Capitolo 2-1

2231 Words
DUE Il giorno seguente il profumo di biscotti appena sfornati e caffè pronto riempiva l’aria dell’ala della scuola domenicale della Chiesa dei Credenti di Panhandle. Acquerelli che raffiguravano Gesù con gli agnelli, Gesù che distribuiva pagnotte, e altre famose scene bibliche (riguardanti Gesù) adornavano le pareti celesti. Percorsi il corridoio in cerca di Madre, cercando di camminare con passo silenzioso. Nonostante io fossi probabilmente la ragazza più bianca del Panhandle texano, quando ero bambina mi piaceva fingere di essere un’indiana d’America, mi vestivo da indiana ad Halloween, e pendevo dalle labbra di mio padre quando mi insegnava a muovermi come una ricognitrice indiana. Così camminai in punta di piedi sui pavimenti in linoleum, come Sacagawea, in un territorio sconosciuto. Udii una voce femminile che proveniva da una stanza più avanti sulla sinistra. «Qualche richiesta di preghiera oggi?» L’interlocutore mi fece rimanere di sasso. «Sapete tutti che mia figlia è a casa. Suo marito ha perso la strada, nel modo... Più innaturale. Ho bisogno di preghiere a Gesù per guarirgli il cuore e convertirlo di nuovo alle... Relazioni con le donne... Con Emily.» Il silenzio dopo la dichiarazione non durò. Sentii dei tch-tch e umpf e oddio. Digrignai i denti, ma non emisi un suono. Grazie al cielo avevo deciso di non dire ancora a mia madre il mio vero grande segreto — che Rich mi aveva messa incinta prima che scoprissi la sua seconda vita. Non importava che in pratica si fosse trattato un’Immacolata Concezione. O forse persino di un concepimento sulla tavoletta del water. La nostra vita sessuale si era estinta molto prima che incontrasse il suo ragazzo, fatta eccezione per una palpata occasionale al buio. Ma incinta del tuo futuro ex marito gay? Già, la scuola domenicale sarebbe andata a nozze con quel pezzettino di informazione. «Grazie, Agatha. Qualcun altro?» Parlò un’altra donna. «Mi nipote si è sposata ieri sera. Grazie a tutti per essere venuti.» Un tubare collettivo si propagò per la stanza. «Una donna messicana ha ucciso un uomo nel bel mezzo del matrimonio. Il suo corpo è caduto in piscina. Sue si trovava lì quando è successo, e l’acqua sporca di sangue le è schizzata sulle scarpe e sul vestito.» Le donne nella stanza rimasero senza fiato, e la donna abbassò la voce. «È rimasta così traumatizzata che è andata a casa con la sua mamma e non è partita per la luna di miele questa mattina. Pensa che sia un segno che Dio non protegge il suo matrimonio. Per favore pregate affinché Gesù guarisca il suo cuore e la faccia tornare da suo marito. E che quella donna che le ha rovinato il matrimonio venga consegnata alla giustizia.» Qualcuno vicino alla porta parlò piano. «In Messico.» E una voce vicina disse: «Uh-uh.» Molte altre donne chiesero preghiere per i loro familiari malati o i parenti nell'esercito, e alcuni altri chiesero lodi per guarire, bambini, buona fortuna. Allora la voce della donna che aveva fatto le richieste le guidò nella preghiera. Mi voltai per andare via prima che lei mi fermasse, e quando lo feci, avvertii qualcosa impigliarsi nel pavimento. Guardai in basso. Il tacco allentato delle mie scarpe preferite in pelle marrone si era impigliato in uno strappo nel linoleum. Sapevo che avrei dovuto incollarlo quella mattina prima di uscire da casa di Madre. Si era strappato. «Fantastico,» mormorai prima di raccoglierlo e di mettermelo nella borsetta bombata. «Ciao, Emily,» disse una voce maschile, stridente e familiare. Alzai lo sguardo sul viso del mio insegnante di Storia americana del liceo. Era un bene che ne avessi riconosciuto la voce, perché non lo avrei riconosciuto vedendolo. L’uomo un tempo fastidioso e magro aveva triplicato le sue dimensioni, e gli erano caduti tutti i capelli in cima alla testa, lasciandogli un anello color topo muschiato marrone sui lati e dietro. «Salve, signor Walsh. La trovo in forma!» Ignorai il fatto che si fosse fermato, come se volesse chiacchierare con me. «Mi dispiace davvero,» dissi. «Devo scappare.» Me ne andai, l’andatura irregolare sullo stivale senza tacco. Dovevo uscire di lì. Quella volta non mi mossi furtiva. Quando l’avevo accompagnata, avevo promesso a Madre che l’avrei raggiunta in chiesa una volta concluse le mie commissioni — lo avrei persino voluto. La fede della mia giovinezza mi aveva abbandonata a vent’anni, e ora che ero in crisi desideravo tornarvi, e rifugiarmi in essa. Tornare a essere la dodicenne che era stata battezzata durante la scuola