Capitolo 1

3095 Words
UNO Prima: Mi infilai al bar tra un cowboy di città e una ottantenne in paillette con una sigaretta appesa alle labbra. Hai una pistola nella fondina o sei felice di vedermi. Evitai Little Joe Cartwright o Brett Maverick o chi cavolo pensava di essere, cercando anche di evitare la punta della cicca cancerogena della Nonnina. Mi guardai allo specchio dietro le bottiglie di liquore pregiato: di una testa più piccola del cowboy, ma di una più grande della vecchietta — e un aspetto molto più tormentato di entrambi. Perché doveva essere tutto così difficile. Volevo solo qualcosa da bere. Be’, non era del tutto vero. Volevo anche stare il più lontano possibile da mia madre. Tipo in Siberia, o forse persino su Plutone. Non sarebbe stato malaccio nemmeno Oklahoma City. Dall’altra parte della hall di un hotel — che ormai si faceva chiamare Wyndham ma che tutti ad Amarillo avrebbero chiamato per sempre Ambassador — non era abbastanza lontano. Soprattutto visto che ci trovavamo lì per il ricevimento di nozze del mio ragazzo del liceo, Scott, con la sua terza moglie — che aveva diciannove anni ed era incinta. Alzai un dito e mi piegai in avanti sul bancone in legno, nel tentativo di attirare l’attenzione della barista. Troppo tardi, avvertii una sensazione di bagnato. Guardai in basso. Avevo appoggiato il seno nella bevanda rovesciata di qualcun altro. Fantastico. Proprio in quel momento, gli ombrosi occhi azzurri della barista si posarono su di me. «Virgin mojito, per favore,» dissi. Ottenni in risposta solo la parte posteriore dei suoi capelli arancioni, pettinati così alti che sembravano zucchero filato, stile Halloween. Presi una manciata di tovagliolini da un dispenser per asciugare il Lago Titicaca — il bancone del bar e la parte inferiore delle mie tette. Almeno quella sera avevo indossato un semplice abito nero, quindi non si sarebbe visto. Non tanto. «Bisogno d’aiuto, biondina?» mi chiese Little Joe. La sua voce aveva una cadenza strascicata rombante — non proprio texana ma quasi — che avrei potuto trovare piacevole se non mi avesse chiamata con il colore dei miei capelli. Lo studiai. Era alto, ben oltre il metro e ottanta — almeno con gli stivali — e di almeno una decina di anni più grande di me, a giudicare dalle zampe di gallina. L’età, o gli agenti atmosferici? I miei occhi scivolarono giù fino agli stivali. Il cuoio era consumato, ma curato, con alcune linee scure di olio che seguivano i segni di graffi e abrasioni. Rialzai lo sguardo, ma non abbastanza in fretta da non vedere i fianchi stretti circondati da una cintura in pelle marrone e il ventre piatto dietro la fibbia in argento e turchese, il petto profondo, e le spalle ampie. Il labbro superiore sembrava più chiaro del resto del viso, come se di solito portasse i baffi e li avesse appena rasati, e qualunque cosa avesse scavato il suo viso non aveva nascosto gli zigomi grandi e la fossetta solitaria a sinistra della bocca dal sorriso sbilenco. Forse dopo tutto Little Joe non era un cittadino. Willie Nelson cantava in sottofondo. Era un artista fisso nella colonna sonora della mia vita — i cowboy sono sempre stati i miei eroi. Già, Willie, anche lui, fino a un certo punto. In un’altra vita dovevo aver avuto un debole per i tipi alla Little Joe. Non potevo evitarlo, davvero. Ero la figlia di un padre che praticava lo steer wrestling. E ormai non erano solo i cowboy ad avermi delusa, ma tutto il genere maschile. Quindi: avevo bisogno di aiuto da questo cowboy? «Non penso...» «Cosa sta bevendo, signore?» chiese la barista. Il vapore mi fischiò fuori dalle orecchie come da una macchina espresso