1Parlare di Antonia mi è difficile dopo quello che è successo e a volte stento a ricordarmi il suo viso, come se non l’avessi mai conosciuta veramente.
Talvolta Antonia pensava alla vita come a un gioco. In quei momenti ritornava bambina; il vento le scompigliava i capelli, l’erba del bosco le mordeva le caviglie e lei correva spavalda incontro al lupo. E quando finalmente si incontravano il lupo rimaneva immobile e, sottomesso, le mostrava le parti molli.
Un gioco.
Antonia giocava anche quando aveva sposato Piero e continuava a giocare nella bella cascina di Marengo che lei aveva trasformato in una comune sgangherata e coloratissima. Sacchi a pelo, zaini militari, brandine un po’ ovunque.
Un gioco.
Una sera che Piero era rimasto in Facoltà ad occupare, qualcuno si era infilato nel suo letto e Antonia, prendendolo per la prima volta in bocca, aveva pensato che lei viveva ai margini della vita, che forse stava sciupando tutto e che, se continuava così, sarebbe semplicemente svanita, sparita, dimenticata in qualche letto frettolosamente rifatto. Come se non fosse mai esistita.
Quella primavera Antonia rimase incinta di Paolino. Un anno dopo entrò ufficialmente in clandestinità.
Quando Antonia rimase incinta di Paolino fui la prima a saperlo.
Quel giorno mi diede un appuntamento fuori Alessandria, in un centro commerciale che avevano aperto da poco. Arrivò trafelata infilata in un abito indiano di garza ed era piena di bracciali da due soldi. Mi disse che aspettava un figlio, ma che non voleva mettersi nei guai con un aborto clandestino. Disse anche che io ero la persona che lei amava di più al mondo e che sarei stata una madre perfetta per il bambino.
Disse così.
In effetti sono stata una buona madre per Paolino.
Paolino non ha mai conosciuto Antonia.
Antonia e Piero si trasferirono a Genova nell’estate del 1974, subito dopo la nascita di Paolino. Piero aveva girato a lungo prima di trovare la casa giusta: doveva essere abbastanza isolata, possibilmente senza vicini curiosi, spaziosa quel tanto per ospitare i compagni di passaggio. Arrivavano all’improvviso e si fermavano due o tre giorni e poi ripartivano. Magari di mattina presto quando tutti dormivano.
La casa sul monte Moro pareva l’ideale. Era una costruzione gradevole, piacevolmente borghese, con un piccolo giardino che terminava sul fianco della montagna. Un boschetto di cedri la proteggeva e l’isolava dal resto del mondo. D’inverno la nebbia la nascondeva alla vista, d’estate l’ombra dei cedri si allargava fresca sul tetto. Da lassù il mare pareva immenso e talvolta il suo riflesso abbagliava. Bel posto, aveva esclamato Piero compiaciuto.
Avevano sistemato la casa con i soldi di una rapina alla Banca Popolare di Novara.
Non ho idea del perché Antonia rapinasse le banche. I soldi non ci sono mai mancati. Non siamo ricche ma possiamo permetterci di vivere di rendita. I nostri genitori ci hanno lasciato delle terre dalle parti di Serravalle. Danielli, che è il nostro avvocato, un giorno ci ha detto che dai nostri terreni sarebbe passata l’autostrada e di aspettare a vendere. Abbiamo fatto così e dall’oggi al domani ci siamo ritrovate con un bel po’ di quattrini.
Antonia ha sempre detto che erano soldi sporchi, non ha mai voluto toccare nulla delle nostre rendite. Giocava a fare la rivoluzionaria, ha sempre giocato lei!