biblica estiva. La ragazzina che provava una gioia vera nel suo cuore. Ma Madre mi aveva fatto apparire lasciva davanti alle sue amiche lì, e non mi andava molto a genio. Tutta la loro interazione non mi andava a genio, in realtà. «Emily!» Non fui sorpresa di udire la voce di mia madre dietro di me. Aspettai che mi raggiungesse. Aveva un sorriso luminoso sul viso, ma preoccupazione negli occhi. «Sì?» «Non ti unisci a me per la chiesa?» Guardai il soffitto poi di nuovo lei. «Non credo.» «Ma ho detto a tutti i miei amici...» «Già, ho sentito.» Abbassò la voce e giocherellò con il risvolto del vestito giallo girasole. «Dove stai andando?» «Non lo so proprio.» «Che c’è?» Mi afferrò il polso. «Emily, non ti devi vergognare per quello che ha fatto Rich. Dio ti ama.» Mi liberai il polso. «Vergognarmi? Perché dovrei vergognarmi?» Rich mi aveva tradita e umiliata, eppure, quando dentro di me mi fui calmata davvero, soffrii per il Rich che avevo conosciuto. Odiavo che dovesse vivere nella menzogna. Non abbastanza da perdonarlo per avermi rovinato la vita, eppure, era triste che avesse trascorso anni fingendo. Non ero stata io a spingere Rich a essere Rich, e di sicuro non pensavo che potesse prendere una pillola o fare una “terapia” ed essere curato dall'essere se stesso. Un rumore secco mi fuoriuscì dalla gola. «Non è con Dio che ho problemi.» Spinsi la porta d’ingresso della chiesa ed mi immersi nella luce accecante del sole. Mi voltai per guardare l’edificio. Mattoni marroni. Rifinitura e croce bianche. Due piani enormi circondati da parcheggi di asfalto nero. Era una chiesa dall’aspetto abbastanza normale. Allora cosa c’era di sbagliato? Per quanto avessi bisogno di conforto in quel momento, perché non potevo trovarlo lì? Era la chiesa, o ero io? Le parole delle donne nella stanza della scuola domenicale mi risuonarono di nuovo nella testa. Se quelle erano persone in una chiesa normale, allora forse la comunità che stavo cercando non era affatto normale. Mi diressi all’auto. Cinque minuti dopo, mi infilai in un separé al Whataburger con una copia del giornale della domenica e un caffè ristretto. Tirai fuori il telefono e aprii l’app della banca per consultare il saldo del conto. Avevo settecentotredici dollari sul conto corrente, in calo rispetto ai mille che c’erano l’ultima volta che avevo controllato. Cavolo, avevo dimenticato di usare la carta di debito per il biglietto aereo. Era tutto quello che rimaneva dell’ultimo stipendio, e Rich aveva prosciugato il nostro conto condiviso. Avevo esaurito le ferie pagate con lo studio legale, e non ero sicura di quante ferie non retribuite mi avrebbero concesso. Era arrivato il momento di trovarmi un lavoro lì o di tornare a Dallas — subito. Misi giù il telefono e mi dedicai al giornale. Una foto del corpo in piscina della sera prima riempiva la metà superiore della prima pagina. Il nastro giallo della scena del crimine circondava la zona piscina. Sfogliai le pagine, leggendo a malapena le parole. Pagina sportiva. Nessun articolo sul rodeo, ma una foto di un piccolo contingente di concorrenti del Kona Ironman Triathlon della zona diretto ad Hawaii. Scossi il capo. Per me l'esercizio era andare a cavallo, grazie mille. Avevo lasciato nuoto, pedalate e corse ai masochisti. Bevvi un sorso di caffè tiepido. Bevvi una sorsata più grande, poi lo tracannai. Sfogliai altre pagine, arrivai agli annunci. Un altro sorso di caffè dalla tazza. La sollevai mentre giravo la pagina dei lavori, vidi l’annuncio “Cercasi assistente paralegale delle controversie”, e mi bloccai con la tazza di caffè a metà strada dalla mia bocca. Polk Street nel centro di Amarillo un mercoledì mattina faceva sembrare intasata una domenica sera nei sobborghi di Dallas. Un punto per il Texas occidentale. Quando andavo al liceo avevo trascorso molti sabati sera in giro per Polk, che non sembrava molto diversa da come era dodici anni prima — fatto salvo per gli ultimi modelli di auto e il Courtyard by Marriott nel vecchio Fisk Building. Persino l’iconica facciata art-déco del Paramount Theater e l’insegna erano state riportate allo splendore originale. Era incredibile come il tempo sembrava essersi fermato. Svoltai nella Fourth, e percorsi il mezzo isolato verso Polk. Mi stavo dirigendo allo studio legale William & Associates, dopo aver risposto all’annuncio sul giornale per un’assistente legale e aver ottenuto un colloquio. Qualche giorno prima, avrei giurato che sarei tornata al mio condominio nell’Uptown a Dallas, per consegnare di persona