strafiga. Sì, certo, ignora la donna e portagliene un altro al tizio. Ruotai verso il cowboy, pronta a scagliare una serie di invettive contro di lui e la barista e tutta la mia vita in generale, ma non vidi bicchieri davanti a lui. Forse non si trattava di un altro giro. Soffocai la rabbia. Mi guardò negli occhi per una frazione di secondo — lunga abbastanza da provocare un brivido indesiderato di pura reazione animale che mi si sprigionò nelle parti intime — poi tornò a voltarsi verso di lei. «Bourbon liscio. E un virgin mojito.» Sputa in un secchio, come disse mio padre un anno, prima di lasciarci per un circuito di rodei e non tornare più. Cavolo, forse lo stava ancora dicendo, da qualche altra parte, ovunque se ne fosse andato. «Davvero, non c’è n’è bisogno,» dissi. Little Joe fletté la mascella e le sue labbra si contrassero. «Sembravi avere la mani piene.» Volevo dirgli di tenere gli occhi più a nord, ma poi ci ripensai. Invece, ignorando le sue parole, presi cinque dollari dalla pochette. Tenendo la banconota per un’estremità, gliela allungai. «Grazie per aver ordinato da bere per me,» dissi con la mia voce più sdolcinata. Lui annuì e prese i soldi. Li lisciò e se li infilò in un malconcio portafoglio di pelle marrone, e disse: «Mi chiamo Jack. Jack Holden.» «Emily Bernal.» Strofinai il bancone con la pila di tovagliolini finché la barista non mi diede il mojito. Niente menta fresca, quindi in pratica solo una limonata. Sospirai. «Be’, grazie ancora, e passi una bella serata.» Lui si toccò la tesa del capello grigio in feltro da cowboy. Prima di voltare le spalle a Jack, la voce di mia madre mi trillò nell’orecchio come unghie finte da sette centimetri che graffiavano una lavagna. «Emily, eccoti qui.» Cercai di nascondere un fremito. «Già, ma stavo giusto andando al bagno delle signore.» Mi fece un sorriso a trentadue denti, che, se avesse prevalso la genetica, mi rimandò la visione di come sarei stata tra venticinque anni: gambe indecentemente lunghe rese ancora più lunghe dai tacchi a spillo, meglio di un’altezza media, occhi azzurri rotondi, e lucidi, pelle cosparsa di Mary Kay che diventava rugosa alle estremità. Aveva avvolto il suo corpo snello — più doppio al centro — in un abito aderente appena meno lungo di quanto fosse adatto per la sua età, con i capelli del miglior biondo che si poteva comprare sugli scaffali del Walmart. Il campo caravan incontra la donna di chiesa del sud — quella era mia madre. Aprì la bocca per torturarmi. «Stavo giusto dicendo a Doug Munroe che sei una meravigliosa assistente legale,» disse, «e vuole incontrarti. Il suo studio legale è davvero il migliore in città, e...» «Non sono nemmeno sicura di rimanere,» dissi. «E ce l’ho un lavoro.» E anche l’inizio di un tremendo mal di testa, pensai. «Un lavoro a Dallas. Se Rich non ha intenzione di sottoporsi la terapia di conversione, allora devi davvero...» Mi allontanai dal bancone e le rivolsi un sorriso da un megawatt. Prima che potessi rispondere, la voce di Jack mi interruppe. «Agatha Phelps, è sempre bello vederti.» Mia madre si accorse di Jack, inclinò la testa di lato, poi la scosse. «Oh cielo, guarda chi c’è, il famigerato Jack Holden,» disse lei. «Che problemi stai creando stasera?» Il sorriso si cancellò dal suo viso. «Ho una domanda per te.» Lei si illuminò. «Di che si tratta?» La voce di Jack si fece più bassa, e Madre si avvicinò. Io cercai di non farlo. «Qual è la differenza tra erotismo e perversione?» «Sono sicura di non saperlo.» Si accigliò. «E non capisco perché un uomo rispettabile dovrebbe conoscerla.» Si avvicinò di più, sempre più luminosa. «L’erotismo usa una piuma e