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Padri e figli

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Arkadij Kirsanov e l'amico Bazarov, studente di medicina, materialista e antitradizionalista, autodefinendosi nichilista, si recano nella tenuta dei Kirsanov, dove vivono anche Pavel Petrovic, lo zio di Arkadij, un accanito conservatore e nostalgico aristocratico che tenta (con scarsi esiti) di gestire la sua masseria applicando sistemi liberali. Ben presto si accende una disputa tra l'animo rivoluzionario di Bazarov e l'orgoglioso Pavel, così i due giovani preferiscono partire per recarsi a trovare i genitori di Bazarov. I due giovani così conoscono Koljazin, parente dei Kirsanov e Anna SergeevnaOdincova, una donna giovane e affascinante, che invita i due giovani presso la sua tenuta, dove vive anche la giovane sorella Katja. Passano i giorni e ben presto comincia a rivelarsi una simpatia tra Arkadij e Katja e soprattutto di Bazarov verso Anna. Egli si spinge, contro i suoi stessi principi a dichiararle il suo amore. I due giovani decidono così di partire di nuovo.

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Capitolo I
Capitolo I “ Allora, Pëtr, non si vedono ancora?” domandava il 20 maggio 1859 un signore sui quarant'anni con un cappotto stretto e impolverato e dei pantaloni a scacchi, uscendo senza cappello sui gradini dell'albergo di posta sulla strada di *** rivolto al suo cameriere, un ragazzo dalla peluria bionda sul mento e dagli occhi piccoli e ottusi. Il cameriere, nel quale tutto, l'orecchino di turchese, i capelli tinti e impomatati, il modo di muoversi aggraziato, tutto indicava la sua appartenenza alla nuova generazione dei camerieri evoluti, guardò compiacente la strada e rispose: “ Nossignore, non si vedono.” “ Non si vedono?” ripeté il signore. “ Non si vedono.” rispose per la seconda volta il cameriere. Il signore sospirò e si sedette su una panchina. Presentiamolo ai lettori, mentre sta seduto, con una gamba ripiegata sotto di sé, guardando pensieroso la strada. Si chiama Nikolàj Petròvič Kirsànov. A quindici verste [2] dall'albergo possiede una bella tenuta di duecento anime, oppure, come dice lui stesso da quando ha diviso la sua proprietà con i contadini e ha avviato una ″masseria″ di duemila ettari. Suo padre, generale nella guerra del 1812, era un russo semianalfabeta, rozzo, ma non cattivo; aveva faticato tutta la vita, prima al comando di una brigata, poi di una divisione, e aveva sempre vissuto in provincia, dove, in virtù del suo grado, rivestiva un ruolo di una certa importanza. Nikolàj Petròvič era nato nel sud della Russia, come il fratello maggiore, Pàvel, di cui si parlerà più avanti, ed era stato educato in casa fino ai quattordici anni, circondato da istitutori di scarso valore e da aiutanti disinvolti e servili al tempo stesso. Sua madre, della famiglia Koljàzin, si chiamava da ragazza Agathe e da generalessa Agafoklèja Kuz'mìnišna Kirsànova e apparteneva al numero delle ″madri-comandanti″. Portava cuffie ridondanti di nastri e abiti di seta frusciante; in chiesa si avvicinava per prima alla croce, parlava molto e ad alta voce; la mattina si faceva fare il baciamano dai bambini e la sera li benediceva; in una parola, faceva i suoi comodi. In qualità di figlio di un generale, Nikolàj Petròvič, avrebbe dovuto, come il fratello, intraprendere la carriera militare, benché non solo non si distinguesse per l'audacia e si fosse, anzi, guadagnato il soprannome di vigliacchetto, ma proprio il giorno in cui arrivò la notizia della sua destinazione, si ruppe una gamba e, dopo aver passato due mesi a letto, rimase leggermente zoppo per tutta la vita. Il padre rinunciò per lui alla carriera militare e lo avviò a quella civile. A diciotto anni lo portò a Pietroburgo e lo iscrisse all'università. Il fratello, a quell'epoca, divenne ufficiale della guardia. I due giovani andarono ad abitare nello stesso appartamento sorvegliati a distanza da uno zio di secondo grado