CAPITOLO DUE-2

2021 Words
Kathy si era abbassata, rimettendo insieme in una pila i piccoli oggetti sparsi. Se fosse riuscita a metterli a posto prima… Aveva aggrottato le sopracciglia. Ci era voluto un momento per capire cosa fossero quelle piccole cose d’avorio. Persino dopo, Kathy aveva provato a non allarmarsi all’idea che il fratello conservasse delle ossa di dita. Non pensarci troppo, aveva detto a se stessa. Non c’è ragione di avere reazioni eccessive soltanto perché Toby ha delle ossa in una scatola. Ma non aveva potuto fare a meno di ricordare il fratello che la strattonava via dall’armadio qualche giorno prima, una mano a tirarle i capelli e l’altra conficcata nel braccio. Era stato così arrabbiato quando aveva pensato… cosa? Toby non aveva mai spiegato perché si fosse innervosito. Kathy stava soltanto cercando la scatola con le vecchie foto di famiglia di quando la mamma era viva; desiderava guardarle e aveva pensato che potesse averle lui. Avrebbe voluto chiederglielo prima; in effetti aveva la bocca mezza aperta per domandarglielo mentre si avvicinava all’armadio, ma Toby era schizzato dal letto e l’aveva praticamente scagliata a terra. L’espressione negli occhi del fratello l’aveva spaventata. Non per quello che c’era, ma per quello che non c’era. Aveva gli occhi di uno squalo, vuoti, senza consapevolezza né empatia. Ci sono un’infinità di possibili spiegazioni per le ossa, giusto? Giusto? Non ne era sicura, ma aveva provato a riflettere. Aveva pensato che quei piccoli feticci, o qualunque cosa avrebbero dovuto essere, fossero fatti di vere ossa e non di qualcosa di sintetico come la plastica. Non sembravano simili né al tatto né alla vista alla collana di ossa finte che Toby aveva ricevuto per il martedì grasso l’anno precedente. La consistenza, il colore, persino il peso di quelle ossa era diverso, come il bacino di cervo che una volta aveva trovato nel campo di grano sul limitare del bosco. Anche se quelle erano ossa vere, però, non era una ragione sufficiente per spiegare il senso di disagio crescente alla bocca dello stomaco. Ossa di animali, probabilmente. Toby aveva sempre avuto interesse in quel genere di cose, ossa di animali e pellicce e la caccia e tutto il resto. E okay, forse erano persino ossa di un animale che aveva le dita, come una scimmia, o… o un… Sono ossa umane. La certezza aveva attecchito prima che potesse escluderla. La vocina nella sua mente e il senso di inquietudine non le avrebbero permesso di dare una spiegazione diversa. Erano delle vere ossa umane, ma di chi? Toby ora si era messo a profanare tombe o qualcosa del genere? Di chi potevano essere quelle dita… E allora Kathy si era ricordata degli articoli di giornale, quelli sulle donne assassinate. Tutte quelle povere donne, i cui corpi in alcuni casi erano stati rinvenuti non lontano da dove lei da ragazzina aveva trovato quell’osso pelvico di cervo… tutte avevano delle dita mancanti. E Kathy aveva avvertito la nausea. Un secondo dopo aveva fatto ricadere velocemente le ossa nella scatola, pulendosi le mani sulle cosce con vigoroso disgusto. Toby? Una parte di lei resisteva all’idea di mettere insieme i pezzi. Avrebbe voluto dire che Toby aveva fatto delle cose orribili e, be’… non era possibile. Sicuro, era lunatico, e di certo aveva un caratteraccio, ma la persona che stava compiendo quegli omicidi era un qualche tipo di mostro. Dopotutto quelle donne dei giornali erano state violentate, incise, pugnalate, e gettate come spazzatura tra i boschi. E le loro dita… E quella probabilmente non era la parte peggiore. Kathy aveva letto da qualche parte che la polizia non aveva diffuso alcuni dettagli in modo da poter scremare i pazzi che confessavano crimini che non avevano commesso. Perciò di conseguenza c’era dell’altro. Il Toby che conosceva, per quanto fosse uno stronzo, semplicemente non poteva essere capace di compiere simili azioni brutali. Okay, qualche volta era spiacevolmente strano con lei, il modo in cui la fissava, in cui fissava il suo corpo, con una specie di espressione affamata e arrabbiata. Ma le persone passavano periodi duri nella vita, in cui facevano cose, o desideravano fare cose, che non le definivano di per sé e che alla fine si superavano crescendo. La vita di Toby era stata quasi tutta un momento difficile. E poi c’era