la perversione l’intera gallina.» Sorrise solo con il lato del viso con la fossetta. «E sai che è solo una parte del mio lavoro.» Mia madre ridacchiò come una ragazzina. «È l’unico motivo per cui ti perdono le tue maniere.» Scossi il capo. «Ti vengo a cercare dopo, mamma.» Mi guardarono entrambi, mia madre con gli occhi spalancati come se avesse dimenticato che ero lì. Esaminai il mio sorriso dai denti larghi allo specchio del bagno, io e lui in una cornice dorata, e mi aggiustai la frangia. Aveva bisogno di uno spruzzata di shampoo secco e un colpo di Aqua Net, nessuno dei quali avevo con me. Mi girai di profilo e mi passai la mano sulla pancia. Almeno non era un pancione, ancora, e il vestito si era quasi asciugato. Alzai petto e spalle. «Mettetele su una mensola,» ci ricordava il mio allenatore prima di entrare nell’arena. Erano passati più di dodici anni, però, e la mia mensola era un po’ più bassa di come era prima. «Hai visto Emily Phelps?», cantò una voce di donna da dietro la porta chiusa di un bagno. «Non riesco a credere che si sia presentata stasera.» Una seconda voce commentò sarcastica dal bagno accanto. «Ho sentito dire che non è abbastanza donna da tenersi il suo uomo.» Risero entrambe come se quella fosse stata Melissa maledetta McCarthy o qualcosa del genere. Presi il bicchiere dal ripiano e lo gettai a terra fuori i due bagni. La limonata costosissima schizzò l’obiettivo, provocando un urlo. «Ops,» dissi. «Credo di non essere abbastanza donna nemmeno per tenere il bicchiere.» Accidenti, che bella sensazione. Mi infilai la pochette da due chili sotto il braccio, spinsi la porta, e mi diressi verso la zona piscina più veloce che potevo senza barcollare sui tacchi. Avrei cercato mia madre più tardi. In quel momento, volevo solo stare fuori al recinto intorno alla piscina al centro dell’atrio e immaginarmi a 3000 chilometri di distanza da tutta quella meschinità. Non avrei avuto alcuna preoccupazione, e osservai tranquilla l’oceano acquamarina al largo di San Marcos, l’isola natale della mia migliore amica, Katie. Faceva l’avvocata da Hailey & Hart, lo studio legale di Dallas per cui probabilmente lavoravo ancora. Tuttavia, pensare a lei e allo stesso tempo ai miei problemi mi fece sentire in colpa. Mi aveva scritto un’e-mail quella mattina per chiedermi se avessi notizie di Nick, suo marito, che la sera prima non era tornato a casa. Speravo che Nick fosse solo un grande coglione come Rich, mio marito, e non fosse davvero scomparso. Dovevo chiamarla. Be’, perché non subito? O comunque quando sarei arrivata in piscina. Non che volessi parlare con qualcun altro. Ma dovevo superare il punto di ricevimento della coppia felice — per cui ero già passata, grazie mille — prima di poter contemplare la piscina. Ovvero, dovevo superare la folla di persone che probabilmente pensava che mi ero pentita di aver restituito l’anello di fidanzamento a Scott quando ero partita per la Texas Tech — una folla di visi molto familiari, che ebbero tutti una reazione evidente alla vista del mio: un ex vicino, di quando vivevamo in città; un compagno di classe che non vedevo dal diploma alla AHS; un bambino a cui avevo fatto da babysitter quando avevo dodici anni. Affrontai le forche caudine fino alla piscina eludendo tutti i saluti mentre mi ripetevo un mantra. «Oh mio Dio!» Farsi avanti, abbracciare senza toccare i corpi. Una mano che dà tre pacche sulla spalla. «È così bello vederti. Devo incontrare qualcuno, ci vediamo più tardi?» Bacio da lontano. «Anche per me. Ciao ciao!» Continuare a camminare. Ero appariscente come mi sentivo? Cercai di non pensare ai pettegolezzi al mio