i documenti del divorzio a Rich insieme a un bel discorsetto. Tuttavia, qualcosa dentro di me, non poteva proprio far ritorno sulla scena del suo crimine, e del mio dolore. Inoltre, non avrei resistito a lungo nel condominio. Io e Rich non avevamo risparmiato molto per i tempi difficili. Lui aveva un fondo fiduciario prematrimoniale a disposizione, grazie alla famiglia benestante, ma io non ne avevo diritto. Non avevo il denaro per pagare la casa, non con solo il mio stipendio. Tanto valeva permettere a Rich di trasferirsi da Stormy — era quello il suo nome — e far ricadere il fastidio di vendere la casa sulle sue spalle. Quindi, eccomi lì, a un colloqui di lavoro ad Amarillo, mentre un ufficiale giudiziario anonimo stava consegnando l’istanza di divorzio a Dallas. «Emily Phelps? Sei tu?» L’accento pesante mi bloccò tanto quanto sentir pronunciare il mio nome. Mi voltai. Melinda Stafford. La mia acerrima nemica del liceo. Aveva denti così bianchi che desiderai non aver lasciato gli occhiali da sole in auto. Un casco di capelli castani le splendeva intorno e sul viso. Per quanto cotonati fossero i suoi capelli, il suo corpo era minuto, compatto e scolpito come quello di una maestra di yoga. Ma invece dei pantaloni da yoga, indossava una giacca sartoriale marrone e una corta gonna a tubino nera, con robuste scarpe decolleté in pelle. Finsi entusiasmo e mi riempii la voce di allegria. La gente aveva un mucchio di buoni motivi per parlare di me, senza aggiungere snob alla lista. «Ciao, Melinda. Come stai?» Scavò nella costosa borsa Fossil rossa, arancione e rosa che le pendeva dalla spalla. Niente vestiti o accessori Target per lei — però era sempre stata poco profonda come un fiume texano ad agosto. Lei disse: «Favoloso. Sto andando al lavoro. Faccio l’assistente procuratore qui. Sai, vice procuratore distrettuale. Sempre molto da fare.» Certo che sapevo cos’era un’assistente procuratore — non vivevo in una scatola di scarpe. Comunque, non sapevo che lei lo fosse. Estrasse la mano dalla borsa, con un biglietto da visita, che allungò verso di me, e che trattenne quando io allungai la mano per prenderlo. Abbassò la voce giusto quanto bastava per farmi capire che eravamo due amiche che parlavano di qualcosa di scandaloso. «Mia madre ha detto di averti vista in chiesa ieri. Frequenta la lezione della scuola domenicale di tua madre, quindi ho sentito parlare di tutto quello che hai fatto, e non vedo l’ora che ci aggiorniamo davanti a un caffè. Chiamami.» Lasciò il biglietto. Quando l’inferno si ghiaccerà, pensai. Deformai il viso in un sorriso radioso. «Be’, non ti trattengo allora,» dissi. «È così bello vederti.» Lei se ne andò in una direzione, io me ne andai nell’altra, ribollendo. Ormai avrei dovuto essere abituata a quegli incontri strazianti, ma non lo ero. Dovevo superarlo. O quello, o filare via a Dallas. A dire il vero, nessuna delle due alternative mi elettrizzava, ma dovevo solo fare il colloquio di lavoro, poi sarei potuta tornare a rivalutare la mia vita per la milionesima volta. Era a solo mezzo isolato dal Maxor Building, sede degli uffici della Williams & Associates. La struttura marrone chiaro a dieci piani sembrava così autoctona da farmi pensare che un tempo doveva essere stata una tempesta di sabbia del Panhandle che, una volta calmatasi, era rimasta lì. C’erano molte tempeste di vento dalle nostre parti, ma la maggior parte passavano. Le condizioni erano difficili al punto che molta gente rinunciava e si spostava insieme alle tempeste. Solo i più duri rimanevano. Quelli che andavano via lamentavano che gli allevamenti intensivi di bestiame puzzassero — anche se si trattava solo dell’odore del denaro, diceva sempre mio padre — e che il terreno arido fosse orrendo. Io no però. Era solo un posto diverso, in un modo vasto che andava forte in cieli limpidi e tramonti in technicolor. Gridava libertà e ampi spazi aperti. Lì si poteva allentare la cintura, poggiare la testa, e tirare un respiro profondo. Si poteva veder arrivare una tempesta da centinaia di chilometri di distanza, e galoppare a cavallo a tutta velocità senza mai fermarsi o girare, a meno che non si fosse voluto. Erano il genere di cose che non ti rendevi conto di aver perso finché la bellezza ti si stringeva intorno. O piuttosto, mi si stringeva intorno. Quando mi si stringeva intorno, a Dallas. Tanti anni prima avevo lasciato quel posto solo perché era giunto il mio momento di andarmene, non perché lo odiassi.
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