della madre. Il padre tornò alla sua divisione e alla sua consorte, e solo ogni tanto, mandava ai figli grandi ″in-quarto″ di carta grigia coperti di svolazzi da scrivano e firmati ″Pëtr Kirsànov, generale-maggiore″ tra eleganti ghirigori. Nel 1835 Nikolàj Petròvič si laureò e nello stesso anno il padre, generale Kirsànov, messo a riposo per un’ispezione mal riuscita, venne a vivere a Pietroburgo con la moglie. Affittò una casa vicino al giardino di Tauride e s’iscrisse a un club inglese, ma improvvisamente morì di mal di cuore. Agafoklèja Kuz'mìnišna lo seguì poco dopo; non era riuscita ad abituarsi al ritmo della capitale, la nostalgia della vita di campagna l'aveva consumata. Nel frattempo, Nikolàj Petròvič si era innamorato, con non poco dispiacere dei genitori, della figlia dell'impiegato Prepolovènskij, un tempo suo padrone di casa. La ragazza era graziosa e, come si dice, istruita: leggeva sulle riviste le rubriche scientifiche. Nikolàj Petròvič la sposò non appena si concluse il periodo di lutto e, lasciato il ministero degli appannaggi, dove era entrato perché il padre lo aveva fatto raccomandare, cominciò un'esistenza di beatitudine con la sua Màša; prima in una casetta vicino all'Istituto forestale, poi in città, in un piccolo e grazioso appartamento con una scala pulita e un salotto non ben riscaldato, e alla fine in campagna, dove si stabilirono definitivamente e dove, dopo poco, nacque il loro figlio Arkàdij. Vivevano felici e in pace. Non si separavano quasi mai, leggevano insieme, suonavano a quattro mani e cantavano duetti; lei seminava fiori e curava il pollaio, lui solo di rado andava a caccia e in generale si occupava dell'azienda, intanto anche Arkàdij cresceva, felice e in pace. Dieci anni passarono come un sogno, ma nel 1847 la moglie di Kirsànov morì. Nikolàj Petròvič non riusciva a vincere il dolore e invecchiò in poche settimane. Decise di andare all'estero per distrarsi un poco... ma era il 1848 ( [3] ) , e dovette, suo malgrado, tornare in campagna. Dopo un periodo d’inattività, cominciò a occuparsi delle riforme agrarie. Nel 1855 iscrisse il figlio all'università e trascorse con lui tre inverni a Pietroburgo, senza mai uscire di casa e cercando invece di conoscere i compagni di Arkàdij. L’inverno precedente non aveva potuto lasciare la campagna ed ecco perché lo vediamo, nel mese di maggio del 1859, ormai decisamente invecchiato, più grasso e un po' curvo, attendere il figlio che, come lui una volta, si è appena laureato. Il cameriere, per riservatezza o forse per evitare lo sguardo del padrone, andò a fumare la pipa nell'atrio dell'albergo. Nikolàj Petròvič abbassò la testa e cominciò a osservare i gradini consumati lungo i quali passeggiava con sussiego un grosso pulcino screziato, battendo sul legno le sue grosse zampe gialle, mentre una gatta tutta sporca lo fissava, ostile, restando accoccolata sul parapetto. Il sole era alto, dall'atrio semibuio dell'albergo si propagava un profumo tiepido di pane di segala. Nikolàj Petròvič sognava: ″Mio figlio... laureato... Arkàša...″ queste parole continuavano a risuonare nella sua mente. Provava a pensare ad altro e di nuovo eccole ritornare. Ricordava la moglie... ″Non ha aspettato!″ sussurrò con tristezza... Un colombo grigiazzurro volò sopra la strada e andò a bere in una pozzanghera vicino al pozzo. Nikolàj Petròvič si mise a guardarlo, ma il suo udito coglieva già il fragore delle ruote che si avvicinavano. “ Forse arrivano.” disse il cameriere, uscendo sul portone. Nikolàj Petròvič si alzò di scatto e strinse gli occhi per osservare meglio la strada. Apparve una carrozza trainata da tre cavalli di posta; nella carrozza intravide la visiera di un berretto studentesco e i noti contorni del caro viso... “ Arkàša! Arkàša!” gridò Kirsànov, e corse agitando le braccia... Pochi istanti dopo premeva già le sue labbra contro la guancia imberbe, impolverata e accaldata del giovane laureato.

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