passaggio, perché, sicuro come la morte, erano tutti ben informati sugli affari miei come se fossero stati una notizia da prima pagina — above the fold. Provai sul mio viso il mezzo sorriso fiducioso che ero determinata a sfoggiare e regolai gli angoli della bocca tirandoli leggermente all’insù. L’odore di cloro della piscina mi attraversò la corteccia cerebrale e mi acuì la mente — in senso buono. Posai le mani sulla barra superiore in metallo nero della recinzione e guardai le persone radunate intorno alla piscina ai tavoli da patio. Non era affollata come la zona bar, ma non significava molto. Il mio ex aveva sposato una ragazza del posto e avevano scelto l’open bar, così quasi tutti in città si erano presentati. Ma non mi importava essere sola tra la folla. Non mi importava essere lì con i tacchi da spogliarellista che ero stata costretta a prendere in prestito da mia madre, la quale pensava fossero di classe. Non mi importava se la mia vita era un disastro e il mio matrimonio acqua passata. Mi importavano solo i prossimi respiri profondi. I miei occhi trovarono l’acqua, e aspirai l’aria chimica e avvelenata come fosse una pozione magica. Avessi potuto farlo per un paio di minuti per risvegliarmi i sensi, sarei sopravvissuta alla serata. Continuando a respirare a fondo, tirai fuori il telefono, sfogliai le pagine preferite, e selezionai il nome di Kate. Solo quando squillò mi preoccupai per la differenza d’orario. Non riuscivo mai a ricordare in quale periodo dell’anno si trovasse due ore dopo, rispetto all’abituale in più in Texas rispetto a me. In ogni caso, erano solo le venti e trenta lì. Sarebbe andato bene. Rispose dopo tre squilli. «Emily?» «Katie! Nick si è fatto vivo? Non ho alcuna notizie.» «No, il suo aereo è scomparso e la polizia non è di aiuto.» La sua voce sembrava sfibrata e stridula. «E, uhm, la stai vivendo bene?» Aveva un problema con l’alcol. Avevo quasi aggiunto “sobria,” ma non sembrava ubriaca. Solo spaventata. «Non ne sono sicura. Ma ci sono i miei suoceri — ricordi Kurt e Julie? — e la nostra tata, Ruth. Io e Kurt pensiamo che Nick si sia diretto in Repubblica Dominicana per un caso a cui sta lavorando. Ci andiamo domattina.» Nick lavorava come investigatore privato, perciò non sembrava del tutto improbabile. «Prego per voi ragazzi.» «Grazie. Stavo per provare a dormire, anche se non ci riuscirò. A te come vanno le cose? Tutto bene?» Non era il momento di opprimerla con i miei problemi. Incrociai le dita. «Sì. Sto alla grande, a parte che sono preoccupata per te.» «Già, siamo in due. Grazie per aver chiamato.» «Ti voglio bene.» «Ti voglio bene anch’io.» Riattaccammo, e rimasi a fissare l’acqua, il telefono ancora in mano. Sembrava una cosa seria. Nick e Kate avevano due gemelline e un maschietto in età prescolare. Chiusi gli occhi e dissi una preghiera breve e silenziosa per far tornare Nick sano e salvo, poi aggiunsi: E aiutami a conservare solo un briciolo di dignità mentre affronto tutte le mie… Cose. Amen. Qualcuno si schiarì la voce alle mie spalle, facendomi sobbalzare. «E così, stai cercando lavoro?» chiese una voce maschile. I miei occhi, quei piccoli magneti traditori, andarono sulla destra, seguendo l’attrazione del suono che sapevo già essere la voce di Jack, l’uomo che avevo conosciuto in precedenza come Little Joe. «Mi stai seguendo?» chiesi. La fossetta si contrasse. «Credo di aver stabilito il mio territorio qui per primo.» Oh. Non avevo risposte da dare. Cercai solo un altro respiro di aria clorata. «Agatha Phelps è tua madre.» Strinsi le labbra, poi risposi. «Mi sa che voi due vi conoscete.» «Qualche settimana fa mi ha trascinato alla