stato quel vecchio cane che lui aveva detto di aver trovato morto, e le aveva spiegato che lo stava incidendo per vedere come fosse dentro. Non era peggio della caccia, davvero, perché lo aveva trovato già morto. Ma le persone sperimentavano, no? Papà aveva detto che il ragazzo aveva bisogno di uno sfogo per quel suo caratteraccio… Toby ha ucciso quel cane e tu lo sai. Lo sapevi anche allora, le aveva detto la vocina. Lo ha ucciso come ha ucciso quelle donne. No. No e basta. Nessuna persona imparentata con lei, con lo stesso sangue nelle vene e lo stesso DNA e la stessa educazione, avrebbe potuto fare cose così orribili ad altre persone. Perciò forse Toby aveva trovato la scatola. Kathy l’aveva raccolta cautamente. Mentre rigirava la scatola, il leggero rumore delle ossa all’interno le fece rivoltare lo stomaco. Magari Toby aveva guidato per un bel pezzo, poi aveva fatto una passeggiata tra i boschi e l’aveva trovata semplicemente lì. Magari. O magari, aveva suggerito la vocina nella sua testa, così sicura di sé, magari ha bollito la carne fino a farla cadere dalle dita di ciascuna vittima e ha tenuto le ossa come trofei in modo da poter fantasticare ancora e ancora sugli omicidi. Forse era quello il motivo per cui l’aveva strattonata così violentemente per allontanarla dall’armadio. Non voleva che trovasse la sua piccola scatola di tesori. Si era alzata su gambe instabili, facendo scuotere il contenuto della scatola con le mani tremanti, e cautamente era tornata all’armadio. Avrebbe rimesso il contenitore dove stava e… avrebbe pensato. Avrebbe pensato a cosa fare. Forse prima avrebbe potuto parlare con Toby di ciò che aveva visto. Forse se glielo avesse semplicemente chiesto, il fratello avrebbe potuto spiegarle ogni cosa e magari quella spiegazione non avrebbe avuto niente a che fare con gli omicidi locali. Magari ci sarebbe stata una perfetta… Un dolore pungente alla nuca l’aveva fatta gridare e, prima che potesse accorgersi che si trattava di dita tra i capelli che tiravano, la scatola le era scivolata dalla mano, spargendo di nuovo il contenuto, e Kathy si era ritrovata con la schiena sul pavimento della camera, con Toby sopra di lei. La solita espressione smorta negli occhi era stata sostituita da una di spregevole furia, non come un fuoco, ma come una tempesta di ghiaccio, un urlante e turbinante maelstrom d’odio. Le ci erano voluti diversi attimi in più per vedere il coltello. Era scintillante. Pulito. Sembrava nuovo di zecca. La lama lucida e argentea aveva catturato e bloccato il tempo stesso per quelli che erano parsi interi minuti prima che la voce di Toby finalmente si facesse largo fino a lei. «Cosa. Cazzo. Stai facendo?» Le parole erano rotolate come pietre dalla sua bocca, ogni segmento di frase puntualizzato dalla mano sulla gola di Kathy che la tirava su e le sbatteva la testa contro il pavimento. Toby puzzava di whisky a buon mercato. «Io… io», aveva gracchiato lei. Non era riuscita a dire più di così. La mano del fratello era pesante e Kathy aveva sentito sia le parole che il respiro costretti a tornare dentro di lei, facendo sì che il battito del cuore le causasse dolore nel petto. «Oh, Kat. Sciocca, stupida Kat.» Toby aveva portato la punta del coltello molto vicina al suo occhio spalancato e sbarrato. «Saresti dovuta rimanere fuori dalla mia stanza.» Lei aveva lottato sotto il peso del fratello. «Toby, basta», aveva rantolato, cercando di impedire a ciò che restava della sua voce di alzarsi di un’ottava per il panico. Lui aveva lanciato un’occhiata alla scatoletta, ai suoi contenuti rigettati su tutto il pavimento della camera, e aveva allentato la presa sul collo di Kathy, anche se soltanto un po’. Quando era tornato a guardare lei, il suo volto aveva una strana espressione di delusione ed eccitazione. «Temo di non poterlo fare.» «Toby, togliti.» Kathy tossì. «Spostati, andiamo! Spostati oppure papà…» La sua testa era stata scagliata di lato da un colpo che le aveva fatto bruciare la guancia. L’aveva colpita. Porca di quella troia, l’aveva colpita davvero. Toby le aveva tolto la mano dalla gola e l’aveva schiaffeggiata. Era rimasta distesa in silenzio, troppo stordita per lottare o tentare di parlare di nuovo. La guancia le doleva e calde lacrime le offuscavano la visuale. «Sai, potrei averti proprio qui. Ci