PrologoLa strada panoramica del monte Moro emergeva lentamente dalla notte, srotolando il suo nastro grigio d’asfalto lungo i fianchi ancora bui della montagna. Dalla foschia notturna affioravano magri arbusti d’erica, massi brunastri, e più in alto i ripetitori della televisione. Nessuna macchina in giro, nessuna luce nelle villette piantate come totem in mezzo alle fasce. Solitarie e forse disabitate, illuminate a tratti dalle sciabolate dei fari di due furgoni bianchi. Arrancavano piano, i motori tenuti al minimo, le grosse ruote che mordevano pazientemente l’asfalto. Metro dopo metro. All’interno i militari si stavano allacciando i giubbotti antiproiettile con gesti precisi e lenti. A un biondino con l’acne sul viso, tremavano le mani. Non era alla sua prima azione, tuttavia la paura gli stringeva la gola. Controllò ancora una volta la mitraglietta. Sono pronto, disse. La voce gli uscì leggermente distorta e soffocata dal passamontagna nero. Odore spesso di fiato e saliva acida.
Gli altri sei annuirono in silenzio.
Nel sogno Paolino compiva vent’anni ed era diventato un bel ragazzo dallo sguardo malinconico. Capelli scuri come quelli di Antonia, soltanto più fini. Una lanugine quasi. Nel sogno rideva e la chiamava mamma. Anche lei rideva e gli diceva di aspettare che ci sarebbe stata una sorpresa. Lui scuoteva la testa ed apriva le mani in un gesto che ad Antonia ricordò suo padre. Ora Paolino non sorrideva più e il viso appariva sfuocato come se una gomma ne cancellasse i contorni. Suo figlio scompariva e lei, impotente, non poteva fare assolutamente nulla se non stare a guardare sperando che qualcosa di lui rimanesse.
Antonia si svegliò di soprassalto sudata, il cuore che batteva furioso. Una tempesta! Accanto a lei Piero russava, ma piano. Un fiato tiepido... Si alzò di scatto in preda all’inquietudine. Devo sentire Emma, devo sapere se Paolino sta bene, pensò scendendo silenziosa le scale. Nadia e Fabio avevano lasciato la porta della loro stanza aperta. Dormivano abbracciati, le lenzuola ammucchiate, le natiche di Fabio bianche e magrissime. Per terra alcuni fazzoletti di carta dall’aspetto inequivocabile. Antonia arrossì imbarazzata. In cucina si fece una tazza di tisana e la bevve in piedi, davanti alla porta finestra. Fra poco sarebbe stato giorno. Lo si intuiva dalla luce chiara che si allargava sul mare e dalle antenne del monte di Portofino che si stagliavano contro il cielo che sbiancava.
Questa sera parto, pensò Antonia con un brivido d’eccitazione.
Chissà come sarebbe stata la vita a Parigi da sola. Scosse la testa pensando che comunque la sua relazione con Gavino stava esaurendosi. Con o senza Parigi. Nuovamente scosse la testa e rabbrividì pensando alla precarietà della sua vita. Le sarebbe piaciuto fermarsi a Genova e vivere come una persona normale; si sarebbe ripresa Paolino, avrebbe accettato quell’incarico all’università. Immaginò una vita scandita dalla quotidianità: il lavoro, le cene al ristorante, gli amici. Lo shopping. Da quando non entrava più in un negozio per il gusto di curiosare? Da quanto tempo non usciva con le amiche? Chiacchiere e pettegolezzi futili. D’estate vacanze al mare, a Natale tutti a sciare a Limone.
Cioè la morte, disse a voce alta.
Si passò una mano tra i capelli che portava molto lunghi. Il suo unico vezzo. Per il resto girava infagottata in jeans sbiaditi e informi maglioni neri. E nemmeno troppo puliti, per la verità. Finì la tisana e tornò di sopra. Piero dormiva sempre. Pareva molto sereno e in pace con il mondo. Si stese accanto a lui cercando di riprendere sonno. Pensò di nuovo a Paolino e si accorse che stava piangendo.
Alle cinque e trenta del mattino la squadra speciale del colonnello Colasanti fece irruzione nella casa.
Antonia e Piero furono i primi a morire, crivellati da un numero imprecisato di proiettili che stamparono sulle pareti frammenti di ossa, materia cerebrale e sangue.
Fabio e Nadia cercarono di scappare attraverso la portafinestra ma furono raggiunti dalle corte mitraglie degli agenti di Colasanti. La testa di Nadia, quasi staccata dal busto, ciondolò per una frazione di secondo prima di piegarsi all’indietro e così rimanere. Inerme.
Fabio urlò, annaspò con le mani davanti al viso, per un attimo pensò che ce l’avrebbe fatta. I suoi piedi urtarono contro il cordolo che circondava la casa. In fondo al giardino la recinzione sembrava lontanissima. Impossibile raggiungerla.
Oh, Nadia, come è facile mo...
Non riuscì a completare il pensiero. Il suo corpo rimase un attimo immobile, pieno di muto stupore, e poi crollò di botto.
Erano passati esattamente cinquanta secondi da quando la squadra speciale di Colasanti aveva fatto irruzione.