore. Un uomo imponente e inquietante. Veniva, controllava i parametri, a volte prendeva un campioncino di sangue (che spediva subito non so dove), oppure controllava il cambio della fasciatura. Lo trovavo un pelo inquietante, avere un'ombra scura che ti scruta in un momenti così vulnerabile.-Noto che sta guarendo in fetta signorina.- aveva notato la seconda o terza volta. Era vero. Dopo neanche una settimana si era quasi cicatrizzato, lasciando solo un livido violaceo con una spessa linea bianca al centro. Non pensai fosse strano. Ne avevo passate la fuori, da sola. Probabilmente il mio corpo aveva imparato a guarire più in fretta. Ma il dottore sembrava in ansia. Non gli diedi peso. Avevo i miei amici. Sarebbe andato tutto bene.
Meno di un mese. Ci avevo messo esattamente due settimane e mezzo per riprendermi completamente. Rischiare di morire dissanguata e guarire in poche settimane è un'obbiettivo di vita. O almeno pensavo. Il dottore parlava molto di più con Ettore. Uscivano, parlavano per un po, poi Ettore tornava con un sorriso super finto e diceva che sono solo cose di base. Protocollo della colonia. Ma sapevo non fosse vero. Un giorno quando rientrò, non stava sorridendo. Io e Nicola ci guardammo. -Il dottore ha detto che sei guarita completamente.- disse dopo un po'. -Scusa fratello, ma non dovresti essere... non lo so... felice..?- chiese incerto Nico. -Se una persona sta bene, vuol dire che puo servire nelle missioni. E... io devo un favore al Generale. Quindi cerchera di farci fuori il più possibile.- sospirò. Mi bloccai. -Allora perchè ha deciso di aiutarmi? Tanto ci avrebbe ucciso lo stesso!- il panico mi bloccava il respiro. Era... era colpa mia. La realizzazione mi saltò addosso come la scossa dopo che ti buttano un secchio d'acqua gelata per svegliarti. Finalmente vidi la verità. Se loro rischiavano era solo colpa mia. -Amore mio, il Generale è un manipolatore seriale. Farebbe di tutto per sapere che qualcuno gli deve un favore. Soprattutto un favore grosso come te. Segui le tre regole e ce la faremo.- lui provava a rassicurami. E funzionava. Lui funzionava sempre. Aveva spiegato le regole qualche giorno prima:
-Non tradire la fiducia dalla colonia;
-Fare tutto quello che dice il generale;
-Finché sei utile, puoi restare.
Feci un respiro profondo. Non avrei fatto fallire tutti solo a causa mia.
La mattina dopo, Ettore mi fece fare un giro della colonia. Era un vecchio condominio di uffici rimasi scioccata da quanto fossero organizzati. Torrette mitragliatrici, mercati, la mensa, una sala per le operazioni, la sezione delle armi, tende nel parcheggio, le persone che si preparavano per andare in missione o fare un turno di guardia, auto e taniche di benzina. -Però, è come in una dittatura- sussurrò. Poi mi portò all'edificio principale. Entrata, c'era un atrio enorme. E tantissime scale. Arrivammo all'ultimo piano che io avevo il fiatone. Lui era calmissimo, per quanto si sentisse non stesse bene. -Ci farai l'abitudine, purtroppo- sorrise alla fine delle scale. Entrammo nella stanza che diceva sulla porta a caratteri cubitali: GENERALE. entrare solo se richiamati o se autorizzati. Poi sotto, in più piccolo, si leggeva: si prega di bussare.
La stanza era enorme. Al banco dall'altro capo della stanza c'era seduto un uomo, divisa militare rigida con mille spillette, i capelli laccati all'indietro che brillavano, coperti da un cappello da generale. Sulla faccia, una maschera antigas enorme, che non faceva vedere niente del suo viso. -Salve signorina Anna. Soldato.- ci salutò cordialmente. Appena parlò, mi spaventai. Era l'altra voce che aveva gridato il giorno del mio arrivo. La voce era attutita dalla maschera. -Ho sentito che nel bosco vicino una cittadina, dovrebbe esserci un aereporto pieno di medicinali. In questo momento ci servirebbero, contando tutti quelli che abbiamo dovuto usare per le cure della signorina Anna.- ecco. Le frecciatine di cui parlavo. Perchè gli stavo così antipatica, che cazzo. Aveva scelto di tenermi solo per avere Ettore e Nicola in pugno. Gli avrei dovuto fare un favore, no? -Avrete una jeep, una mappa e armi. Vedete di tornare con qualcosa. Se no...- rise un po -Non scomodatevi neanche a tornare.-
-Mi ricordate perchè siamo sotto il comando di quel cretino?- chiesi dopo nel parcheggio, mentre mettevo un pile color prugna definitivamente troppo grande per me. -Vuoi tornare la fuori da sola?- chiese Nicola, mentre ripegava con gran cura il suo camice lo riponeva nel retro dell'auto. Glielo avevano fatto cambiare con un felpone verde sporco perchè non era esattamente la cosa più comoda da indossare nell'apocalisse. Tornare da sola. Mai. Mai più. Avevo ritrovato la serenità dai miei amici. Non mi serviva altro. Salimmo in macchina. I due ragazzi davanti, io dietro