ho pensato, sai. Potrei fotterti e farti a pezzi e trascinare qualunque cosa resti di te nei boschi. Ti nasconderei meglio delle altre. Papà non ti troverebbe maaaaiii. Nessuno ti troverebbe mai.» La sua voce era suadente, molto suadente, e quasi canti­lenante mentre trascinava la parola mai. Le aveva accarezzato il lato del seno attraverso il reggiseno con la mano libera e le aveva graffiato l’addome nudo con il coltello. «Potrei farlo, Kat. Mi assicurerei il tuo silenzio, un silenzio assoluto, riguardo alla scatola e alle ossa delle dita, e alla Mano delle Stelle Nere: riguardo a tutto quanto. Ma sei mia sorella. Non desidero ucciderti. Sul serio, non voglio.» Si era piegato fino a quando non si era trovato disteso sulla sorella, l’inguine premuto contro i fianchi di lei, le labbra così vicine all’orecchio. Kathy aveva sentito la punta del coltello scavarle nella guancia ed era rabbrividita, nuove lacrime a scenderle dagli angoli degli occhi. «Ma dannazione», aveva detto Toby, il suo respiro più pesante, «se ho sempre voluto tagliarti.» La sua erezione premeva dolorosamente contro il fianco di Kathy. «Toby, per favore. Ti prego, togliti.» Lui si era seduto di nuovo e aveva sollevato il coltello. «Toby, non farlo!» Aveva spinto la lama contro la sua pelle appena sopra il sopracciglio sinistro. Kathy aveva sentito il taglio, una scintilla di spaventosa sofferenza accecante, e aveva gridato. Toby aveva portato la lama verso il basso, saltando l’occhio e atterrando sulla guancia proprio sotto l’orbita, un nuovo bruciore a diffondere la sua velenosa agonia lungo il viso. Kathy aveva gridato di nuovo, facendo sgorgare la disperazione dentro di lei in un unico, fortissimo ululato di terrore e dolore. Lui aveva trascinato la lama ancora più in basso, fino alla mascella, e Kathy aveva potuto sentire il calore bagnato del sangue che le scivolava nell’orecchio, nell’occhio, tra i capelli. La sua lingua era saettata contro l’interno della guancia e Kathy l’aveva sentita cedere un po’, la pelle lì così fine, così pericolosamente vicina a strapparsi, e aveva urlato ancora. Aveva a malapena udito i passi sulle scale e l’agente Kempton che gridava all’indirizzo di Toby. Aveva sentito il peso che veniva sollevato da lei, al suo posto una sorta di frescura, e aveva cominciato a tremare. Aveva chiuso gli occhi, si era messa a piangere, e aveva sentito altre grida, ma non era riuscita a distinguere le parole. Il dolore che le attraversava il viso aveva un battito cardiaco proprio, e Kathy sentiva il sangue nell’orecchio e i suoi stessi singhiozzi che la riempivano dall’interno. Così aveva pianto accasciata sul pavimento, aveva pianto fino a quando non era più riuscita a sentire le urla o i suoi singhiozzi, ma soltanto il furioso battito del cuore, fino a quando anche quello non era svanito e le tenebre dietro le palpebre si erano diffuse in tutto il corpo. * * * Kathy svoltò su Silver Street e la seguì attraverso acri di candida pianura fino al parcheggio riservato ai visitatori proprio fuori da Parker Hall. Un edificio di mattoni rossi con delle strette finestre sbarrate e un tetto mansardato. A Kathy aveva sempre fatto pensare a un luogo austero e ostile, minaccioso verticalmente e quasi soffocante nelle sue diramazioni. A differenza degli altri istituti che Kathy aveva visitato occasionalmente per interrogare lo staff o i pazienti, il Connecticut-Newlyn Hospital, l’ex Newlyn Hospital per i Pazzi Criminali, era un grosso edificio con reparti, contrassegnati come sale, che si estendevano dagli uffici amministrativi di Parker Hall. Parcheggiò e rimase seduta per diversi minuti, guardando la neve che si accumulava sul parabrezza e lentamente oscurava la visuale dell’ospedale. Le ci volle ogni oncia di forza di volontà dentro di lei per uscire dall’auto. Quando il freddo la colpì al viso, trovò più facile camminare attraverso la neve fino all’entrata principale. Kathy spinse il pulsante dell’intercom e pronunciò il suo nome, quindi mostrò le credenziali alla videocamera montata sopra la porta d’ingresso. Ci furono un click e un crepitio dall’altro capo, seguiti da un fastidioso ronzio mentre la porta si apriva. Kathy lasciò il freddo abbagliante dietro di sé e mise piede nella lobby principale.
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