sua chiesa per tenere una lezione sulla religione Apache e i suoi Spiriti delle Montagne, per la serie “Comprendi il tuo vicino” sulle varie religioni.» Ridacchiai. «Non pensavo che la congregazione dei Credenti di Panhandle si interessasse di religioni comparate.» «Diciamo che sembrava più che stessero raccogliendo informazioni per convertire l’ultimo dei pagani.» «Allora perché ci vai?» «Non ci vado.» Jack sollevò un sopracciglio — quello sul lato della fossetta. «In pratica quel posto lo gestisce tua madre.» «Non me ne parlare.» «Parla sempre di te.» I muscoli intorno ai miei occhi e sulla fronte si contrassero. Un giorno sarò in debito di metà delle mie rughe con mia madre e dell’altra metà con Rich. «Grandioso.» Si schiarì la voce. «Sto cercando un’assistente legale per il mio studio.» Valutai di nuovo la sua autenticità come cowboy e decisi che Jack ne fosse uno, solo un po’ urbanizzato. Aprii la bocca per dire che non cercavo lavoro, ma ciò che ne venne fuori fu: «In che ambito della diritto?» La sua bella voce rombante disse: «Difesa penale, per lo più.» Scossi il capo. «Senza offesa, ma che schifo. Mi occupo di diritto del lavoro.» Di nuovo la fossetta, ma non così tanto da sollevargli il lato della bocca. «In base al tuo gusto per gli scherzi, forse ti diverti con i casi di molestie sessuali.» «I miei clienti fanno sembrare dei dilettanti i tuoi amministratori delegati imputati per molestie.» Ricordai di aver sfogliato il giornale quella mattina, davanti a pane bianco raffermo e caffè nero, perché è così che facciamo a casa di mia madre. Quello che ricordai fu una caso penale importante, e le frasi di un avvocato. Qual era il nome? Era Jack Holden? Sì. Proprio quello. «Sei l’avvocato che ha fatto assolvere il super pappone la settimana scorsa, vero?» dissi. «Il cui cliente era il tizio che gestiva un giro di prostituzione abilmente camuffato da donne sexy che consegnavano pizze in culotte e bustino? Come li chiamano i tipi come lui? Geni del marketing? O depravati?» Si girò verso di me e abbassò la testa, parlando solo dopo un’imbarazzante pausa, lunga e intensa. «Sei la donna a cui il marito ha preso tutti i soldi lasciandola per un uomo che finge di essere una donna, vero? Come la chiamano quella, sperimentazione? O feticismo per i travestiti?» chiese, sorseggiando il suo Bourbon. Bum! Un suono simile a una cannonata mi scosse fino alla punta dei piedi, seguito da un nanosecondo di silenzio attonito. Un urlo di donna altrettanto forte squarciò l’aria, un suono secco risuonò sulla superficie della piscina. Acqua mi schizzò sul vestito e annaspai. Jack si portò davanti a me. Ci fu un altro istante di profondo silenzio, poi il frastuono esplose tutto intorno a noi. Ero nascosta dietro Jack, che aveva le braccia distese in basso alle sue spalle, ai miei lati. Gli passai intorno per avere una visuale della piscina. Un nube rossa si diffondeva nell’acqua intorno a quello che sembrava essere un torso maschile. «Be’, è una cosa che non si vede tutti i giorni,» disse Jack. Alzai gli occhi da quella scena macabra. L’uomo era caduto in piscina dall’alto. I miei occhi risalirono, perlustrando tutti i piani di balconi, muovendosi come una sfere di stampa della vecchia Selectric di mia nonna su una pagina bianca. Ecco! La vidi, tre piani più in alto, con una pistola che le pendeva tra le mani, i capelli neri tirati indietro, il grembiule bianco legato sul vestito bordeaux da cameriera. La donna che aveva sparato. Mi chinai verso Jack e indicai la donna. «Meglio sbrigarsi, quella donna sembra avere bisogno di un avvocato.»
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